Utente:Tytire/Sandbox/Cosa pensano gli storici italiani di Wikipedia

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- Saggio - (rassegna della letteratura)

Aggiornato alla letteratura disponibile nel Novembre 2022 - l'intenzione è di aggiornare la pagina per tener conto di future pubblicazioni accademiche in materia - segnalazioni saranno benvenute !

Molti accademici disdegnano Wikipedia perché la considerano non attendibile e non autorevole. Similmente, molti storici italiani ne hanno ben poca stima e vi hanno prestato poca attenzione. Più recentemente sembra farsi strada una visione più consapevole del ruolo di Wikipedia nella costruzione della memoria storica collettiva e nella diffusione della conoscenza storica. Tuttavia, il dibattito e soprattutto le analisi interessate a Wikipedia da parte di storici italiani sono ancora molto limitate.

L'obiettivo di questa pagina è riassumere le riflessioni espresse dagli storici italiani (o di storici stranieri nelle pubblicazioni accademiche italiane) che si sono occupati della storiografia in Wikipedia e del suo ruolo nel diffondere conoscenza storica e informare lo spazio culturale italiano.

Disintermediazione, autorevolezza e conoscenza critica della storia[modifica | modifica wikitesto]

Un primo filone di discussione si inserisce nel più ampio dibattito sulla erosione del ruolo degli intermediari culturali prodotta dall'internet interattivo: la diffusione del web 2.0 e dei social media limita l'influenza di quegli attori che contribuiscono a creare e diffondere idee, valori, conoscenza e informazioni (ad esempio, giornalisti, studiosi, ricercatori, divulgatori, ecc.). Piattaforme web 2.0 come Wikipedia coinvolgono direttamente gli utenti nella produzione e diffusione culturali, senza intermediari: un'amplissima letteratura sociologica analizza questo vasto fenomeno. Nel mondo accademico internazionale, specie anglosassone, si sono presto sviluppati un esteso dibattito e ricerca sul ruolo di Wikipedia nella diffusione e co-creazione di conoscenza storica.[1][2][3][4] Storici italiani hanno raramente considerato Wikipedia in questa prospettiva, e discusso in che misura l'enciclopedia possa costruire e diffondere una conoscenza storica autorevole ed affidabile.

Nel 2010, dopo alcuni anni di espansione frenetica, Wikipedia italiana contava 500,000 utenti registrati e aveva superato le 700 000 voci, scalando rapidamente la classifica delle maggiori versioni di Wikipedia per numero di voci. Nello stesso anno, lo storico Miguel Gotor pubblicò un capitolo dedicato a Wikipedia in un libro su metodi storiografici.[5] Gotor spiega agli storici l'ABC di Wikipedia e riconosce che essa, dopo aver messo in soffitta le enciclopedia tradizionali, sia ormai usata da tutti, giornalisti, studenti e persino storici. Secondo Gotor, Wikipedia deve il proprio successo a un insieme di fattori: un accordo nascosto tra la stessa e Google, i cui algoritmi di ricerca promuovono l'enciclopedia e cosi facendo si sostituiscono ad una ricerca critica delle informazioni da parte degli utenti; all'influenza di valori politici "anarcoidi-liberistici" che promuovono l'accesso individuale alla conoscenza senza intermediari; ad un modello culturale di frammentazione della conoscenza, che va di pari passo con l'espansione del mercato in ogni sfera della vita; alla capacità di creare partecipazione e senso di identità in un gruppo di contributori in una società sempre più frammentata; e infine alla sua apertura al contributo libero di tutti senza restrizioni. Wikipedia, secondo Gotor, non è un'enciclopedia, ma un grosso equivoco: "L’equivoco di fondo non sta nella pretesa da parte di Wikipedia di considerarsi un’enciclopedia, ma nel fatto di essere ritenuta tale dai suoi utilizzatori, che si basano su un’erronea e fuorviante sovrapposizione dei concetti di informazione e di conoscenza." Wikipedia non avrebbe un processo editoriale che garantisca la verificabilità delle informazioni; un processo autoriale che produca una selezione critica delle informazioni rilevanti da presentare; e difese adeguate contro vandalismi e manipolazioni. Wikipedia presenta dunque il rischio di un "inquietante e benevolo totalitarismo democratico" dovuto ad una "eclissi dell’intermediario, eclissi dell’autore, eclissi della distinzione tra informazione e sapere, eclissi del giudizio".

