Discussione:Battaglia del convoglio Duisburg

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L’ANNIENTAMENTO DEL CONVOGLIO “BETA”[modifica wikitesto]

(Noto come convoglio “DUISBURG” dal nome del piroscafo tedesco che lo guidava)

Sull’episodio, avvenuto nello Ionio, a sudest della Calabria, la notte del 9 novembre 1941, riporto la seguente sintesi:

All’inizio di novembre 1941 la minacciosa presenza a La Valletta della Forza K (britannica), costituita dagli incrociatori leggeri “Aurora” e “Penelope”, e dai cacciatorpediniere di squadra “Lance” e Lively”, costrinse Supermarina a rallentare alquanto il traffico con la Libia, per organizzare un grosso convoglio diretto a Tripoli, costituito da cinque piroscafi e due petroliere, e scortato dai sei cacciatorpediniere “Maestrale”, “Euro”, “Fulmine”, “Grecale”, “Libeccio” e “Oriani”. Inizialmente era stato deciso di affidarne la protezione a due incrociatori leggeri della 8^ Divisione Navale (“Garibaldi” e “Abruzzi”), di base a Palermo, che avrebbe dovuto scortarlo sulla rotta Canale di Sicilia, Pantelleria, Tripoli; ma poi, ritenendo che la rotta passante a levante di Malta sarebbe stata più favorevole, fu ripiegato sulla ben più potente 3^ Divisione Navale, costituita dagli incrociatori pesanti “Trieste” e “Trento” e dai quattro cacciatorpediniere della 13a Squadriglia “Corazziere”, “Carabiniere”, “Alpino” e “Bersagliere.

Il convoglio, denominato “Beta” (ma più noto come “Duisburg” dal piroscafo tedesco capo convoglio), proveniente in parte da Napoli e in parte da Palermo, si riunì alla 3^ Divisione Navale dell’ammiraglio Bruno Brivonesi a sud dello Stretto di Messina. Nel pomeriggio dell’8 novembre, mentre le navi seguivano un percorso molto allargato verso la costa occidentale della Grecia per tenersi molto lontano dalla minaccia aerea di Malta, il convoglio fu avvistato da un aereo da ricognizione della R.A.F., che però non riuscì ad individuare la 3^ Divisione Navale. Comunque l’aereo britannico confermò quello che al Comando di Malta era conosciuto per l’intercettazione e decrittazione, da parte dell’organizzazione Ultra, di messaggi operativi, trasmessi da Supermarina con la sua macchina cifrante Hagelin C. 38.

Immediatamente calata l’oscurità le quattro unità della “Forza K”, che erano al comando del capitano di vascello Agnew sull’incrociatore "Aurora", salparono senza essere avvistati dal porto della La Valletta, e alle 01.00 dell’indomani intercettarono il convoglio “Beta”. Dopo averlo avvistato otticamente, e quindi per mezzo dei binocoli, ed essersi avvicinate con una lunga manovra durata ben diciassette minuti, senza che le navi italiani si fossero accorte di nulla, le unità britanniche aprirono il fuoco. Nel breve spazio di soli sette minuti esse annientarono tutti i piroscafi assieme ad uno dei cacciatorpediniere di scorta (“Freccia”), senza che la 3^ Divisione Navale avesse avuto il tempo di parare la minaccia e poi di svolgere un’efficace reazione di fuoco.

Al momento in cui ebbe inizio l’attacco le unità dell’ammiraglio Brivonesi (2 incrociatori e 4 cacciatorpediniere) si trovavano leggermente di poppa e a circa 4.000 metri sul fianco destro del convoglio, che seguiva rotta sud. La “Forza K” attaccò il convoglio provenendo da sud-est, iniziando il tiro contro i piroscafi e i loro 6 cacciatorpediniere di scorta ad una distanza di circa 6.500 metri. Il Comandante della 3^ Divisione Navale invece di stringere le distanze sul nemico, dirigendo anch’esso con le sue navi per sud-est, in modo da entrare con i quattro cacciatorpediniere e i due incrociatori in azione di mischia, preferì allargare per mettere in campo tutte le artiglierie, iniziando il fuoco alla distanza di circa 10.000 metri. Quindi, continuando nella sua rotta di allontanamento verso sud, effettuò una inconcludente azione di fuoco, contro un avversario sfuggente che aumentava le distanze, e che poi, ruotando intorno ai piroscafi in fiamme, si sottrasse al tiro degli incrociatori italiani, la cui ultima salva fu sparata dal “Trieste” alla distanza di 17.000 metri, a dimostrazione che quella notte la visibilità era discreta.

