Coordinate: 41°54′07.92″N 12°27′11.88″E

Baldacchino di San Pietro

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Baldacchino di San Pietro
Il Baldacchino di San Pietro nella Basilica di San Pietro in Vaticano
AutoriGianlorenzo Bernini e Francesco Borromini
Data1633
Materialebronzo, basamento in marmo
Ubicazionebasilica di San Pietro in Vaticano, Città del Vaticano
Coordinate41°54′07.92″N 12°27′11.88″E

Il Baldacchino di San Pietro è un monumentale ciborio barocco all'interno della basilica di San Pietro in Vaticano, ideato nel XVII secolo per segnare il luogo del sepolcro del santo, inserendosi sullo spazio semicircolare della confessione. Il baldacchino è alto 28,5 metri.

Storia

Visuale dal basso del Baldacchino

Fu realizzato da Gian Lorenzo Bernini tra il luglio 1624 e il 1633. L'incarico di realizzarlo fu la prima grande commissione pubblica che l'artista ottenne in seguito all'elezione di papa Urbano VIII nel 1623; l'opera venne inaugurata il 28 giugno 1633 dallo stesso papa.

Quella del Baldacchino è la prima impresa di Bernini in cui si fondono scultura e architettura a tal punto da creare una allegorica immagine di un oggetto, un catafalco processionale di grandezza monumentale, molto più grande del solito, e che sostituisse il consueto ciborio inserendosi nello spazio in maniera innovativa e scenografica, aprendo nuove prospettive all'architettura barocca.

Quest'impresa è il risultato di un lavoro di cantiere collettivo che vide coinvolti Francesco Borromini, suo assistente per la parte architettonica, il quale partecipò alla progettazione[1], e altri artisti celebri come gli scultori Stefano Maderno, François Duquesnoy, Andrea Bolgi, Giuliano Finelli, Luigi Bernini (fratello di Gian Lorenzo) e una schiera di fonditori e scalpellini.

Per molto tempo fu diffusa la credenza che per realizzare l'opera vennero asportati e fusi gli antichi bronzi del Pantheon, consistenti nelle massicce travature del pronao. La scellerata decisione ispirò la celebre pasquinata Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini ("ciò che non fecero i barbari, fecero i Barberini") con la quale si voleva sottolineare la smisurata ambizione della famiglia del pontefice che, pur di autocelebrarsi con monumenti spettacolari, spendeva cifre enormi e neppure si fermava di fronte al danneggiamento di uno dei monumenti più importanti dell'antica Roma. L'autore della celebre "pasquinata" è stato identificato dal critico d'arte de L'Osservatore Romano, Sandro Barbagallo, in monsignor Carlo Castelli, ambasciatore del Duca di Mantova. A certificarne l'identificazione è il diario dello stesso Urbano VIII, conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana con il nome di Codice Urbinate 1647. A pagina 576v è così scritto: Dalle lingue malediche e detrattori di fama contaminata fu decantato lo spoglio d' un ornamento antico, benché ciò sia stato vero di haver levato quel Metallo, ma estimato ancor bene e posto, per essere stata ornata la Chiesa de' SS. Apostoli, e si è visto a tempi nostri sopra di questi Critici la maledizione di Dio, perché l'Agente del Duca di Mantova che fu Detrattore di aver affissi i Cartelli di quell'infame Pasquinata da famiglia Barbera ad Barberina, egli morse d'infermità e nel letto chiese perdono a Papa Urbano Ottavo.[2]

In realtà i bronzi del Pantheon servirono per la realizzazione di 80 cannoni di Castel Sant'Angelo[3]. Secondo la storica dell'arte americana Louise Rice, che insegna alla New York University le cose andarono diversamente, ma questa versione dei fatti fu appositamente confezionata dalla propaganda papale. Si trattò, insomma, di una falsa notizia costruita ad arte.»[4]

Descrizione

«Sorgono scintillando per l'ombra le quattro colonne
che nel pagano bronzo torse il Bernini a spire»

Disegno di colonna tortile per il Baldacchino di San Pietro

Le caratteristiche colonne tortili, alte 11 metri, sono composte di tre rocchi ciascuna, a cui si aggiungono i capitelli compositi e gli alti basamenti in pietra, su cui sono raffigurate le fasi di un parto tramite le espressioni di un volto femminile[6], all'interno dello stemma papale di Papa Urbano VIII Barberini. Le colonne sono congiunte alla trabeazione attraverso quattro dadi di matrice brunelleschiana, che conferiscono al monumentale baldacchino un aspetto più slanciato, ispirando un senso di grande leggerezza. Sono inoltre tortili, ad imitazione e richiamo della pergula della vecchia basilica di San Pietro, a loro volta ispirate al Tempio di Salomone. Sono attraversate da elementi naturalistici bronzei come tralci di lauro (che alludono alla passione di papa Urbano VIII per la poesia), lucertole (simbolo di rinascita e di ricerca di Dio) ed api, che fanno parte dello stemma della famiglia papale (quella dei Barberini) e che si trovano anche nei basamenti marmorei. Questi quattro pilastri sono collegati da una trabeazione concava tipica del Barocco. L'elica scultorea formata dalle colonne tortili suggerisce un movimento ascendente che va dal basso verso l'alto in direzione della cupola di Michelangelo.

Per la parte superiore fu adottata la struttura a dorso di delfino, al fine di alleggerirne l'aspetto, e si aggiunsero statue (disegnate da Francesco Borromini) di angeli e putti che reggono festoni, mentre i drappi sotto la trabeazione sono in movimento come mossi dal vento. A sottolineare la commissione di un papa afferente alla famiglia Barberini, il Bernini pose su uno dei lati del baldacchino un putto che alza al cielo un enorme corpo d'ape rovesciato; in cima fu collocato il globo con la croce; le statue sono animate in senso barocco e sono impreziosite cromaticamente, come il resto dell'opera, dall'uso della doratura.

È possibile ammirare delle copie del Baldacchino (simili, ma di dimensioni minori) presso la Cattedrale di San Feliciano di Foligno, la Cattedrale di San Vigilio di Trento e presso la Chiesa di Santa Reparata (Atri).

Note

  1. ^ O.La Rocca, Il baldacchino è anche del Borromini, La Repubblica, 30 gennaio 2007, p.27.
  2. ^ Si chiamava Carlo Castelli il Pasquino di Urbano VIII
  3. ^ Squadrilli, 1997, p. 386.
  4. ^ Tomaso Montanari, Il grande inganno sul bronzo del Pantheon, in La Repubblica, 19/02/2017. URL consultato il 20/02/2017.
  5. ^ G. D'Annunzio, Elegie Romane, Milano 1897, p. 32
  6. ^ Mario Praz, Il mito della papessa, in Geometrie anamorfiche, Roma, 2002, pag. 192

Bibliografia

Voci correlate

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