Circoncisione nell'islam

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La pratica della circoncisione (Khitān) ha una origine remota. Se ne trovano tracce nella Bibbia (Genesi, XVII,23-27) laddove si racconta che Abramo circoncise Ismaele, all'età di tredici anni, e tutti i maschi della sua casa. Anche Abramo, che aveva novantanove anni, si fece circoncidere nello stesso giorno. Anche nell'antico Egitto la pratica esisteva; si ha poi testimonianza della sua diffusione tra le popolazioni semitiche della Palestina. Anche gli arabi preislamici praticavano la circoncisione.

Quanto al valore sociale della pratica, l'origine più remota sembra identificarla con il rito di passaggio dalla impubertà alla pubertà, più precisamente come rito che dà la piena virilità, come segno della piena maturità fisica, e il pieno diritto di appartenenza al gruppo dei maschi adulti; il minore diventa così maggiorenne, acquisendo la piena capacità di agire; egli viene pertanto introdotto legittimamente nella condizione matrimoniale (in tal senso l'ablazione del prepuzio costituisce una rimozione della femminilità residua nell'adolescente e l'acquisizione della maschilità completa). La stessa circoncisione di Ismaele quando aveva tredici anni (Genesi 17,25) sembra attestare questa dottrina[1].

Ma presso gli ebrei la circoncisione assunse un valore più propriamente religioso, come “segno dell'alleanza”, che introduce il maschio nel popolo eletto:

«Questa è la mia alleanza che dovete osservare, alleanza tra me e voi e la tua discendenza dopo di te: sia circonciso tra voi ogni maschio. Vi lascerete circoncidere la carne del vostro membro e ciò sarà il segno dell’alleanza tra me e voi (Genesi, 17,10-11).»

Per questo motivo, il rito viene anticipato all'ottavo giorno dalla nascita (Genesi, 17,12). Presso gli ebrei, questa pratica sembra, tuttavia, essere divenuta norma obbligatoria e generale soltanto nel periodo dell'esilio.

Circoncisione maschile nell'Islam[modifica | modifica wikitesto]

Nell'islam manca il concetto di “patto” o “alleanza”. Prevale, dunque, ma non è esclusivo, il senso più antico della circoncisione. Questa oscillazione dottrinale si riflette sulla fissazione dell'età in cui essa viene effettuata, che varia a seconda delle fonti. Se si prende come punto di riferimento la pratica di Abramo, egli circoncise Isacco a sette giorni e Ismaele a tredici anni. Se, invece, si prende come base giuridica una sunna profetica, Muhammad circoncise i due nipoti, Hasan e Husayn, all'età di sette anni. Ma ci sono anche dottrine in base alle quali la circoncisione può essere effettuata dopo quaranta giorni dalla nascita o all'età di dieci anni.

Il neonato musulmano maschio, nato vivo e vitale, deve essere circonciso. La pratica della circoncisione (khitan), consistente nella escissione del prepuzio, sembra apparentemente confliggere con un altro principio islamico, vale a dire il principio della sacralità del corpo umano. Infatti, qualsiasi danno fisico, che va dal caso estremo dell'omicidio fino alle ferite anche lievi, arrecato ad una persona, è sanzionato dalla legge penale. Solo i necessari interventi medici sul corpo umano sono considerati leciti. Tuttavia, la circoncisione non viene considerata una menomazione fisica, ed è pertanto lecita.

Obbligatorietà della circoncisione[modifica | modifica wikitesto]

L'obbligatorietà della circoncisione non ha base coranica, ma è giustificata dalla sunna profetica[2].
Il Corano non menziona pratiche che prevedano una manipolazione chirurgica del corpo femminile o di sue parti, nell'ambito di un più generale divieto di modificare la creazione di Allah se non per necessità terapeutiche[3].

La circoncisione è ritenuta “obbligatoria” in ambito shafiita, mentre per le altre scuole sunnite rappresenta una buona pratica, meritoria o fortemente incoraggiata[4]. Il dovere di circoncidere i maschi viene meno quando un bambino nasce già circonciso, oppure è troppo debole, o ancora quando un uomo anziano si converte all'islam e lo impedisca la sua cagionevole salute.

Circoncisione femminile nell'Islam[modifica | modifica wikitesto]

La “circoncisione femminile” (khafd o khitan al-untha) può essere effettuata in modo più o meno invasivo. In contesto occidentale, invece di “circoncisione femminile”, si preferisce parlare di “mutilazioni genitali femminili” (MGF), distinte dall'Organizzazione mondiale della sanità in quattro tipi: - clitoridectomia: circoncisione resezione del prepuzio clitorideo con o senza l'escissione di parte o dell'intera clitoride; - escissione del clitoride: resezione del prepuzio e della clitoride insieme alla rimozione parziale o totale delle piccole labbra; - infibulazione o circoncisione faraonica: escissione parziale o totale dei genitali esterni. I due lati della vulva vengono poi cuciti con una sutura o con spine, riducendo in tal modo la dimensione dell'orifizio della vulva e lasciando solo un piccolo passaggio nell'estremità inferiore, per l'emissione del flusso mestruale e dell'urina; - varie pratiche di manipolazione degli organi genitali femminili: piercing, pricking, incisione del clitoride e/o delle labbra; allungamento del clitoride e/o delle labbra; cauterizzazione per ustione del clitoride e dei tessuti circostanti; raschiatura dell'orifizio vaginale (angurya cuts) o taglio della vagina (gishiri cuts); introduzione di sostanze corrosive nella vagina per causare sanguinamento, oppure immissione di erbe con lo scopo di restringere la vagina.