Antonio Prampolini è uno storico e studioso molto attento a mappare le fonti web di storiografia.[6]Nel 2014 ha pubblicato un articolo[3] in qui ha contestualizzato Wikipedia nel più vasto processo di abbandono della intermediazione culturale prodotto dalla crescita del web 2.0, che coinvolge gli utenti nella produzione di contenuti. Nel campo storico, ha visto il potenziale di educazione civica di Wikipedia, e auspicato la contribuzione di storici professionisti. Ha poi esplorato l'uso didattico delle immagini di Commons sui conflitti del novecento:[7] ha riscontrato l'abbondanza di materiali, lamentando come le immagini, invece che essere usate come fonti storiche, sono perlopiù presentate con brevi didascalie, senza alcuna analisi e interpretazione iconografica. Nel 2017, ha pubblicato uno studio[8] in cui confronta la storiografia della prima guerra mondiale in Wikipedia con quella di due altre enciclopedie online curate da storici professionisti. Secondo Prampolini, la storiografia di Wikipedia è amatoriale: ha il merito di avvicinare curatori volontari alla materia, ma non ha la qualità, affidabilità ed autorevolezza di una enciclopedia tradizionale. Ciò che viene presentato o omesso dipende dagli interessi degli utenti e non è frutto di un progetto unitario di analisi del tema. La storiografia militare di wikipedia ha un approccio prevalentemente biografico e collezionistico: raramente usa monografie di storici autorevoli e riassume più spesso altre enciclopedie, manuali scolastici e opere divulgative. Wikipedia non permette nemmeno l'uso innovativo della multimedialità, che pure una enciclopedia digitale potrebbe consentire.

Nel 2017 la rivista Diacronie - Studi di storia contemporanea, ha pubblicato una serie di saggi sulla storiografia in Wikipedia di storici perlopiù giovani. Tommaso Baldo[9] ha sottolineato limitazioni profonde di Wikipedia: essa rappresenta una comunità più ristretta di quella accademica, dove gli utenti realmente attivi sono poche migliaia. I loro rapporti interpersonali e la disponibilità di tempo dei singoli influiscono sulla scrittura delle voci ed alcuni utenti presidiano le voci che hanno scritto, controllandone la evoluzione; i cinque pilastri sono vaghi e soggetti a interpretazioni lasche; il punto di vista neutrale è frutto di continua negoziazione; la modificazione di una frase sostenuta da fonti è cosa laboriosa e prona a manipolazioni; le fonti possono essere usate come cavalli di frisia per determinati punti di vista, col risultato che le voci sono disseminate di usi distorti e parziali delle fonti, nonché di vere e proprie falsificazioni.[10] Il sistema fa si che " i meccanismi di selezione ed utilizzo delle fonti su it.Wiki assomigliano ad una parodia di quelli accademici". Guardando agli approcci storiografici, Baldo ha considerato che la storiografia di Wikipedia è conservatrice, non tanto su base ideologica, ma perché rappresenta spesso una storiografia superata: "il dibattito verte su argomenti che fanno riferimento ad una visione del passato consolidata nell'opinione pubblica e alle fonti della vulgata mainstream diffusa dalla stampa quotidiana e dalle trasmissioni della Tv generalista, non al dibattito storiografico; [...] una visione della storia che mette al primo posto gli aspetti politico-militari e diplomatici, anziché quelli legati alla storia economica, sociale, di genere, della mentalità, della cultura e vita materiale". Nonostante i suoi limiti, Baldo ha asserito che Wikipedia non può essere rigettata: essa "rende del tutto anacronistica ed insufficiente una didattica della storia basata sulla semplice trasmissione di conoscenze" e presenta la necessità di stimolare invece lo spirito critico, per permette di usarla a scopi didattici.

Nello stesso numero della rivista, Nicola Strizzolo[11] ha deplorato l'uso acritico di Wikipedia da parte degli studenti universitari; Wikipedia sarebbe un assemblaggio di narrazioni individuali senza la legittimità conferita dagli esperti, una cosa a metà tra memoria sociale e storia senza storiografia, a rischio di produrre un appiattimento culturale. Jacopo Bassi[12] e Cristian Cenci[13] hanno riecheggiato gli stessi punti dei due autori precedenti.

