Battaglia dello Stretto di Messina (965)

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Coordinate: 38°14′45″N 15°37′57″E / 38.245833°N 15.6325°E38.245833; 15.6325
Battaglia dello Stretto di Messina
parte delle Guerre arabo-bizantine
Mappa del conflitto navale arabo-bizantino nel Mediterraneo tra il VII e l'XI secolo
Data965
LuogoStretto di Messina
EsitoVittoria dei fatimidi
Schieramenti
Comandanti
Perdite
Circa 1.000 prigionieriNon noto
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La battaglia dello Stretto di Messina (in arabo: waqʿat al-Majāz, "Battaglia dello Stretto") fu combattuta all'inizio del 965 nello Stretto di Messina tra le flotte dell'Impero bizantino e del Califfato fatimide. Ne risultò una significativa vittoria fatimide e il crollo finale del tentativo dell'imperatore Niceforo II Foca di recuperare la Sicilia dai Fatimidi.

Premesse[modifica | modifica wikitesto]

La presa di Taormina da parte degli Aghlabidi nel 902 segnò la fine effettiva della conquista islamica della Sicilia, ma i bizantini mantennero alcuni avamposti sull'isola e la stessa Taormina poco dopo si liberò dal controllo musulmano[1]. Nel 909 i Fatimidi conquistarono la provincia metropolitana aghlabida di Ifriqiya, e con essa la Sicilia. I Fatimidi (e dopo gli anni 950 i Kalbiti, governatori ereditari della Sicilia) continuarono la tradizione della jihad, sia contro le restanti roccaforti cristiane nel nord-est della Sicilia, sia, in modo più prominente, contro i possedimenti bizantini nell'Italia meridionale, seppur stipulando a volte delle tregue temporanee[1][2].

In seguito alla riconquista bizantina di Creta nel 960-961, dove i Fatimidi, vincolati da una tregua con l'Impero e dalle distanze considerevoli, non furono in grado o non vollero interferire[2][3] e rivolsero la loro attenzione alla Sicilia, dove decisero di attaccare i restanti avamposti bizantini: Taormina, i forti della Val Demone e Val di Noto, e Rometta. Taormina cadde sotto il governatore Aḥmad b. Ḥasan Abi l-Husayn il giorno di Natale del 962, dopo più di nove mesi di assedio, e l'anno successivo il cugino, al-Hasan ibn Ammar al-Kalbi, assediò Rometta. Quest'ultima inviò una richiesta di aiuto all'imperatore Niceforo II Foca, che preparò una grande spedizione, guidata dal patrizio Niceta Abalante e dal proprio nipote, Manuel Foca[3][4].

La battaglia[modifica | modifica wikitesto]

Le forze bizantine sbarcarono nell'ottobre del 964 e conquistarono rapidamente Messina e altri forti della Val Demone, ma il tentativo di soccorrere Rometta fallì decisamente e vide la morte di Manuel Foca. Rimasta senza speranza di soccorso, Rometta cadde nella primavera del 965[1][3][4].

Dopo la sconfitta a Rometta, le restanti forze bizantine furono costrette a ritirarsi a Messina. Da lì, Niceta cercò di attraversare lo Stretto di Messina con la flotta bizantina, ma fu intercettato dalla flotta fatimide al comando di Ahmad al-Kalbi. Nella battaglia che ne seguì, nota nelle fonti arabe come la "Battaglia dello Stretto" (in arabo: waqʿat al-Majāz,)[5], il governatore fatimide impiegò sommozzatori equipaggiati per attaccare le navi bizantine: "si tuffavano dalla loro nave e nuotavano verso la nave nemica, al cui timoni fissavano delle funi lungo le quali facevano scorrere pentole di terracotta contenenti fuoco greco, che si frantumavano sul poppa della nave"[3]. Con questa tattica furono distrutte molte navi bizantine e la battaglia si concluse con una netta vittoria fatimide; secondo gli storici arabi furono catturati un migliaio di prigionieri, tra cui l'ammiraglio bizantino Niceta e molti dei suoi ufficiali, il bottino ricomprese anche una pesante spada indiana che recava un'iscrizione che indicava che un tempo era appartenuta a Maometto[2][3][6].

Conseguenze[modifica | modifica wikitesto]

La sconfitta portò i bizantini a chiedere ancora una volta una tregua nel 966/7, stipulando un trattato di pace che lasciò la Sicilia nelle mani dei fatimidi e rinnovò l'obbligo bizantino di pagare tributi in cambio della cessazione delle incursioni in Calabria. Entrambe le potenze erano disposte a venire a patti, poiché entrambe erano occupate altrove: Foca con le sue guerre contro gli Hamdanidi e la conquista della Cilicia, e i fatimidi con la loro pianificata invasione dell'Egitto[2][3].

Il califfo al-Mu'izz li-Din Allah fortificò diverse città in Sicilia in questo periodo, costruì moschee-cattedrali e stabilì musulmani in città della Val Demone fino a quel momento dominate dai cristiani. Taormina, tuttavia, fu rasa al suolo, forse come parte dei termini del trattato di pace, e non fu reinsediata fino al 976[1][3].

Come parte del trattato di pace, i prigionieri bizantini, incluso Niceta, furono riscattati dall'Impero. Niceta aveva trascorso la sua prigionia a Ifriqiya copiando le omelie di Basilio Magno e Gregorio Nazianzeno in un bel manoscritto calligrafico, che dopo la sua liberazione donò a un monastero e che ora si trova nella Biblioteca nazionale di Francia a Parigi[3][6].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d Metcalfe, A. (Alex), The Muslims of medieval Italy, Edinburgh University Press, 2009, ISBN 978-0-7486-2911-4, OCLC 650246468. URL consultato il 15 dicembre 2020.
  2. ^ a b c d Yaacov Lev, THE FĀṬIMID NAVY, BYZANTIUM AND THE MEDITERRANEAN SEA 909-1036 C.E./297-427 A.H., in Byzantion, vol. 54, n. 1, 1984, pp. 220–252. URL consultato il 15 dicembre 2020.
  3. ^ a b c d e f g h Halm, Heinz, 1942-, The empire of the Mahdi : the rise of the Fatimids, E.J. Brill, 1996, ISBN 90-04-10056-3, OCLC 33968490. URL consultato il 15 dicembre 2020.
  4. ^ a b Brett, Michael, 1934-, The rise of the Fatimids : the world of the Mediterranean and the Middle East in the fourth century of the Hijra, tenth century CE, Brill, 2001, ISBN 90-04-11741-5, OCLC 45954266. URL consultato il 15 dicembre 2020.
  5. ^ Ibn al-Athir, al-Maqrizi, Abu'l-Fida
  6. ^ a b (DE) Ralph-Johannes Lilie, Claudia Ludwig, Beate Zielke e Thomas Pratsch, Prosopographie der mittelbyzantinischen Zeit Online, su De Gruyter. URL consultato il 15 dicembre 2020.