Utente:Tom51674/Sandbox

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La Divina Commedia, Introduzione La Comedìa, conosciuta soprattutto come Commedia o Divina Commedia è un poema di Dante Alighieri, scritto in terzine incatenate di versi endecasillabi, in lingua volgare fiorentina. Composta secondo i critici tra il 1304 e il 1321, anni del suo esilio in Lunigiana e Romagna, la Commedia è l'opera più celebre di Dante, nonché una delle più importanti testimonianze della [civiltà medievale]; conosciuta e studiata in tutto il mondo, è ritenuta una delle più grandi opere della letteratura di tutti i tempi. Il poema è diviso in tre parti, chiamate cantiche (Inferno, Purgatorio e Paradiso), ognuna delle quali composta da 33 canti (tranne l'Inferno, che contiene un ulteriore canto proemiale). Il poeta narra di un viaggio immaginario, ovvero di un Itinerarium Mentis in Deum, attraverso i tre regni ultraterreni che lo condurrà fino alla visione della Trinità. La sua rappresentazione immaginaria e allegorica dell'oltretomba cristiano è un culmine della visione medievale del mondo sviluppatasi nella Chiesa cattolica. L'opera ebbe subito uno straordinario successo, e contribuì in maniera determinante al processo di consolidamento del dialetto toscano come lingua italiana. Il testo, del quale non si possiede l'autografo, fu infatti copiato sin dai primissimi anni della sua diffusione, e fino all'avvento della stampa, in un ampio numero di manoscritti. Parallelamente si diffuse la pratica della chiosa e del commento al testo (si calcolano circa 60 commenti e tra le 100.000 e le 200.000 pagine), dando vita a una tradizione di letture e di studi danteschi mai interrotta; si parla così di secolare commento. La vastità delle testimonianze manoscritte della Commedia ha comportato una oggettiva difficoltà nella definizione del testo critico. Oggi si dispone di un'edizione di riferimento realizzata da Giorgio Petrocchi. Più di recente due diverse edizioni critiche sono state curate da Antonio Lanza e Federico Sanguineti. La Commedia, pur proseguendo molti dei modi caratteristici della letteratura e dello stile medievali (ispirazione religiosa, fine morale, linguaggio e stile basati sulla percezione visiva e immediata delle cose), è profondamente innovativa, poiché, come è stato rilevato in particolare negli studi di Erich Auerbach, tende a una rappresentazione ampia e drammatica della realtà. È una delle letture obbligate del sistema scolastico italiano. Curioso notare come tutte le tre cantiche terminino con la parola "stelle". ("E quindi uscimmo a riveder le stelle" - Inferno; "Puro e disposto a salir a le stelle" - Purgatorio e "L'amor che move il sole e l'altre stelle" - Paradiso). Curiosa anche la creazione da parte del Poeta di neologismi come "insusarsi", "inluiarsi", "inleiarsi". Titolo Probabilmente il titolo originale dell'opera fu Commedia, o Comedìa, dal greco κωμῳδία (kōmōdía, composto di κώμη, villaggio, e ᾠδή, canto; letteralmente canto del villaggio). È infatti così che Dante stesso chiama la sua opera ([Inferno XVI], [128]; [XXI], [2]). In seguito il titolo di "divina" le venne dato da Boccaccio. Nell'Epistola XIII (la cui paternità dantesca non è del tutto certa), indirizzata a Cangrande della Scala, Dante ribadisce il titolo latino dell'opera: Incipit Comedia Dantis Alagherii, Florentini natione, non moribus (Inizia la Commedia di Dante Alighieri, fiorentino di nascita, non di costumi). In essa vengono introdotti due motivi per spiegare il titolo conferito: uno di carattere letterario, secondo cui col nome di commedia era usanza definire un genere letterario che, da un inizio difficoltoso per il protagonista, si conclude con un lieto fine, e uno stilistico. Infatti lo stile