Lo storico portoghese Mateus H. F. Pereira, nello stesso numero,[14]ha riconosciuto che il desiderio di imparzialità è un mito fondatore di Wikipedia, e che essa ha alcuni limiti pratici evidenziati da Baldo, ma ha contestato le critiche fondamentali mossegli: secondo Pereira queste critiche poggiano su una presa debole della relazione fra fatto ed opinione in storiografia e su una eccessiva fiducia nell'influenza didattica della storiografia professionale. Piuttosto che manipolazioni, "le guerre di memoria su Wikipedia, così come su internet, devono essere considerate alla stregua di un teatro delle operazioni la cui rappresentazione cartografica si modifica costantemente". La storiografia è costantemente impegnata in una rivalutazione dei fatti storici per sviluppare interpretazioni più convincenti. Però, più la storiografia accademica diventa scientifica, meno essa si presta a scopi di educazione civica. Nel pluralismo di opinioni di una società democratica, Wikipedia non rischia di sostituire fatti con opinioni. Ha piuttosto il potenziale di contribuire a questa continua ricerca di interpretazioni più fattuali, facendo converge nelle sue pagine nuovi fatti ed opinioni. D'altra parte, la storiografia prevalente in Wikipedia, secondo Pereira, è conservatrice (antiquata, lineare) perché il lettore medio cerca proprio questo dalla storiografia: continuità e linearità, che danno sicurezza alla sua visione del presente.

Nascita della Public history[modifica | modifica wikitesto]

La storia è sempre stata presente nell'arena pubblica, attraverso tutte quelle pratiche e istituzioni culturali volte a insegnare e diffondere la conoscenza storica: la scuola, i musei, gli archivi, le commemorazioni, le pubblicazioni divulgative, giornalistiche e documentaristiche, la produzione di film storici, le associazioni con interessi storici, e una miriade di altri progetti pubblici e privati. Dall'inizio degli anni 2000 anche in Italia, sulla scia di un movimento già iniziato in altri paesi, nel mondo accademico si è gradualmente sviluppato un approccio disciplinare a questo ruolo pubblico della storiografia, sotto il nome di public history.[15][16]Questo movimento accademico è nato anche in reazione alla crescente percezione di una diminuzione del ruolo degli storici accademici nell'influenzare il dibattito pubblico.[17]

La rivoluzione digitale sta trasformando le scienze umane, tra cui la storiografia. Il ruolo della digitalizzazione è anch'esso al centro del dibattito sul come rafforzare il ruolo pubblico della ricerca e pratica della storia accademica.[15]La rete, con la sua capacità di creare e diffondere conoscenza senza necessariamente ricorrere all'autorialità, sfida gli storici a misurarsi con essa e i suoi strumenti per raggiungere il grande pubblico: è la che, in misura crescente, si formano e diffondono idee, emozioni, sensi di identità e posizioni politiche.[18]