Occorre dire che la reazione a fuoco degli incrociatori pesanti italiani fu talmente inconcludente che le unità della Forza K neppure si accorsero di essere sotto il tiro dei grossi cannoni da 203 mm. Il che ci porta a dire: dove andavano a finire le nostre salve ?

L’ammiraglio Brivonesi, apprezzando giustamente che la “Forza K” avrebbe diretto verso Malta dopo aver aggirato il convoglio, invertendo la rotta della 3^ Divisione ad un tempo, tentò di riprendere il contatto, dirigendo verso nord per tagliare la rotta al nemico. Ma, trovandosi illuminato dalla luce degli incendi delle navi in fiamme, e temendo di essere un bersaglio troppo visibile ad eventuali attacchi di sommergibili, e a quelli provenienti da aerosiluranti, che erano stati segnalati da Supermarina in base ad intercettazioni radio-goniometriche, e che il Comandante della 3^ Divisione Navale, tenendo conto della grande distanza che lo separava da Malta, ritenne potessero essere decollati da una portaerei – del tutto inesistente – preferì allontanarsi rapidamente verso nord-ovest, per portarsi all’alba sotto la protezione degli aerei da caccia della Sicilia.

Infine, mentre si svolgeva l’opera di salvataggio dei naufraghi delle navi affondate e il rimorchio alle unità di scorta rimaste danneggiate, il mattino del 9 il sommergibile britannico “Upholder” silurò ed affondò il cacciatorpediniere “Maestrale”. Quest’ultimo affondò alcune ore più tardi, portando le perdite del convoglio “Beta” ad un totale di sette mercantili e due unità di scorta, e al danneggiamento di altri tre cacciatorpediniere. Di essi, l’”Euro” fu colpito da ben sei proietti, un altro proietto, prima di esplodere, passò da parte a parte lo scafo del “Libeccio”, e un altro colpo demolì l’albero della radio del “Maestrale”.

Invece, nessun danno, tranne una scheggia su un fumaiolo di un cacciatorpediniere, riportarono le quattro navi britanniche, , che durante il rientro schivarono anche due attacchi di aerosiluranti italiani. Il fatto che tutti i sette piroscafi del convoglio fossero rimasti, immobilizzati nello spazio di pochi minuti, dette agli inglesi l’impressione che il convoglio italiano non avesse fatto alcun tentativo di diradarsi. Lo stesso capitano di vascello Agnew, comandante della Forza K, ritenne “che le navi mercantili stessero attendendo il loro turno per essere distrutte “.