nonostante sia sublime, tratta anche tematiche turpi tipiche di uno stile umile, secondo l'ottica cristiana di accogliere anche gli aspetti più bassi del reale, pur di raggiungere il cuore di tutta l'umanità. Nel poema, infatti, si ritrovano entrambi questi aspetti: dalla "selva oscura", allegoria dello smarrimento del poeta, si passa alla redenzione finale, alla visione di Dio nel Paradiso; e in secondo luogo, i versi sono scritti in volgare e non in latino che, sebbene esistesse già una ricca tradizione letteraria in lingua del sì, continuava ad essere considerata la lingua per eccellenza della cultura. L'aggettivo divina fu usato per la prima volta da Giovanni Boccaccio per via dei temi riguardanti il divino nel Trattatello in laude di Dante del 1373, circa 70 anni dopo il periodo in cui si pensa sia stato cominciato il poema. La dizione Divina Commedia, però, divenne comune solo dalla metà del Cinquecento in poi, quando Ludovico Dolce, nella sua edizione veneziana del 1555, stampata da Gabriele Giolito de' Ferrari, riprese il titolo boccacciano. Il nome "Commedia" (nella forma comedìa) appare solo due volte all'interno del poema, mentre nel Paradiso Dante lo definisce "poema sacro". Dante non rinnega il titolo Commedia, anche perché, data la lunghezza dell'opera, le cantiche o i singoli canti vennero pubblicati volta per volta, e l'autore non aveva la possibilità di revisionare ciò che già era stato reso pubblico. Il termine "Commedia" dovette sembrare riduttivo a Dante nel momento in cui componeva il Paradiso, in cui lo stile, ma anche la sintassi, sono profondamente cambiati rispetto ai canti che compongono l'Inferno; infatti nell'ultimo canto, il sostantivo Commedia viene sostituito da poema sacro. Il discorso sulle [palinodie], ovvero le correzioni che Dante fa all'interno della sua opera, contraddicendo se stesso ma anche le sue fonti, è molto più vasto ed esteso. Argomento « [[Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita]].

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura, esta selva selvaggia e aspra e forte, che nel pensier rinova la paura! Tant'è amara che poco è più morte; ma per trattar del ben ch'i' vi trovai, dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte. Io non so ben ridir com'i' v'intrai, tant'era pien di sonno a quel punto che la verace via abbandonai. Dante Alighieri, Inferno I, vv. 1-12 » Il racconto dell'Inferno, la prima delle tre cantiche, si apre con un Canto introduttivo (che serve da proemio all'intero poema), nel quale il poeta Dante Alighieri racconta in prima persona del suo smarrimento spirituale; si ritrae, infatti, "in una selva oscura", allegoria del peccato, nella quale era giunto poiché aveva smarrito la "retta via", quella della virtù (si ritiene che Dante si senta colpevole, più degli altri, del peccato di lussuria, che infatti nell'Inferno e nel Purgatorio è posto sempre come il meno grave tra i peccati puniti). Tentando di trovarne l'uscita, il poeta scorge un colle illuminato dalla luce del sole; tentando di salirvi per avere più ampia visuale, però, viene ostacolato da tre belve: una lonza (lince), allegoria della lussuria, un leone, simbolo della superbia, e una lupa, che rappresenta l'avidità, i tre vizi che stanno alla base di ogni male. Tanta è la paura che il trio incute, che Dante cade all'indietro, lungo il pendio. Risollevandosi, scorge l'anima del grande poeta Virgilio, a cui chiede aiuto. Virgilio rivela che per arrivare alla cima del colle ed evitare le tre bestie feroci, bisognerà intraprendere una strada diversa, più lunga e penosa, attraverso il bene e il male, profetizza che il trio sarà fatto morire da un alquanto misterioso Veltro, si presenta come l'inviato di Beatrice, la donna amata