Portale:Religioni/Argomento induista

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(SA)

«tat saviturvareṇyaṃ
bhargho devasya dhīmahi
dhiyo yo naḥ pracodayāt»

(IT)

«Meditiamo sullo splendore eccelso del divino Sole (Vivificante), possa Egli illuminare le nostre menti»


Le Upaniṣad (sanscrito, sostantivo femminile, devanāgarī: उपानिषद) sono un insieme di testi religiosi e filosofici indiani composti in lingua sanscrita a partire dal IX-VIII secolo a.C. fino al IV secolo a.C. (le quattordici Upaniṣad vediche) anche se progressivamente ne furono aggiunti di minori fino al XVI secolo raggiungendo un numero complessivo di circa trecento opere aventi questo nome, e trasmesse per via orale. Furono messe per iscritto per la prima volta nel 1656 quando il sultano musulmano Dara Shikoh (1615-1659) ordinò la traduzione dal sanscrito al persiano di cinquanta di esse e quindi la loro resa in forma scritta.

Il termine Upaniṣad deriva dalla radice verbale sanscrita: sad (sedere) e dai prefissi upa e ni (vicino) ossia "sedersi vicino", ma più in basso (ad un guru, o maestro spirituale), suggerendo l'azione di ascolto di insegnamenti spirituali. Questo termine richiama chiaramente, come evidenziato da Mario Piantelli che l'avessero ascoltata avrebbero subito la stessa sorte di coloro che avessero ascoltato le Upaniṣad senza averne la qualifica: gli sarebbe stato versato del piombo fuso nelle orecchie. Questo spiega la ragione per cui le Upaniṣad non furono mai messe per iscritto ma sempre trasmesse per via orale solo a persone che erano autorizzate a riceverne gli insegnamenti.

Le Upaniṣad sono, dunque, commentari "segreti" (rahasya) dei Veda, nonché loro 'fine', nel senso di completamento dell'insegnamento vedico; per questo motivo sono anche conosciuti come Vedānta (Fine dei Veda) e sono alla base del pensiero religioso indiano che attraverso il Brahmanesimo giungerà, nella nostra era, a costituire quel complesso di dottrine e pratiche che va sotto il nome di Induismo.