Da una relazione di un superstite del "Conte di Misurata" si apprende che i primi piroscafi ad essere colpiti furono il "Maritza" e il "Sagitta", i quali si trovavano sulla dritta del convoglio. Il comandante del "Conte di Misurat"a, capitano Mario Penco, nel tentativo di disimpegnarsi, ordinò di mettere la “poppa al fuoco nemico” e di aumentare al massimo la velocità . Dopo pochi minuti due bengala illuminarono il convoglio, ed uno di essi fu visto scendere lentamente proprio sulla nave cisterna, che fu subito inquadrata da salve d’artiglieria, restando colpita alla linea di galleggiamento e al fumaiolo per poi arrestarsi in fiamme. La nave britannica che tra le 11.10 e le 01.15 aveva portato a termine l’azione contro la cisterna era l’incrociatore" Aurora", il quale, dopo aver incendiato il piroscafo "Rina Corrado" e poi il "Conte di Misurata", continuando la sua opera di distruzione, aprì il fuoco sulla grande cisterna "Minatitland", che fu centrata con salve dirette dall’ausilio del radar di scoperta navale tipo 284. Nelle condizioni di completa sorpresa in cui si verificò l’attacco delle navi britanniche, caratterizzato da un tiro estremamente preciso, la relazione dei cacciatorpediniere italiane della scorta del convoglio si dimostrò tardiva e insufficiente; anche perché, come abbiamo visto, due unità su sei restarono subito immobilizzate fin dai primi colpi, e le altre quattro, per ordine del comandante della 10a Squadriglia sul "Maestrale", diressero per allontanarsi, preferendo la manovra di scampo a quella del combattimento. Per questo motivo, al rientro alla base, il comandante della scorta del convoglio fu immediatamente sbarcato da Supermarina. Il successo della “Forza K” fu di grandissima portata strategica. Esso non solo incoraggiò gli inglesi ad aumentare gli sforzi per bloccare i rifornimenti destinati alla Libia, ma nel contempo portò ad un clima di insicurezza e di maggiore preoccupazione degli italiani, in particolare nel Sottosegretario e Capo di Stato Maggiore ammiraglio Riccardi che, con il Promemoria n° 179 del 13 novembre, dovette giustificare presso Mussolini l’inatteso disastro notturno. Inoltre, emersero in modo drammatico, le lacune tecniche e di addestramento italiane, impietosamente esposte dai rappresentanti germanici a Roma, e confermate dagli stessi ambienti della Regia Marina. In queste condizioni, in cui veramente occorreva superare uno scoglio difficile, agli italiani non restò che sperare nell’atteso aiuto della Luftwaffe in Sicilia, deciso da Hitler per venire incontro all’amico Mussolini. Nel contempo, causa l’urgenza di far affluire in Libia i rifornimenti, fu deciso di tentare di far passare a tutti i costi un altro grosso convoglio diretto a Tripoli, con scorta ulteriormente rinforzata; operazione che, dopo varie difficoltà, riuscì finalmente nella seconda metà del mese di dicembre, facendo intervenire la quasi totalità delle forze navali ed aeree dell’Asse.

Francesco MATTESINI

23 Febbraio 2012

Francesco Mattesini, “Corrispondenza e Direttive Tecnico-Operative di Supermarina, Volume primo I Tomo (Gennaio 1941 – Dicembre 1941), edito nel 2001 dall’Ufficio Storico della Marina Militare, Capitolo 20, pag. 68-70. Per saperne di più sull'intera operazione, Francesco Mattesini, “”Il disastro del convoglio “Duisburg””, Bollettino d’Archivio della Marina Militare, Settembre e Dicembre 1996.


Domande 1[modifica wikitesto]

Professore Mattesini potrei approfittare dell'occasione per farle alcune domande? Per esempio una cosa che vorrei chiederle e' se e' pura invenzione il fatto che Brivonesi illumino' le navi del convoglio con traccianti rendendo l'azione nemica piu' facile. In secondo luogo le vorrei chiedere se ha una spiegazione (a parte la sorpresa) riguardo il fatto che le navi del convoglio fossero rimaste ferme. Da ultimo mi piacerebbe sapere se la tesi che la Regia Marina non fece del suo meglio per proteggere i suoi convogli (come faceva la Royal Navy che si mobilitava in forze quando doveva rifornire Malta) e' vera o falsa. Ho letto il libro di Sadkovich e mi pare piuttosto assolutorio in quanto attribuisce la ragione della mancata scorta alle deficienze di carburante. Ma a tale proposito ricordo (probabilmente male) che la Marina immagazzino' un gran quantitativo di carburante in depositi inadatti che lo deteriorarono rendendolo inservibile. Immagino, poi, che la scoperta di rilevanti riserve di carburante all'indomani dell'8 settembre sia una favola. La ringrazio in anticipo --Ipvariabile (msg) 19:50, 23 feb 2012 (CET)[rispondi]

Risposte[modifica wikitesto]

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Premetto che il potenziale di artiglieria dei due contendenti, nel corso del combattimento navale, era il seguente:

3a Divisione Navale, incrociatori “Trieste” e “Trento”, armati ciascuno con 8 cannoni da 203 mm; cacciatorpediniere della 13a Squadriglia, “Corazziere”, “Carabiniere”, “Alpino” e “Bersagliere, armati ciascuno con 5 cannoni da 120.