da Dante (morta a soli ventiquattro anni), la quale aveva interceduto presso Dio affinché il poeta fosse redento dai peccati; Virgilio e Beatrice sono in realtà due allegorie rispettivamente della ragione e della teologia: il primo in quanto considerato il poeta più sapiente della classicità, la seconda in quanto scala al fattore, secondo la visione elaborata da Dante nella Vita Nuova. Dalla collina di [Gerusalemme] su cui si trova la selva, Virgilio condurrà Dante attraverso l'Inferno e il Purgatorio perché attraverso questo viaggio la sua anima possa risollevarsi dal male in cui era caduta. Poi Beatrice prenderà il posto di Virgilio, sarà lei la guida di Dante nel Paradiso. Virgilio, nel racconto allegorico, rappresenta la ragione, ma la ragione non basta per giungere fino a Dio; è necessaria la fede, e Beatrice rappresenta questa virtù. Virgilio inoltre, non ha conosciuto Cristo, non è battezzato e perciò non gli è consentito di avvicinarsi al seggio dell'Onnipotente. Trama Il poema racconta un viaggio immaginario che Dante stesso, protagonista delle vicende, compie attraverso il mondo dei morti. Egli narra di aver visitato, per volontà divina, l'Inferno, il Purgatorio, il Paradiso. Egli immagina che questi luoghi dell'oltretomba abbiano una precisa collocazione fisica in un universo che gli uomini del Medioevo immaginano in modo profondamente diverso dal nostro. La Terra si trovava al centro di un universo mosso da Dio, "motore immobile". Attorno alla Terra ruotavano i pianeti e il Sole. Al centro della Terra si trovava Gerusalemme e sotto di essa si apriva l'Inferno. L'Inferno è descritto come un'immensa cavità che arriva, restringendosi come un'imbuto capovolto, fino al centro della Terra, dove, chiuso nel ghiaccio, sta Lucifero, la personificazione del Male. Nell'Inferno si trovano gli spiriti dei peccatori dannati per l'eternità, il paesaggio è cupo e spaventoso e le anime soffrono il terribile dolore delle punizioni come se avessero ancora il corpo. L'inferno è diviso in nove cerchi: il primo è il Limbo, dove stanno le anime dei giusti che non furono battezzati, e che rimpiangono di non vedere Dio. Seguono i diversi dannati: la loro pena è uguale o contraria alla colpa maggiore che commisero in vita. Il Purgatorio è rappresentato come un'altissima montagna, che si alza dal mare in mezzo all'emisfero sud della Terra, agli antipodi di Gerusalemme, irraggiungibile dagli uomini vivi, e qui si trovano le anime di colore che, dopo aver scontato una pena per i loro peccati, potranno andare in Paradiso, perché da vivi si sono pentiti. Il Paradiso si trova nei cieli, al cospetto di Dio; qui si trovano le anime dei beati, che hanno saputo dare il bene sulla Terra e guadagnarsi la salvezza in cielo. Dante racconta di aver percorso questi luoghi con l'aiuto di due guide: Virgilio, il grande poeta latino che lo accompagna nell'Inferno e nel Purgatorio e che simboleggia la Regione umana, e Beatrice, la donna da lui amata che lo conduce attraverso il Paradiso e che simboleggia la Grazia divina. Dante dice di aver parlato con molte anime, che gli hanno narrato la loro vita, i loro errori, le loro esperienze: in questi incontri, con l'aiuto delle sue guide egli ha potuto capire i difficili misteri e le regole volute da Dio per la vita nell'aldilà. Un poema allegorico Il viaggio di Dante ha un profondo significato allegorico, cioè dentro al significato letterale ne nasconde diversi altri. Esso rappresenta prima di tutto il cammino di Dante stesso verso la redenzione del peccato. Ma nel cammino di Dante si può vedere anche l'allegoria del cammino dell'umanità dalla condizione di errore e di ignoranza a quella di realizzazione della pace e della giustizia sulla Terra, fino alla conquista