In altri paesi, specie anglosassoni, gli storici che si occupano del ruolo della rete e della rivoluzione digitale nella public history hanno da tempo messo Wikipedia al centro di analisi e studi.[19]In Italia, il nascente mondo della public history perlopiù l'ha finora snobbata. Le rarissime pubblicazioni che se ne occupano si limitano a riconoscerne il ruolo nella rete e a richiamarvi l'attenzione degli storici.[20][21][22]Vere analisi del ruolo e contenuti storiografici di Wikipedia in una chiave di public history italiana non sono ancora disponibili, là dove invece alcuni sociologi e ricercatori italiani del mondo dei media, di internet e dell'informazione pubblica sono già impegnati.[23][24]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (EN) R. Rosenzweig, Can History Be Open Source? Wikipedia and the Future of the Past, in Journal of American History, vol. 93, n. 1, 1º giugno 2006, pp. 117–146, DOI:10.2307/4486062.
  2. ^ Meg Foster, Online and Plugged In?: Public History and Historians in the Digital Age, in Public History Review, vol. 21, 28 dicembre 2014, pp. 1–19, DOI:10.5130/phrj.v21i0.4295.
  3. ^ a b Antonio Prampolini, Wikipedia e le regole per la scrittura delle voci di storia. Tecnologia e socialità nella produzione di contenuti, in Novecento.org, vol. 3, 2014-12, DOI:10.12977/nov49. URL consultato il 1º ottobre 2022.
  4. ^ Robert S. Wolff, The Historian's Craft, Popular Memory, and Wikipedia (2012 revision), in Jack Dougherty and Kristen Nawrotzki (a cura di), Writing History in the Digital Age, Forthcoming from the University of Michigan Press. Trinity College (CT) web-book edition, Spring 2012, http://WritingHistory.trincoll.edu.
  5. ^ Gotor, Miguel, L’Isola di Wikipedia. Una fonte elettronica, in Luzzato, Sergio (a cura di), Prima lezione di metodo storico, Laterza, 2010, pp. 183-200.
  6. ^ Antonio Prampolini, su novecento.org. URL consultato il 1º ottobre 2022.
  7. ^ Prampolini, A., Le guerre del Novecento nelle foto. L’uso didattico di Wikimedia Commons, in Historia Ludens, 11 novembre 2011. URL consultato il 1º ottobre 2022.
  8. ^ Antonio Prampolini, La “Grande Guerra” e le enciclopedie: Wikipedia e 1914-1918-online, in Novecento.org, vol. 6, 1º febbraio 2017, DOI:10.12977/nov167. URL consultato il 4 giugno 2022.
  9. ^ Tommaso Baldo, Riflessioni sulla narrazione storica nelle voci di Wikipedia, in Diacronie, N° 29, 1, 29 marzo 2017, DOI:10.4000/diacronie.5347. URL consultato il 4 giugno 2022.
  10. ^ Baldo fa specifico riferimento al caso noto nella comunità it.wiki della querelle riguardo a presunte manipolazioni di alcune voci storiografiche di it.wiki apparsa su Nicoletta Bourbaki Archives, su blog Giap. URL consultato il 5 giugno 2022.
  11. ^ Nicola Strizzolo, Verso il sapere unico, in Diacronie, N° 29, 1, 29 marzo 2017, DOI:10.4000/diacronie.5395. URL consultato il 5 giugno 2022.
  12. ^ Jacopo Bassi, Danzica e le guerre wikipediane, in Diacronie, N° 29, 1, 29 marzo 2017, DOI:10.4000/diacronie.5461. URL consultato il 5 giugno 2022.
  13. ^ Cristian Cenci, Wikipedia è poco affidabile? La colpa è anche degli esperti, in Diacronie, N° 29, 1, 29 marzo 2017, DOI:10.4000/diacronie.5445. URL consultato il 5 giugno 2022.
  14. ^ Mateus H. F. Pereira, Dissoluzioni, parodie o mutamenti?, in Diacronie, N° 29, 1, 29 marzo 2017, DOI:10.4000/diacronie.5413. URL consultato il 5 giugno 2022.
  15. ^ a b NOIRET, Serge, The birth of a new discipline of the past? : public history in Italy., Pacini editore, 2019, ISBN 978-88-6995-704-8, OCLC 1280489881. URL consultato l'8 ottobre 2022.
  16. ^ Serge Noiret, An Overview of Public History in Italy: No Longer A Field Without a Name, in International Public History, vol. 2, n. 1, 1º agosto 2019, DOI:10.1515/iph-2019-0009. URL consultato l'8 ottobre 2022.
  17. ^ Historians of the world, unite! Tavola rotonda su “The History Manifesto”, di Jo Guldi e David Armitage. Partecipano: Raffaella Baritono, Paolo Capuzzo, Mario Del Pero, Giovanni Gozzini, Giovanni Orsina., in Ricerche di storia politica, 13 Ottobre 2015. URL consultato l'8 ottobre 2022.
  18. ^ Noiret, Sege, “Public History” e “Storia Pubblica” nella Rete, in Ricerche storiche, Anno XXXIX, n. 2-3, maggio-dicembre 2009.
  19. ^ Margaret Conrad, 2007 Presidential Address of the CHA: Public History and its Discontents or History in the Age of Wikipedia, in Journal of the Canadian Historical Association, vol. 18, n. 1, 17 giugno 2008, pp. 1–26, DOI:10.7202/018252ar. URL consultato l'8 ottobre 2022.
  20. ^ Paci, Deborah, Knowing is participating: digital public history, wiki and citizen humanities, AIUCD ; FICLIT, 9 settembre 2021, OCLC 1269180849. URL consultato il 4 giugno 2022.
  21. ^ Enrico Manera, Wikipedia come storia pubblica. Com’è e come potrebbe essere, in Novecento.org, vol. 9, 1º agosto 2018, DOI:10.12977/nov256. URL consultato il 4 giugno 2022.
  22. ^ Serge Noiret, Manfredi Scanagatta e Deborah Paci, La storia come bene comune: le nuove frontiere della public history digitale, in PASSATO E PRESENTE, n. 113, 2021-04, pp. 119–134, DOI:10.3280/pass2021-113008. URL consultato l'8 ottobre 2022.
  23. ^ Tommaso Venturini, Opera aperta. Wikipedia e l’oralità secondaria, in M@gm@ - Rivista Internazionale di Scienze Umane e Sociali, vol. 4, n. 1, Gennaio-Marzo 2006.
  24. ^ Oscar Ricci, Marcello Maneri e Fabio Quassoli, La storia in-diretta. La costruzione delle voci di Wikipedia sugli attacchi terroristici, in Problemi dell'informazione, n. 2, 2019, pp. 285–314, DOI:10.1445/94252. URL consultato il 9 ottobre 2022.

Altre letture[modifica | modifica wikitesto]

Interviste a proposito della storiografia in Wikipedia[modifica | modifica wikitesto]

Rassegna web italiana su Wikipedia e la storiografia[modifica | modifica wikitesto]

Vedi anche[modifica | modifica wikitesto]