Bojagi

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Bojagi patchwork di seta dalla collezione del Met.

Un bojagi (보자기?, ?, bojagiLR, pojagiMR) è un tradizionale tessuto da imballaggio coreano. I bojagi sono tipicamente quadrati e possono essere fatti con una varietà di materiali, sebbene la seta o la ramia siano comuni. I bojagi ricamati sono conosciuti come subo, mentre i bojagi patchwork fatti con tessuti diversi sono conosciuti come jogakbo.

I bojagi hanno molti usi, compresi quelli di confezioni regalo, nei matrimoni e nei riti buddisti. Più recentemente, sono stati riconosciuti come una forma d'arte tradizionale, e sono spesso presenti nei musei, ispirando anche reinterpretazioni moderne.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Le religioni popolari coreane credevano che tenere qualcosa avvolto proteggesse la fortuna[1]. Si ritiene che il primo utilizzo degli involucri risalga al periodo dei Tre Regni, ma nessun esempio dell'epoca è sopravvissuto[2].

I primi esemplari superstiti, risalenti ai primi anni della dinastia Joseon (1392-1910), furono usati in un contesto buddhista, come tovaglie o coperture per sutra. I tessuti segnavano in particolare eventi speciali, come matrimoni o fidanzamenti, in cui si credeva che l'uso di un nuovo tessuto trasmettesse "la preoccupazione di un individuo per ciò che era avvolto, così come il rispetto per il suo destinatario". Per un matrimonio reale, potevano essere creati fino a 1.650 bojagi[2].

L'uso quotidiano del bojagi diminuì negli anni Cinquanta e non furono trattati dai coreani come oggetti d'arte fino alla fine degli anni Sessanta[2][3]. Nel 1997, la serie di francobolli "bellezze coreane" incluse quattro francobolli con bojagi[4].

Caratteristiche fisiche[modifica | modifica wikitesto]

Tradizionalmente, il bojagi è un quadrato, che misura da un p'ok di larghezza (circa 35 centimetri) per piccoli oggetti, a dieci p'ok per oggetti più grandi come il letto. I materiali sono seta, ramia e canapa.

Bojagi reali (kungbo)[modifica | modifica wikitesto]

Un bojagi reale.

I tessuti da incarto reai erano conosciuti come kungbo[5]. All'interno della corte reale di Joseon, il tessuto preferito per la loro realizzazione era prodotto internamente in colori dal rosa-rosso al viola. Questi tessuti erano spesso dipinti con disegni, come i draghi[2].

A differenza della frugalità dei tessuti da incarto non regali, che venivano riutilizzati all'infinito, centinaia di bojagi nuovi venivano commissionati in occasioni speciali come i compleanni reali e il Capodanno[2].

Bojagi comuni (minbo o jogakbo)[modifica | modifica wikitesto]

Bojagi patchwork di seta al Asian Art Museum di San Francisco.

I minbo o jogakbo (조각보?) erano bojagi patchwork fatti da popolani[6]. Al contrario dei kungbo reali, che non erano patchwork[2], questi venivano creati unendo insieme piccoli pezzi di tessuto (jogak) avanzati da altri tipi di lavori di cucito, come quelli rimasti dopo i tagli curvi dei tradizionali abiti hanbok, in base al gusto della sarta[2][3].

Come copertura per alimenti[modifica | modifica wikitesto]

I jogakbo sono strettamente associati alle coperture per alimenti. Gli esempi dalla metà del diciannovesimo secolo agli inizi del ventesimo secolo che sono sopravvissuti fino ad oggi hanno spesso un piccolo anello di nastro al centro per aiutare a sollevare il coperchio dal cibo. I bojagi delle dimensioni di un tavolo hanno spesso delle cinghie agli angoli fissarli al supporto.

Bojagi diversi venivano usati per coprire cibi diversi e in stagioni diverse. Mentre i panni leggeri aiutavano l'aria a circolare durante l'estate, per mantenere i cibi caldi in inverno potevano essere imbottiti e foderati. Per evitare che il bojagi si sporcasse di cibo, il lato inferiore era spesso rivestito di carta oleata[2].

Per il trasporto di oggetti[modifica | modifica wikitesto]

I bojagi venivano usati per il trasporto di oggetti, oltre che per la copertura o per tenere radunati gli oggetti nei depositi. Uno di questi esempi è una disposizione a "zaino", in cui il tessuto viene avvolto e legato in modo che gli oggetti possano essere trasportati in modo sicuro sulla schiena.

Bojagi ricamato[modifica | modifica wikitesto]

Il bojagi ricamato, chiamato anche subo (수보?), era un'altra forma di stoffa decorata. Un ornamento comune era quello degli alberi stilizzati, il cui stile variava da "ingenuo"[6] a rappresentazioni dettagliate di fiori, frutti, uccelli e simboli di buona fortuna[7][8]. Questi panni sono strettamente associati a occasioni gioiose come fidanzamenti e matrimoni[2], dove vengono usati per avvolgere i regali dalla famiglia dello sposo alla nuova sposa e le simboliche oche di nozze in legno[9].

