Siero della verità
Il siero della verità è nel linguaggio comune il nome dato a particolari farmaci psicoattivi usati per ottenere informazioni da soggetti che non possono o non vogliono fornirle.
Descrizione
[modifica | modifica wikitesto]Questi farmaci sono per lo più soluzioni iniettabili di sostanze (quali il tiopentale sodico) capaci di indurre nel paziente uno stato prossimo al sonno, nel quale sembra risultare più facile e più efficace la psicoterapia o narcoanalisi.[1]
L'utilizzo di questa sostanza è stato documentato per la prima volta da William Bleckwenn nel 1930.[2]
Secondo il diritto internazionale, l'utilizzo di questi preparati è classificato come una forma di tortura.[3][4] Tuttavia, essi venivano utilizzati nella valutazione dei pazienti psicotici nella pratica della psichiatria.[5] In quest'ultimo contesto, la somministrazione controllata di farmaci ipnotici per via endovenosa, viene chiamata "narcosintesi". Può essere usata per procurare informazioni per formulare una diagnosi e per fornire ai pazienti una tregua funzionale da catatonia o mania.[6][7]
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Voce del Vocabolario Treccani online.
- ^ Bleckwenn WJ: Sodium amytal in certain nervous and mental conditions. Wis Med J 1930; 29: 693–696.
- ^ Brugger W: May governments ever use torture? Am J Compar Law 2000; 48: 661–678.
- ^ Sono ammesse indagini non collegate a farmaci, come ad esempio le Analisi di stress vocale
- ^ Naples M, Hackett TP: The amytal interview: history and current uses. Psychosomatics 1978; 19: 98–105.
- ^ Tollefson GD: The amobarbital interview in the differential diagnosis of catatonia. Psychosomatics 1982; 23: 437–438.
- ^ Bleckwenn WJ: Production of sleep and rest in psychotic cases. Arch Neurol Psychiatry 1930; 24: 365–375.
Voci correlate
[modifica | modifica wikitesto]Altri progetti
[modifica | modifica wikitesto]- Wikiquote contiene citazioni sul siero della verità
Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]- (EN) David Brown, Some Believe 'Truth Serums' Will Come Back", su washingtonpost.com, The Washington Post, 20 novembre 2006.