“Forza K”, incrociatori leggeri “Aurora” e “Penelope”, armati ciascuno con 6 cannoni da 152 mm. (erano per dimensioni e armamento i più modesti incrociatori della “Royal Navy” armati con pezzi di quel calibro); cacciatorpediniere “Lance” e “Lively”, armati ciascuno con 6 cannoni da 120.

I sei cacciatorpediniere di scorta al convoglio (“Maestrale”, “Euro”, “Fulmine”, “Grecale”, “Libeccio” e “Oriani”, disponevano di 24 cannoni da 120.

Totale delle artiglierie:

ITALIANE, nella 3a Divisione 16 cannoni da 203 e 44 cannoni da 120; nella scorta al convoglio 20 cannoni da 120. In totale gli italiani disponevano di 16 cannoni da 203 e di 44 cannoni da 120;

BRITANNICHE, 12 cannoni da 152, e 12 cannoni da 120.

Senza contare il gran numero di proietti consumati dai cacciatorpediniere italiani, il “Trieste” sparò 119 proietti perforanti da 203 m/m e 82 proietti illuminanti da 100 m/m, mentre il “Trento” sparò 88 granate perforanti da 203 m/m, 60 proietti illuminanti (8 da 120 e 52 da 100 m/m) e 30 proietti da 100 m/m con codette luminose, che servirono quali telemetri per le granate da 203 m/m che ne erano sprovviste. Complessivamente le granate perforanti da 203 m/m sparate dai due incrociatori italiani furono 207.

N.B. Queste informazioni, e una ricostruzione minuziosa e particolarmente documentata, supportata da stampa di documenti originali, di cartine e di fotografie, si trovano nel mio saggio IL DISASTRO DEL CONVOGLIO “DUISBURG”, stampato in due parti nel BOLLETTINO D’ARCHIVIO dell’Ufficio Storico della Marina Militare di Settembre e Dicembre 1996, ben conosciuto da storici specializzati italiani e stranieri.

Il saggio si compone di due parti: Parte prima, “L’invio a Malta della Forza K e la pianificazione del convoglio Beta”, pag. 77-201; Parte seconda, “Lo scontro notturno”, pag. 29-153.

Francesco MATTESINI


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Di notte le codette luminose erano necessarie per far individuare i bersagli agli incrociatori. Furono infatti sparate a questo compito 60 proietti illuminanti (8 da 120 e 52 da 100 m/m), ma non credo che il loro impiego abbia contribuito a rendere più visibili i piroscafi del convoglio, già chiaramente individuati e praticamente già distrutti quando il "Trieste" e il "Trento", perdendo tempo per allargarsi e portare in cvampo tutte le artiglierie, cominciarono a sparare contro bersagli sfuggenti che si coprivano dietro i fumi delle navi del convoglio in fiamme.

Le navi del convoglio erano rimaste sorprese dall’attacco improvviso, e non avendo la scorta individuato il nemico, come era suo dovere, ritennero inizialmente che si trattasse di un attacco aereo. Le manovre successive non riuscirono perché le quattro navi britanniche in sette minuti di tiro, a cui seguì il lancio di siluri, avevano praticamente distrutto l’intero convoglio “Beta”.

La Regia Marina fece del suo meglio per proteggere i convogli, ma la strategia di Supermarina era in questo campo piuttosto prudente. Se il nemico era segnalato in mare, si cercava di trattenere le navi nei porti per non correre rischi, almeno fino a quando l’avversario non fosse rientrando in porto o si trovasse in rotta di ritorno. Nei combattimenti per difendere i convogli il nemico ha sempre avuto la meglio, anche attaccando con forze inferiori a quelle difensive italiane. Naturalmente questo comportamento non era condiviso dall’alleato tedesco, a cui si doveva la stragrande copertura di forze ai convogli, ed era sempre pronto ad intervenire con i suoi reparti offensivi per proteggerli.

