Decreto Visocchi

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca

Il cosiddetto "decreto Visocchi", più propriamente il regio decreto legge 2 settembre 1919, n. 1633, recante provvedimenti per l'incremento della produzione agraria, fu emanato dal governo presieduto da Francesco Saverio Nitti, su proposta del ministro dell'agricoltura Achille Visocchi.

Finalità[modifica | modifica wikitesto]

Il decreto attribuiva ai prefetti la facoltà di assegnare in occupazione temporanea, sino a un massimo di quattro anni, terreni incolti o mal coltivati a contadini organizzati in associazioni o enti agrari legalmente costituiti. Il decreto prevedeva, inoltre, un'estensione a tempo indeterminato della concessione per i terreni con obbligo di bonifica o che richiedevano cambiamenti di colture.

Per ottenere l'assegnazione del terreno occorreva un permesso rilasciato da una commissione composta in ugual misura da rappresentanti dei contadini e dei proprietari, sotto il controllo del prefetto, il quale doveva valersi del parere del direttore della cattedra di agricoltura. La commissione stabiliva anche la durata dell'occupazione e il prezzo della locazione che i contadini dovevano versare al proprietario.

Applicazione[modifica | modifica wikitesto]

L'applicazione del decreto ebbe effetti assai limitati: dopo sette mesi il decreto era stato applicato a meno di 30.000 ettari. Secondo alcuni autori, tuttavia, il provvedimento non sarebbe stato mirato al rilancio della produzione agraria, quanto in realtà a fornire una specie di "copertura" legale ex post, una sorta di condono dei numerosi disordini che andavano manifestandosi in tutto il paese con innumeri occupazioni abusive di latifondi e di terre incolte[1]. Secondo Serpieri, che ebbe a calcolare ed assommare in circa 27.000 ettari la totale estensione delle terre così cedute ai coloni durante la vigenza del provvedimento[2], il decreto stesso era "uno dei più malfamati del dopoguerra"[3], mentre fu giudicato eccessivamente "timido" da Filippo Turati[4].

Seguito a breve distanza da un analogo "decreto Falcioni" e da un non dissimile "decreto Mauri", più di un osservatore[5] ha ravvisato nel successivo cosiddetto Decreto Gullo[6] l'omologo provvedimento per il dopoguerra successivo.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ F. Cordova, Il fascismo nel Mezzogiorno: le Calabrie, Rubbettino, Soveria Mannelli 2003, ISBN 884980489X, che avalla quanto sostenuto da G. Sabbatucci ne I combattenti nel primo dopoguerra, Laterza, Bari 1974.
  2. ^ Dato confermato, fra i tanti, in F. Bogliari, Il biennio rosso nelle campagne umbre (1919-1920), in «Italia contemporanea», n. 123 - aprile-giugno 1976.
  3. ^ A. Serpieri, La guerra e le classi rurali italiane, 1930.
  4. ^ M. Degl'Innocenti, Filippo Turati e il socialismo europeo, Guida Editori, Napoli 1985, ISBN 887042832X.
  5. ^ Ad esempio P. Villani, Trasformazioni delle società rurali nei paesi dell'Europa occidentale e mediterranea (secolo XIX-XX): bilancio degli studi e prospettive di ricerca, in Atti del Congresso internazionale, Napoli e Sorrento dal 25 al 28 ottobre 1982, Università di Napoli - Centro studi per la storia comparata delle società rurali in età contemporanea, Guida Editori, Napoli 1986, ISBN 887042815X.
  6. ^ Regio decreto 3 giugno 1944, n. 146 (noto come "riforma della mezzadria").