Complesso nuragico di Romanzesu

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Complesso nuragico di Romanzesu
L'anfiteatro del complesso di Su Romanzesu.
CiviltàNuragica
Localizzazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
Comune Bitti
Altitudine750 m s.l.m.
Dimensioni
Superficie70 000 
Scavi
Data scoperta1919
ArcheologoAntonio Taramelli
Amministrazione
Sito webwww.coopistelai.com
Mappa di localizzazione
Map
Coordinate: 40°31′49″N 9°19′29″E / 40.530278°N 9.324722°E40.530278; 9.324722

Il complesso nuragico di Romanzesu è un sito archeologico che si trova a 750 m s.l.m. in località "Poddi Arvu" (il pioppo bianco), nella foresta di sughere dell'altopiano granitico di Sa Serra, a circa 13 chilometri da Bitti, in provincia di Nuoro.

Si tratta di un villaggio nuragico esteso per oltre sette ettari risalente all'Età del bronzo, vicino alla sorgente del fiume Tirso, e che comprende il pozzo sacro, un centinaio di capanne, due templi a mégaron, un tempio rettangolare, un anfiteatro ellittico a gradoni, e una grande struttura labirintica.

Il toponimo Romanzesu deriva dalla presenza di testimonianze di epoca romana. Nel II - III secolo d.C. i romani infatti occuparono l'altopiano costruendo delle mansiones (fattorie) in località "Sa Pathata", "Juanne Pala" e Olusthes.

Gli scavi[modifica | modifica wikitesto]

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Le prime notizie risalgono al 1919, quando l'archeologo Antonio Taramelli, durante dei lavori di ricerca d'acqua, scoprì il pozzo sacro. In seguito agli scavi, la scala trapezoidale che scendeva al pozzo venne distrutta dagli operai e l'acqua sorgiva deviata verso un abbeveratoio. Negli anni Cinquanta i tubi in ceramica furono sostituiti da un canale in blocchi di granito, rendendo così difficilmente leggibili le antiche strutture.

Il complesso nuragico[modifica | modifica wikitesto]

Il pozzo sacro[modifica | modifica wikitesto]

Il pozzo sacro si trova al centro dell'area sacra. Di esso rimangono diciannove filari in blocchi di granito. Ha una struttura a tholos, cioè con pianta circolare e copertura a pseudocupola; i muri poggiano sulla roccia da cui sgorga la sorgente. Il vano del pozzo dispone di una panchina che doveva in origine seguire tutta la circonferenza.

Si ritiene possa risalire all'Età del bronzo recente e finale (XIII-IX secolo a.C.) e che fosse un tempio a pozzo dove si svolgevano le cerimonie legate al culto delle acque. Esso è infatti collegato all'anfiteatro da un canalone con gradoni lungo 42 metri che portava l'acqua della sorgente all'anfiteatro. Vicino al pozzo sono stati riportati alla luce tre betili in granito (piccoli cippi simboleggianti la divinità).

L'anfiteatro[modifica | modifica wikitesto]

Anfiteatro gradonato

L'anfiteatro è una grande vasca circolare su un dislivello di 1,60 metri che raccoglieva l'acqua del pozzo quando essa superava il livello della scala. È circondata da sei tribune a gradoni, su cui probabilmente si raccoglieva la gente del villaggio. Originariamente doveva essere lastricato. La vasca probabilmente era utilizzata per le abluzioni rituali e altri riti politico-religiosi e, forse, anche per l'ordalia dell'acqua nei giudizi sui delitti contro la proprietà.

Le capanne[modifica | modifica wikitesto]

Capanna circolare con sedili di pietra nel perimetro interno e focolare centrale

Le capanne del villaggio nuragico hanno pianta circolare e pavimento lastricato. All'interno vi è un sedile di pietra perimetrale ed un focolare sempre in pietra posto al centro del vano. Alcune di esse sono di grandi dimensioni ed una si distingue per la presenza di un muro divisorio interno. Presso le capanne sono stati trovati reperti in ceramica risalenti all'Età del Bronzo medio (XVI secolo a.C.), da cui si può dedurre che in un primo tempo la sorgente venisse usata soltanto per l'approvvigionamento idrico dell'abitato.