Origine della pratica[modifica | modifica wikitesto]

Le pratiche della escissione e della infibulazione sono comuni a molte culture del passato, eccezion fatta per quella cristiana che vieta la mutilazione del corpo in qualsiasi forma. La maggior parte delle culture che pratica questo tipo di mutilazione contro le donne, manca di giustificazioni religiose per tradizione orale o scritta e si rifà in genere a usanze tribali ancestrali in cui la posizione della donna è la stessa di una fattrice: procreare senza mai provare piacere. Queste pratiche sono oggi condannate e combattute dalla maggior parte di organizzazioni sanitarie mondiali, pur con numerose difficoltà dovute allo scontro con preconcetti tribali e società pseudoprimitive chiuse.

Fonti Islamiche[modifica | modifica wikitesto]

Nelle fonti islamiche si trova un generico riferimento alla clitoridectomia (khafd). Una tradizione profetica (hadith), infatti, riporta che Muhammad, vedendo un giorno una donna specializzata nelle escissioni operare una bambina, le avrebbe detto: “La circoncisione è sunna per gli uomini e solo makruma per le donne. Quando incidi, non esagerare nel tagliare, così facendo il suo viso sarà più splendente e il marito sarà estasiato”. Mentre sunna indica una prescrizione normativa, makruma si riferisce, invece, ad un'“azione nobile”.(Facoltativa).

Qualificazione giuridica della circoncisione femminile[modifica | modifica wikitesto]

Circa l'obbligatorietà della circoncisione femminile, non c'è un riferimento preciso nella letteratura tradizionistica. A loro volta, le scuole giuridiche divergono sulla qualificazione di questa pratica. Solo gli shafi‘iti la considerano “obbligatoria” sia per i maschi sia per le femmine. I malikiti la ritengono makruma li'l-nisa’ (azione raccomandata, nobile, per la donna, ma non è peccato se si omette), mentre i hanbaliti la qualificano sunna (tradizione profetica, azione da imitare, molto fortemente incoraggiata).

In epoca recente, la circoncisione femminile è stata definita come “azione indifferente” dal punto di vista giuridico (Muhammad ‘Ali ‘Abd al-Rahim), mentre lo shaykh Shaltut ha sostenuto che non esiste alcuna giustificazione giuridica per praticare la circoncisione femminile, in quanto manca per questa pratica una qualsiasi base nelle fonti, e non vi sono nemmeno giustificazioni mediche o etiche.

Età della circoncisione femminile[modifica | modifica wikitesto]

Circa l'età in cui praticare la circoncisione, non esiste una regola precisa. Secondo una dottrina, essa va effettuata tra i sette e i nove anni. Secondo un'altra dottrina, la decisione spetta al tutore della ragazza, sulla base delle condizioni psicofisiche della ragazza stessa.

Politiche contrarie alla “circoncisione femminile”[modifica | modifica wikitesto]

La pratica della “circoncisione femminile”, o delle “mutilazioni genitali femminili” (a seconda del punto di vista), è stata fortemente contrastata sia in Italia[5] sia a livello internazionale, per es., nella Conferenza internazionale dell’Onu sulle donne a Copenaghen (1980); con la creazione del “Comitato interafricano sulle pratiche tradizionali che pregiudicano la salute delle donne e dei bambini” (1984); nella Conferenza di Nairobi (Kenya, 1985) ed in quella di Pechino (1995).

In vari Paesi africani sono state intraprese varie iniziative, sia legislative che sociali, per sradicare questa pratica, ma essa viene tollerata e resta ancora largamente diffusa.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Si vedano anche Genesi 34,13-24; Esodo 4,24-26.
  2. ^ Aldo Morrone e Pietro Vulpiani, Corpi e simboli: immigrazione, sessualità e mutilazioni genitali femminili in Europa, Armando Editore, 2004, pp. 104-105, OCLC 470253773. URL consultato il 6 febbraio 2022 (archiviato il 10 aprile 2019).
  3. ^ Tiziana Di Iorio, Identità negate. Mutilazioni genitali femminili: la lotta dell’Europa contro una silenziosa violenza (PDF), in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, n. 12, 2019, p. 10, ISSN 1971-8543 (WC · ACNP). URL consultato il 10 aprile 2019 (archiviato il 10 aprile 2019).
  4. ^ Gianmaria Ajani, Barbara Pasa e Domenico Francavilla, Diritto comparato: Lezioni e materiali, Torino, G. Giappichelli, 2018, p. 374, OCLC 1030972253.
  5. ^ Legge 9 gennaio 2006, n. 7, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 14 del 18 gennaio 2006: “Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile”, con la quale l'Italia ha dettato “le misure necessarie per prevenire, contrastare e reprimere le pratiche di mutilazione genitale femminile quali violazioni dei diritti fondamentali all'integrità della persona e alla salute delle donne e delle bambine” (art. 1).

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Agostino Cilardo, “Il minore nel diritto islamico. Il nuovo istituto della kafala”, in La tutela dei minori di cultura islamica nell'area mediterranea. Aspetti sociali, giuridici e medici, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2011, pp. 226-231.
  • Vardit Rispler-Chaim, Islamic medical ethics in the twentieth century, Leiden 1993, pp. 84-93.
  • Serena Tolino, “La tutela dei minori in Egitto. Il Qanun al-Tifl alla luce degli emendamenti del 2008 e il ruolo delle organizzazioni non governative”, in La tutela dei minori di cultura islamica nell'area mediterranea. Aspetti sociali, giuridici e medici, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2011, pp. 385-389.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]