Il problema della nafta, di cui esisteva all’inizio della guerra una scorta di 1.700.000 tonnellate, è diventato un problema tragico all’inizio del 1942, ed è durato per tutto il restante scorcio del conflitto, e questo naturalmente andò a scapito di tutto il programma dell’addestramento, che ne risentì parecchio. Ogni intervento navale doveva fare i conti di questa realtà, ma Supermarina, volendo evitare perdite, e quindi correre rischi minimi, ci mise sempre del suo. Inoltre, diciamolo francamente, il rifornimento della nafta all’Italia e della Germania dipendeva dai pozzi petroliferi della Romania, e questo portava a continue richieste che quella Nazione, anche per le sue stesse esigenze, non riusciva a soddisfare. Le forniture dalla Romania, che erano state calcolate in almeno 100.000 tonnellate mensili di nafta, erano divenute sempre minori (a volte sotto le 50.000 tonnellate), e in queste condizioni spesso le navi poterono prendere il mare per la Libia soltanto grazie alla Marina Germanica che molte volte si trovò a doversi privare di quantità importanti delle sue scorte.

La riserva di carburante all’8 Settembre 1943 era un po’ migliorata, perché dopo la perdita della Tunisia i problemi del traffico marittimo erano divenuti molto minori, praticamente limitati al Tirreno, per rifornire la Sicilia, la Sardegna e la Corsica, e al Basso Adriatico, sulle rotte con Dalmazia, Albania e Grecia. Quindi la Regia Marina aveva potuto concentrare nei depositi una certa quantità di nafta, oltre a quella che si trovava sulle navi, che all’Armistizio cadde in mano tedesca.

Francesco Mattesini

Domande 2[modifica wikitesto]

Grazie mille per le risposte. Data la sua vasta conoscenza in materia mi permetto di chiederle un'ultima cosa piuttosto delicata. Capisco benissimo che potrebbe non rispondere per ragioni di opportunita'. Premetto che in tutti i paesi esistono dei personaggi che fanno il doppio gioco e passano informazioni al nemico. All'indomani della sconfitta in ambienti di destra nacquero alibi circa i "tradimenti" e i "complotti massonici". La conoscenza di Ultra e studi piu' approfonditi hanno dimostrato le vere ragioni della pessima prova delle armi italiane. Comunque resta il fatto che ho trovato poche spiegazioni per la resa di Pantelleria, l'auto distruzione delle difese Augusta e le frasi che Francesco Maugeri scrisse nel suo libro "From the Ashes of Disgrace". Mi permetto di citare una parte della voce qui:

«Luigi Sansonetti successe a Inigo Campioni nella carica di sottocapo di stato maggiore. Egli riferi' a Cavallero che a suo parere gli affondamenti del naviglio mercantile non dipendevano da eventuali spie nei porti da cui partivano e arrivavano i piroscafi ma da Roma. La risposta di Cavallero fu: “Ordino che non si telefoni più in materia di traffico marittimo”[1], [2]

«L’ammiraglio Jachino disse: “Anche a Roma le notizie trapelavano con grande facilità e, durante il mio comando, ebbi più volte l’occasione di segnalare l’avvenuta diffusione di una informazione che quasi certamente era trapelata per opera, sia pure involontaria, di elementi del ministero. Supermarina e l’Ufficio informazioni[3] non hanno mai voluto ammettere che la loro organizzazione fosse difettosa per quanto riguarda la riservatezza e tendevano ad attribuire la colpa ad elementi periferici”[4]

Lei ha un'opinione precisa sulla questione? --Ipvariabile (msg) 11:47, 24 feb 2012 (CET)[rispondi]

Note[modifica wikitesto]

  1. ^ Annota Cavallero nel suo diario il 9 ottobre 1942: Nella riunione sui trasporti l’ammiraglio Sansonetti afferma che le navi che partono d’improvviso non vengono attaccate, il che fa pensare allo spionaggio. Esclude che le notizie partano dai porti ed afferma che partono invece da Roma. Ordino che non si telefoni più in materia di traffico.
  2. ^ Navi e poltrone, Antonino Trizzino pag 224 segg.
  3. ^ Diretto da Maugeri
  4. ^ Navi e poltrone, Antonino Trizzino pag 224 segg.


Non è che non voglia rispondere ai suoi quesiti, che ho trattato molte volte, ma senza mai dargli il contenuto di tradimento, ma bensì ad una casta, formatasi nell’ambiente monarco-fascista, formata da incapaci.

Su Trizzino è meglio non parlare, perché la conoscenza dell’Ultra ha mostrato che i suoi numerosi lavori, tutti improntati sui “traditori a Roma”, erano perlomeno inesatti e, forse, anche frutto di malafede.