I templi[modifica | modifica wikitesto]

Tempio a megaron. Vista frontale

Nel complesso nuragico sono stati ritrovati due templi a megaron, cioè di forma rettangolare allungata con un vestibolo che precede la cella, ed un terzo caratterizzato dall'ingresso posto su uno dei lati lunghi.

Il tempio a megaron, dal pavimento in argilla, era originariamente costruito con i muri laterali della cella prolungati ad anta sulla facciata e sul retro ed ha un vestibolo i cui muri sono costruiti con l'impiego di pietre più piccole e disposte in modo più accurato. All'interno vi è una cella che conserva i banconi perimetrali per la deposizione delle offerte, una fossa circolare che originariamente forse fungeva da sostegno per i contenitori che raccoglievano una riserva d'acqua per le abluzioni rituali, o che forse alloggiava un elemento architettonico, e tracce dell'originario pavimento in argilla.

Lo scavo documenta tre fasi edilizie:

  • prima fase (XV-XIV secolo a.C.) durante la quale il tempio venne costruito.
  • seconda fase (XIII-XI secolo a.C.) durante la quale venne costruita una facciata rettilinea che chiudeva la parte originaria prolungata ad anta
  • terza fase (X-IX secolo a.C.) durante la quale venne abbattuta la facciata rettilinea e creato un ambiente con fronte absidato che aumentò lo spazio del vestibolo. Furono inoltre coperte le due fosse circolari e la porta d'ingresso venne parzialmente occultata da un piano di piccole pietre che dovevano sostenere il nuovo pavimento.

Si suppone che in quest'epoca il tempio abbia conosciuto un graduale abbandono (le cui ragioni sono tuttora sconosciute) oppure sia stato destinato ad uso non esclusivamente religioso.

Il labirinto[modifica | modifica wikitesto]

Il cosiddetto labirinto (forse la capanna del sacerdote stregone) è una struttura di muri concentrici databile al XIII-IX secolo a.C. che introduce, attraverso un corridoio ad anello, in un vano centrale rotondo (che in origine doveva essere coperto come le altre capanne) al cui centro vi è un basamento circolare in pietra e che conserva una parte di pavimentazione lastricata. All'interno del vano centrale sono stati rinvenuti molti ciottoli fluviali di quarzo rossiccio.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • A. Taramelli, Foglio 207, Nuoro, in Edizione Archeologica della Carta d'Italia, Firenze, Istituto Geografico Militare, 1931, p. 12, n. 23;
  • Ch. Zervos, La civilisation de la Sardaigne, du début de l'énéolithique à la fin de la période nouragique: 2. millenaire, 5. siecle avant notre ere, Paris, Cahiers d'art, 1954, p. 285;
  • G. Lilliu, La civiltà dei Sardi dal Paleolitico all'età dei Nuraghi, Torino, Nuova ERI, 1988, p. 534;
  • M.A. Fadda, Su Romanzesu: il villaggio e lo stregone, in Archeologia Viva, 69, maggio-giugno 1998, pp. 62–67;
  • M.A. Fadda, Nuove acquisizioni del megalitismo nel territorio della provincia di Nuoro, in Aspetti del megalitismo preistorico, Dolianova, Grafica del Parteolla, 2001, pp. 48–66;
  • M.A. Fadda, Nuove acquisizioni dell'architettura cultuale della Sardegna nuragica, in Etruria e Sardegna centro-settentrionale tra l'età del bronzo finale e l'arcaismo. Atti del XXI Convegno di Studi Etruschi e Italici (Sassari, Alghero, Oristano, Torralba, 13-17 ottobre 1998), Pisa-Roma, 2002, pp. 311–332.

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