Discussione:Vincenzo Consolo

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Spostata sezione priva di fonti[modifica wikitesto]

Gentili Utenti,

nel rivedere la pagina in oggetto, ho ritenuto di spostare una sezione di stampo critico, ma senza le fonti terze necessarie, giacché il testo sia disponibile a vantaggio di chi lo volesse verificare. Grazie.--Amalia Matilde Mingardo (msg) 11:24, 11 mag 2019 (CEST)[rispondi]

La poetica[modifica wikitesto]

«Io non so che voglia sia questa, ogni volta che torno in Sicilia, di volerla girare e girare, di percorrere ogni lato, ogni capo della costa, inoltrarmi all'interno, sostare in città e paesi, in villaggi e luoghi sperduti, rivedere vecchie persone, conoscerne nuove. Una voglia, una smania che non mi lascia star fermo in un posto. Non so. Ma sospetto sia questo una sorta di addio, un volerla vedere e toccare prima che uno dei due sparisca.»

La narrativa di Vincenzo Consolo presenta un originale rapporto tra memoria storica e ricerca linguistica. Egli è infatti attento alle più varie possibilità di linguaggio, e questo lo conduce a un'appassionata interrogazione del passato.

La ricerca di questa memoria storica riguarda il mondo della Sicilia, il suo passato e il suo presente, la sua bellezza affascinante e il suo disfacimento, i suoi odori forti, la sua natura seducente, portano questa contraddizione all'estremo, le danno una singolare capacità conoscitiva.

Il rapporto con la Sicilia[modifica wikitesto]

Consolo, come tanti scrittori siciliani moderni, scrive costantemente della sua terra d'origine, traendo spunto dal materiale autobiografico relativo alla sua infanzia e giovinezza "isolana". Ciò gli ha permesso di ricostruire nelle sue opere momenti e vissuti personali attraverso il "filtro" di un particolare tipo di memoria che si tinge di nostalgia. Questa posizione di distanza materiale e vicinanza affettiva sembra provenire insieme da un rapporto di amore e odio con la Sicilia, e da una doppia esigenza artistica e conoscitiva.

Da una parte la distanza consente una messa a fuoco migliore e più oggettiva della realtà siciliana, che può essere giudicata più chiaramente anche perché posta in relazione con quanto accade nel "continente". Da un'altra parte però, la terra dell'infanzia e di un passato ancora più remoto, ricostruita sul filo della memoria personale, diviene un luogo forse idealizzato dal ricordo e dalla nostalgia, ma anche per questo capace di diventare un termine di paragone per rilevare la violenza del tempo e le trasformazioni che devastano un mondo ingiusto ma comunque carico di valori positivi, per sostituirlo con un mondo non meno ingiusto e per di più impoverito sul piano umano.

La percezione del male di vivere[modifica wikitesto]

Al centro di quasi ogni opera di Consolo vi è la percezione del male di vivere. Egli rappresenta la tragedia del vivere su due livelli diversi. Innanzitutto c'è la riflessione esistenziale e trascendentale sul destino eterno dell'uomo, sulla sua sofferenza e sull'inevitabile vittoria della corrosione e della morte. In Filosofiana, uno dei racconti de Le pietre di Pantalica, il protagonista si chiede:

«Ma che siamo noi, che siamo?... Formicole che s'ammazzano di travaglio in questa vita breve come il giorno, un lampo. In fila avant'arriere senza sosta sopra quest'aia tonda che si chiama mondo, carichi di grani, paglie, pùliche, a pro' di uno, due più fortunati. E poi? Il tempo passa, ammassa fango, terra sopra un gran frantumo d'ossa. E resta, come segno della vita scanalata, qualche scritta sopra d'una lastra, qualche scena o figura.»

Bisogna notare che questa riflessione avviene mentre il protagonista sta "masticando pane e pecorino con il pepe", controbilanciando così il tono alto con un riferimento basso, quasi comico: una situazione tipica della narrativa di Consolo. Consolo tende spesso a ricordare al lettore che la sofferenza è sì di tutti, ma che non si distribuisce in parti uguali, anzi rispetta perfettamente le differenze di classe.

Ecco quindi che si arriva all'altro livello della rappresentazione della tragedia del mondo, e alla violenza non più della natura sull'uomo ma dell'uomo contro il suo simile. Egli sottolinea soprattutto la recita esterna del potere, "quella di sempre, che sempre ripetono baroni, proprietari e alletterati con ognuno che viene qua a comandare, per avere grazie, giovamenti, e soprattutto per fottere i villani".

La lingua[modifica wikitesto]

Di particolare interesse è il modello linguistico di Consolo: la sua "lingua" è una ricerca continua di originalità. In un'intervista curata da Marino Sinibaldi egli ha dichiarato:

«Fin dal mio primo libro ho cominciato a non scrivere in italiano. Ho voluto creare una lingua che esprimesse una ribellione totale alla storia e ai suoi esiti. Ma non è dialetto. È l'immissione nel codice linguistico nazionale di un materiale che non era registrato, è l'innesto di vocaboli che sono stati espulsi e dimenticati. Io cerco di salvare le parole per salvare i sentimenti che le parole esprimono, per salvare una certa storia.»

Una lettera di Consolo a Sciascia

La caratteristica fondamentale della lingua di Consolo è la tensione verso l'affermazione di una propria identità, riconoscibile quasi in ogni frase. Egli vuole creare una distanza fra la sua lingua e la povertà d'espressione della lingua di uso corrente. Per ottenere ciò si allontana dal lessico dell'italiano comune cancellando quasi il tono medio, e ricorre a una pluralità di lessici (soprattutto l'italiano antico e il siciliano) e a una pluralità di registri e di toni, dal tragico, al lirico, al familiare, al triviale.

Questa contrapposizione alto-basso, tragico-comico, ricorda lo sperimentalismo linguistico di altri autori, primo fra tutti Carlo Emilio Gadda. La compresenza contraddittoria di tragico e comico coincide anche con quel "sentimento del contrario" dell'umorismo di Pirandello. La pluralità di toni e di lingue comporta anche una pluralità di prospettive. Se in alcune opere troviamo narratori diversi che osservano la realtà dal proprio punto di vista, in generale Consolo sceglie di raccontare secondo la prospettiva soggettiva e parziale di qualcuno che è dentro la storia.

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