La questione è invece molto deprecabile dal punto di vista morale, perché a Pantelleria si trovava un ufficiale che, pur disponendo di una guarnigione di quasi 12.000 uomini, praticamente ha deciso di arrendersi (con la giustificazione falsa che mancava l’acqua), ancor prima che il nemico sbarcasse.

Ironicamente, vista la scarsissima reazione offerta da qualche italiano volenteroso, il nemico poté vantare, e questo fa parte della nostra vergogna, di aver subito una sola perdita: “un uomo morso da un mulo”.

La stessa considerazione la sui può fare per Augusta, ma è meglio non infierire.

Non ho da fare alcuna considerazione sul contenuto delle dichiarazioni del dopoguerra da parte di generali e ammiragli, che hanno trascorso il tempo la leticare tra di loro, unico modo per cercare di alleviare le reciproche responsabilità, polemica ripresa e ingigantita dalla stampa. Tutto all’italiana!

Francesco

___________________

Ho constatato che vi da parte di Wikipedia molta perplessità ad accettare, sulla distruzione del convoglio “Duisburg, quanto ho scritto, riportando delle sintesi in VOCE, forse perché non ho citato la fonte del saggio:

Il tutto è riportato in: Francesco Mattesini, “”Il disastro del convoglio “Duisburg””, Bollettino d’Archivio della Marina Militare, pubblicato in due parti. Parte prima:””L’invio a Malta della Forza K e la pianificazione del convoglio “Beta”” da parte dei Comandi italiani",settembre 1996, pag. 77-201; Parte seconda, “Lo scontro notturno”, dicembre 1996, pag. 29-153.

Tutto quanto ho scritto, in sintesi, e abbiamo discusso si trova nella seconda parte, ai capitoli “L’attacco della Forza K al convoglio “Beta””, “L’inconcludente reazione a fuoco della 3^ Divisione Navale”, e “Il disimpegno delle Forze navali”, pag. 29-60.

Vi pregherei di inserire questo mio saggio nella vostra Bibliografia, dal momento che si tratta del lavoro più dettagliato e documentato che, sull'argomento del "Duisburg", sia stato prodotto fino ad oggi.

Debbo purtroppo lamentare, e non sono il solo a farlo, che i lavori sul "Bollettino d'Archivio", da considerare a tutti gli effetti di natura ufficiale, non sono stati mai reclamizzati come meritano nelle librerie e nelle edicole; e questo soprattutto per motivi di natura burografica. I libri e le pubblicazioni dell'Ufficio Storico possono essere acquistati recandosi in sede, presentando all'Ufficio Vendite la matrice del pagamento in conto corrente postale. Si può acquistare anche scrivendo, o per Email, mettendosi in contatto con il citato Ufficio Vendite. Inoltre, la conoscenza delle pubblicazioni è semplificata dal fatto che sono inseriti nel Sito della Marina, e tutti poissono colsultare il relativo catalogo con il prezzario.

Cordialmente

Francesco Mattesini

________________________

Al vostro testo faccio una precisazione. Alle 16.45 dell’8 novembre il convoglio “Beta” fu avvistato, in lat. 37°38’N, long. 17°16’E, da un aereo da ricognizione Maryland con pilota e capo equipaggio il tenente colonnello J.N. Dowland (e quindi non Warburton), ossia il Comandante del 69° Squadron da Ricognizione della RAF di Malta, che però non riuscì ad individuare la 3^ Divisione Navale. Di essa i britannici rimasero sempre all’oscuro, anche durante il combattimento navale, dal momento che nel rapporto del comandante Agnew e scritto che i colpi in arrivo, non riconosciuti per proietti da 203 mm, erano stati sparati da due cacciatorpediniere avvistati verso nord.

Francesco Mattesini, il “”Disastro del convoglio “Duisburg””, pag. 142; Riferimento a Tony Spooner, "Supreme Gallantry. Malta's Role in the Allied Victory 1939-1945", John Murray, Londra, 1996, pag.80-81.

N.B. Tony Spooner era un pilota della ricognizione notturna di Malta, prima nel 221° Squadron, poi nel 69°.