Il ricamo veniva fatto con filo filato, su un fondo di cotone o seta. Il subo veniva quindi foderato e probabilmente imbottito[2].

Riferimenti e mostre moderni[modifica | modifica wikitesto]

Mostra di bojagi presso l'International Quilt Study Center & Museum nel 2008.
Opera di Piet Mondrian, il cui uso di quadrati e colori è stato paragonato al bojagi.

Il Museo del ricamo coreano a Seul ha una collezione di 1.500 bojagi, in particolare jogakbo[3]. Anche collezioni museali al di fuori della Corea, tra cui a Kyoto[10], Londra[11], San Francisco[12] e Los Angeles[13], espongono bojagi.

Lo stile patchwork ha ispirato artisti che lavorano in altri media, come gli stilisti Lee Chun-ghie[11][14] e Karl Lagerfeld[15]. La facciata del flagship store del gioielliere francese Cartier a Cheongdam-dong è ispirata al bojagi[16], e anche le ricamatrici giapponesi hanno esplorato questo stile[10].

I motivi del jogakbo sono stati paragonati all'opera di Paul Klee e Piet Mondrian[2][3][6].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Korean Culture and Information Service Ministry of Culture, Guide to Korean Culture, Hollym Corp., 2010, p. 162, ISBN 978-1-56591-287-8.
  2. ^ a b c d e f g h i j k (EN) Young-Key Kim-Renaud, A Celebration of Life: Patchwork and Embroidered Pagoji by Unknown Korean Women, in Creative Women of Korea: The Fifteenth Through the Twentieth Centuries, M.E. Sharpe, 1º gennaio 2004, ISBN 978-0-7656-1189-5.
  3. ^ a b c d Beauty of 'jogakbo' rediscovered, in Korea Times, 4 dicembre 2016. URL consultato il 16 gennaio 2017.
  4. ^ South Korea Stamps 1997, su philately.com:80, 9 agosto 2004. URL consultato il 16 gennaio 2017 (archiviato dall'url originale il 9 agosto 2004).
  5. ^ (EN) Molly Schardt, Profusion of Color: Korean Costumes and Wrapping Cloths of the Choson Dynasty. A Teacher Workshop on March 11, 1995. Teacher's Packet, Asian Art Museum of San Francisco, Golden Gate Park, San Francisco, CA 94114 ($20 per slide set; $6 for Literary Themes)., 1995/03/00. URL consultato l'8 giugno 2019.
  6. ^ a b c Philip Gowman, Mudang and minhwa: It's a wrap, su London Korean Links, 28 febbraio 2009. URL consultato il 16 gennaio 2017.
  7. ^ Framed Royal Purple Wrapping Cloth with Peacocks Archiviato il 13 luglio 2011 in Internet Archive. Korean Art and Antiques
  8. ^ (KO) 보자기 [Our Traditional Cloths], su gms.pe.kr, 22 luglio 2011. URL consultato il 16 gennaio 2017 (archiviato dall'url originale il 22 luglio 2011).
  9. ^ (EN) Patricia Lee, The Wrapping Scarf Revolution: The Earth-friendly Idea that Will Change the Way You Think about Your World, Leisure Arts, 2009, p. 18, ISBN 978-1-57486-106-8.
  10. ^ a b 'Bojagi' culturally links Korea, Japan, in Korea Times, 21 gennaio 2014. URL consultato il 16 gennaio 2017.
  11. ^ a b Lee Chunghie, su collections.vam.ac.uk, Victoria and Albert Museum. URL consultato il 16 gennaio 2017.
  12. ^ Bojagi, su Asian Art Museum. URL consultato il 16 gennaio 2017 (archiviato dall'url originale il 4 maggio 2019).
  13. ^ Bojagi: The Korean Wrapping Cloth, su unframed.lacma.org, LACMA. URL consultato il 16 gennaio 2017.
  14. ^ SDA Members In Print: Chunghie Lee Publishes ‘Bojagi & Beyond’, su surfacedesign.org, Surface Design Association, 26 settembre 2011. URL consultato il 16 gennaio 2017.
  15. ^ (EN) ‘Couture Korea’ exhibit paints past, present, future of Korean fashion, in The Daily Californian, 6 novembre 2017. URL consultato il 21 novembre 2017.
  16. ^ Cathy Rose A. Garcia, Cartier Opens Flagship Store in Cheongdam, in Korea Times, 28 settembre 2008. URL consultato il 9 marzo 2013 (archiviato dall'url originale il 7 novembre 2013).

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