Utente:Donatella Sabia/sandbox

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Libro II[modifica | modifica wikitesto]

Il secondo è fra i quattro libri delle odi quello più pacato e organico; si tratta di una pacatezza non inerte ma creativa. Le venti odi che compongono il libro presentano una facies di forte e organica regolarità: 4 che non oltrepassano i 40 versi, le altre che non scendono sotto i 20 versi, come se l’autore cercasse l’estensione quantitativa ottimale per i suoi carmi; e non solo l’estensione aritmetica, bensì anche l’assetto metrico più confacente: 12 alcaiche, 2 varie, 6 saffiche. Le poesie del secondo libro non si pongono nessuna sul piano della emulazione di un modello.

Ode I[modifica | modifica wikitesto]

(40 vv.;alcaica)

Orazio destina la prima ode del secondo libro a Asinio Pollione,uomo di molteplici esperienze,ben degno che Orazio gli dedicasse il libro più saggio del suo Canzoniere e parlasse a cuore aperto delle guerre civili compiutesi ad Azio. C’è in quest’ode, specie nella seconda parte, un equilibrio, una virilità di toni e di immagini, che dalla biografia di Pollione acquista rilievo. Asinio Pollione scrive la storia della rivoluzione popolare (motum…civicum), rifacendosi al consolato di Metello Celere, e le cause, gli errori e il ruolo della fortuna nelle varie fasi della guerra. Il poeta, mentre esalta i pregi, che già prevede, dell’opera, consiglia a Pollione di ritornare alla sua attività di poeta tragico. L’argomento gli porge occasione di ricordare con accento commosso e giudicare severamente le guerre civili.

Ode IV[modifica | modifica wikitesto]

(24 vv.;saffica)

"E'una delle più deliziose, squisite odi oraziane, in cui non sai dove finisce lo scherzo e dove comincia la verità,la poesia..."[1]. L'aristocratico giovane Xantinia della Focide è in disagio perchè tutti sanno e vedono il suo amore,la sua predilezione per un'ancella comprata, per Fillide bionda.Orazio gli suggerisce che anche giovani eroi amarono perdutamente le loro schiave di guerra: Achille con Briseide, Agamennone con Cassandra. Nel caso in ispecie può darsi che Fillide sia figlia di principi o potenti e i suoi Penati non l'hanno protetta dalla cattiva sorte; ma chiunque la veda ne ricava tale impressione:il bel volto, i capelli biondi, le bellissime gambe.

Ode V[modifica | modifica wikitesto]

(24 vv.;alcaica)

Solitamente Orazio indica il destinatario delle sue odi, in questo caso però ciò non avviene. C'è però un pronome,un'tu' che ci fa desumere che si tratta di un colloquio dell'autore a se stesso. Egli è innamorato di una adolescente,Lalage, non ancora abbastanza matura all'amore. Egli la guarda intenerito e rammaricato perchè sa che con il passare del tempo lei crescerà e cercherà il suo compagno che potrebbe non essere lui.

Ode IX[modifica | modifica wikitesto]

(24 vv.;alcaica)

Intorno a questa ode breve le critiche sono state molte e non è semplice definire a quale genere letterario essa appartenga. Non è un'ode-epicedio (cioè un pianto di lutto per qualcuno morto) e neanche un biglietto consolatorio per la morte dell'amico Valgio Rufo,l'impronta che meglio gli si addice è quella di un sentimento di amicizia che porta Orazio a mettere in verso un unico consiglio. Valgio Rufo era letterato notevole nella cerchia di Mecenate e covava anche aspirazioni politiche, infatti nel 12 a.C giunse ad essere console. Nel 25 a.C (l'anno dell'ode) aveva manifestato tutto il suo dolore per la perdita di Mista,giovinetto da lui amato. Orazio rispetta il suo dolore e lo invita a pensare ad altre cose che son ben degne di essere cantante come la campagna che Augusto va conducendo contro i Cantabri nella Spagna. Ci sono cose pubbliche importanti almeno quanto quelle private. Dunque per dirottare Valgio ad altro impegno letterario gli presenta il quadro delle stagioni che non sempre si svolgono a danno della terra, Orazio apre gli occhi di Valgio a una pubblica realtà di ben altro peso e valore.

Ode XI[modifica | modifica wikitesto]

(24 vv.;alcaica)

L'ode presenta una nettissima bipartizione: 12 versi per le ansie, 12 versi per le gioie. Se la prima parte la consideriamo la ripresentazione consueta del modulo morale oraziano, anche la seconda parte non esce dalla ripresentazione consueta; Sciti e Cantabri e Parti non erano più da temere in immediato e in assoluto; e non c'era pericolo di insufficienza delle cose necessarie alla vita; la legge della caducità si affacciava sulla gioventù di tanti, ma non era ancora tragedia; e c'erano cose supreme che solo gli dei potevano regolare:intanto molta gente si macerava di scontenti, malinconie, inquietudini. La composizione del carme in cui risuonano motivi cari al poeta ed espressi con accento personale, in base alle allusioni storiche contenute, si può con probabilità fissare al 26-25 a.C.

Ode XII[modifica | modifica wikitesto]

(28 vv.;asclepiadea seconda)

L'ode è dedicata a Mecenate. Nella seconda parte è ricca di immagini delicate e piene di grazia. Orazio canta l'amore ricambiato tra Mecenate e la sua sposa a cui dedica un ritratto bellissimo. Dall'accento storico contenuto nel v.12 si può pensare che l'ode sia stata composta nel 29 a.C.

Ode XIV[modifica | modifica wikitesto]

(28 vv.;alcaica)

E'una delle Odi più lodate del canzoniere di Orazio. Nell'ode non c'è l'ironia della persona superiore per Postumo, persona comune in pace con se stesso e con gli uomini, con gli dei e con le cose, con i suoi beni e le cure che ne mostra; non c'è il disegno di un paesano ricco, possidente, ingenuo, ignaro cui qualcuno possa fare l'esortazione:essendo breve la vita, non perdere i beni che possiedi, non farli cadere nelle mani dell'erede: il carme non è scritto per consigliare o confortare. E' scritto al plurale per contemplare il fatto terribile della morte. "Postumo" cioè il destinato a finire non è solo l'amico cui è destinato il carme, i destinati a finire sono tutti i viventi, siccome morire è necissitas, siccome morire è finire. Vecchiaia e morte non sono reparabili: qualunque devozione non rende pietoso Plutone: egli è il nume della necessità. In questo componimento a regnare è la pietas esistenziale.

Ode XIX[modifica | modifica wikitesto]

(32 vv.;alcaica)

Orazio cerca,per non cadere nel binario retorico del genere letterario, un modo proprio per celebrare la figura di Bacco. Egli si sente nella condizione di cantarne le lodi: la sua tendenza a distruggere e punire,e di far felice i suoi fedeli con vino e latte. Il valore di combattente accanto al padre Giove in difesa del suo regno, la sottomissione delle forze della natura alla sua volontà. Tutti questi atti contribuiscono a dare della sua figura una visione completa: benefico e vendicatore, misterioso e terribile, e capace di adattarsi alle cose della guerra così come a quelle della pace. L'opera mostra delle dimensioni del sacro, cui l'autore non ci aveva abituati.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Orazio, Odi. Libro II, a cura di Giovanni Tramice,,Venosa, Appia 2, 1992.
  • Orazio, Odi ed epodi, a cura di Francesco Arnaldi, Milano, Principato, 1943.
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