della beatitudine eterna. Lo scopo del poema, infatti, secondo le parole di Dante è quello di rimuovere coloro che vivono in questa vita dallo stato di miseria e condurli allo stato di felicità. La struttura dell'opera La Divina Commedia si presenta come un poema didattico - allegorico poiché essa ha due chiavi di lettura una Letteraria e una Allegorica.nfatti, considerando tutta l’opera possiamo vedere che è formata principalmente da Allegorie: Dante narra di un viaggio nel mondo dell’aldilà, ma il viaggio non è nel senso stretto della parola in realtà il viaggio è spirituale cioè della mente e non del corpo. Proprio per questo, l'allegoria e la concezione figurale, sono il fondamento del poema. Il mondo è raffigurato suddiviso da un lato la realtà storica e concreta, dall'altro il sopramondo, ossia il significato della realtà storica trasferita sul piano morale e su quello ultraterreno. Questo componimento è diviso in tre cantiche e la materia è distribuita in cento canti (trentatré per cantica più uno introduttivo). La struttura metrica utilizzata dall’autore è l’endecasillabo raggruppato in terzine unite una all’altra dalla rima incatenata. I linguaggi utilizzati nella Commedia sono molteplici poiché Dante associava ad un tema aspro un linguaggio aspro. Per questo, alcuni studiosi, hanno definito il linguaggio della Commedia con il sostantivo "pluristilismo", in quanto Dante usa dei registri stilistici bassi (in alcune zone dell’Inferno) e dei termini sublimi (in Paradiso). La concezione geografica dantesca è basata sulla teoria tolemaica, secondo la quale la Terra si trova al centro dell'universo. È essenziale conoscere il pensiero geografico di Dante poiché, il mondo ultraterreno che lui ci descrive, è basato su questa teoria. Quando Lucifero si ribellò a Dio, Egli lo fece precipitare sulla Terra. Nel punto in cui cadde, il terreno presente, si ritirò per il timore del contatto con il demonio, creando così l'Inferno. La porzione di terra ritratta, formò la Montagna del Purgatorio, che emerge solitaria tra le acque dell’oceano. Lucifero è quindi conficcato al centro della Terra, nel punto più lontano da Dio, immerso fino al busto nel lago sotterraneo Cocito, il quale è perennemente congelato. Dal centro della Terra, a partire dai piedi di Lucifero, inizia un lungo corridoio che conduce direttamente alla Montagna del Purgatorio. Proprio per questo, l’Inferno è concepito da Dante come un profondo abisso a forma d’imbuto. Esso è suddivido in nove cerchi e, man mano che si scende, i peccati diventano sempre più gravi. In tali cerchi sono collocati i dannati che vengono condannati con pene commisurate al peccato commesso. Nell’Inferno, infatti, vige la “legge del contrappasso” esercitata o per contrasto (implica una pena che ripropone esattamente il contrario della colpa) o per analogia (implica una pena che esaspera i tormenti della colpa) . Ad esempio, gli ignavi, disprezzati e crudelmente trattati da Dante poiché indifferenti a ideali e sollecitazioni anche politiche, rincorrono un’ insegna pizzicati da vespe e mosconi. L’inferno è buio non solo perché è scavato sotto terra, ma per il carattere allegorico del viaggio stesso di Dante: esso è privo dalla luce di Dio. Questo luogo viene descritto come un paesaggio realistico e strutturato architettonicamente in modo da rappresentare simbolicamente le difficoltà che l’uomo incontra nel cammino verso la salvezza. Nel primo canto, Dante si trova in una selva. La selva rappresenta un topos letterario e indica infatti il luogo dello smarrimento. Il viaggio nella selva iniziò nella Settimana Santa del 1300. Questo cammino indicava per Dante una possibilità per riscattarsi. Lui affermava che conoscendo il male poteva raggiungere il bene