Francesco Mattesini

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Gianni Rocca, nel suo volume “Fucilate gli Ammiragli”, magnifico dal punto di vista narrativo, da grande giornalista, ma carente nelle fonti bibliografiche d’Archivio, riguardo alla distruzione del convoglio “Beta” ha fatto tre interventi che meritano di essere precisati, avendo io trattato l’argomento per conto dell’Ufficio Storico della Marina Militare.

Avendo conosciuto in vita il Dottor Rocca, che mi fece una grossa recensione sulla “Battaglia di Punta Stilo” e a cui donai alcuni miei libri (compreso “Il giallo di Matapan” citato in bibliografia), faccio le seguenti osservazioni, non come critica nei suoi riguardi, me ne guardo bene, ma per puntualizzazione dell’episodio.

Le tre osservazioni, che possono servire per la Fonte, riguardano.

1°) La scoperta del convoglio Beta da parte del radar delle navi inglesi (pag. 168);

2°) il termine scelto da Rocca per indicare le navi mercantili del convoglio simili a “pecore indifese” (pag. 168);

3° il comportamento tenuto dall’ammiraglio Bruno Brivonesi, che invece è molto dettagliato e preciso (pag 178-170).

1°) La scoperta del convoglio “Duisburg” da parte della Forza K di Malta, verificatosi nella notte sul 9 novembre 1941, non fu assolutamente da addebitare al “radar” del nemico ma alla “vista acuta, e fornita di un buon binocolo”, di una vedetta dell’incrociatore Aurora, che guidava la marcia delle quattro navi britanniche. Anche la successiva manovra di avvicinamento, sviluppata dal lato più favorevole per portare il devastante attacco, si verificò per ben diciassette minuti senza che gli italiani si accorgessero della minaccia, e senza che il radar avesse importanza nella manovra delle navi britanniche. In un secondo tempo, invece, il “radar” servì alle unità della Forza K quale strumento nella direzione e distanza del tiro per colpire le navi del convoglio, già in fiamme. Dal momento che il nemico aprì il fuoco dalla distanza di 5.000 metri, e l’avvistamento si era verificato alla distanza di circa 15.000 metri, può apparire vi sia il sospetto di una scarsa vigilanza sulle navi italiane, mentre in realtà, nelle cause del disastro, vi influì, ancora una volta, e non sarebbe stata l’ultima, la scarsa attitudine degli italiani a combattere di notte; e ciò a causa delle vistosissime, e già più volte riscontrate, lacune di addestramento a quel tipo di combattimento, ove servivano, più che il radar di quell’epoca, ancora imperfetto, buone attrezzature ottiche, d’avvistamento e di tiro, e prontezza e precisione nel colpire con cannoni e siluri.

2°) Il termine scelto dal Dottor Rocca per indicare le navi mercantili del convoglio simili a “pecore indifese” non può piacere, ma può essere giustificato dal fatto che i sette piroscafi dell’intero convoglio erano tutti in fiamme dopo soli sette minuti di fuoco nemico, assieme a due cacciatorpediniere della scorta.

3°) Quanto al comportamento tenuto dall’ammiraglio Bruno Brivonesi, comandante della 3^ Divisione incrociatori pesanti assegnata alla protezione del convoglio, che aveva erroneamente manovrato nel tentativo di contrasto all’azione nemica, esso fu giudicato dal Tribunale di Guerra. Ma ancora una volta, essendo molte le responsabilità del disastro e i responsabili da ricercare anche altrove, tutto finì all’italiana, con la piena assoluzione di Brivonesi, e con un incarichi di comando a terra di una certa responsabilità. Inizialmente, dopo avergli tolto il Comando della 3^ Divisione Navale, assunse la carica di Sottocapo di Stato Maggiore aggiunto a Supermarina (sembra un premio), e poi di Comandante di Marina Maddalena. Visto come poi sarebbe affondata la corazzata ROMA, per la mancata difesa della Maddalena, sarebbe stata una fortuna che quell’ultimo incarico non gli fosse stato assegnato.

Francesco Mattesini

Per saperne di più, Francesco Mattesini, “”Il disastro del convoglio “Duisburg””, Bollettino d’Archivio della Marina Militare, Parte seconda, “Lo scontro notturno”, dicembre 1996.