Chedivè

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Chedivè[1][2][3][4] (meno comunemente kedivè, regolarmente usato in campo specialistico khedivè, utile a traslitterare adeguatamente la consonante fricativa Kha, differente dal suono della k),[5] è un sostantivo di origine persiana, ﺧﺪﻳﻮ, traslitterato khidīw o khadīw ("signore, principe, sovrano"), tradotto spesso come "viceré".

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Fu il titolo riconosciuto nel 1867 dal sultano ottomano Abdul Aziz al governatore dell'Egitto Ismāʿīl Pāscià, nipote di Mehmet Ali (che se l'era de facto assegnato già nel 1805]).
Il titolo in arabo diventò khudaywī o khidīw e fu ereditato dai suoi discendenti fino al 1914.

Nel 1879 Ismāʿīl fu deposto e il titolo di chedivè passò a suo figlio Tawfīq Pascià. Dal 1882 l'Egitto fu sotto l'occupazione militare britannica, ma il chedivè restò sul suo trono e il paese rimase almeno nominalmente sotto la sovranità ottomana.

Allo scoppio della prima guerra mondiale nel 1914, l'Egitto ufficialmente era ancora parte dell'Impero ottomano e governato da un chedivè. A causa dell'alleanza degli Ottomani con la Germania, i britannici deposero ʿAbbās Ḥilmī (ʿAbbās II), trasformarono l'Egitto in un protettorato, e il titolo di chedivè fu soppresso. I successivi sovrani dell'Egitto portarono da quel momento il titolo di sultano, e dal 1922, quello di re dell'Egitto.

Elenco dei Chedivè[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Cfr. chedivè, in Treccani.it – Vocabolario Treccani on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 23 aprile 2015.
  2. ^ Bruno Migliorini et al., Scheda sul lemma "chedivè", in Dizionario d'ortografia e di pronunzia, Rai Eri, 2010, ISBN 978-88-397-1478-7.
  3. ^ Cfr. chedivè, su Hoepli. URL consultato il 30 aprile 2021 (archiviato dall'url originale l'11 luglio 2012).
  4. ^ Cfr. in Nuova enciclopedia universale Rizzoli-Larousse, vol. IV, p. 707, SBN IT\ICCU\MOD\0204626.
  5. ^ Si vedano The Encyclopaedia of Islam, s.v. «Khidīw, Khedive» (P.J. Vatikiotis) e, a puro titolo esemplificativo, Paolo Minganti (Storia dell'Egitto, Milano, Sansoni, 1959); J. Daumal e M. Leroy (Nasser, Milano, Sansoni, 1970) o, più di recente, Massimo Campanini (Storia dell'Egitto contemporaneo. Dalla rinascita ottocentesca a Mubarak, Roma, Edizioni Lavoro, 2005).

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