Utente:Salvatore Talia/Sandbox2

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Utente:Salvatore Talia/Sandbox2/Questione adriatica

Utente:Demiurgo/Storia giudiziaria dell'attentato di via Rasella

I principali studiosi che ne parlano (sia che approvino l'attentato, sia che lo critichino) sono pressoché concordi nel rilevare la futilità dell'accusa della mancata presentazione. Aurelio Lepre definisce tale accusa come una discussione «condotta in maniera molto goffa da alcuni ambienti di destra»[1], ne attribuisce l'origine all'editoriale dell'"Osservatore Romano" del 26 marzo, e commenta che tale accusa «era del tutto inconsistente», fra l'altro, «perché, se anche avessero voluto consegnarsi ai tedeschi, gli attentatori non ne avrebbero avuto il tempo»[2].

Scrive Klinkhammer che agli «autori dell'attentato di via Rasella [...] non fu neanche intimato di presentarsi. Ma pure se lo avessero fatto (spontaneamente), ciò non sarebbe stato sufficiente a placare la sete di vendetta della forza d'occupazione. Si voleva stabilire un esempio - per intimidire la popolazione italiana e dimostrare la capacità d'azione della forza d'occupazione»[3].

Per i Benzoni su questa accusa «c'è francamente ben poco da dire»; rilevato come nessun invito a costituirsi fosse diffuso dai tedeschi, i due autori oservano che d'altra parte «comportamenti del genere non erano neppure ipotizzabili nel contesto della Resistenza italiana ed europea. I tedeschi non erano gentiluomini rispettosi delle regole e delle procedure delle convenzioni internazionali; se i partigiani avessero, poi, dovuto prendere in considerazione l'ipotesi di costituirsi dopo ogni azione, potevano più razionalmente astenersi dal compierla...»[4].

Portelli, la cui monografia su via Rasella e Fosse Ardeatine dedica largo spazio a smentire la versione dell'invito a presentarsi[5], è tornato a parlare dell'accusa della mancata presentazione in un contributo pubblicato nel 2008, in cui la definisce come parte di una «leggenda antipartigiana» dotata della «forza di una vera e propria narrazione mitica» che «ad ogni smentita o messa in discussione risponde attingendo a un fondo inesauribile di varianti alternative». Scrive fra l'altro Portelli: «Come sappiamo, la narrazione fondamentale è quella dell'invito rivolto ai partigiani affinché si consegnassero ai tedeschi per evitare la rappresaglia [...]. Una volta che si dimostri che questo invito non c'è mai stato, accade di sentirsi dire: dovevano consegnarsi lo stesso. Se uno obietta che se ogni partigiano che attaccava i tedeschi si fosse consegnato, non ci sarebbe stata nessuna Resistenza, la risposta è: non dovevano farlo comunque»[6].

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Studi storici
  • Marina Caffiero e Micaela Procaccia (a cura di), Vero e falso. L'uso politico della storia, Roma, Donzelli, 2008, ISBN 978-88-6036-238-4.
Memorie
  • Giorgio Amendola, Lettere a Milano. Ricordi e documenti 1939-1945, Roma, Editori Riuniti, 1973.
  • Rosario Bentivegna, Achtung Banditen! Prima e dopo via Rasella, Milano, Mursia, 2004 [1983], ISBN 88-425-3218-5.
    • Appendice terza: Lorenzo Baratter, La storia del Polizeiregiment «Bozen»: dall'Alpenvorland a via Rasella, pp. 353–368.
Diari
Raccolte di articoli
  • Una «inutile strage»? Da via Rasella alle Fosse Ardeatine, a cura di Angiolo Bandinelli e Valter Vecellio, Napoli, Pironti, 1982.
  • D. Bidussa, M. Caffiero, C. S. Capogreco, A. Del Col, C. G. De Michelis, E. Gentile, D. Menozzi, M. G. Pastura, A. Portelli, M. Procaccia, D. Quaglioni e C. Vivanti, Vero e falso. L'uso politico della storia, a cura di Marina Caffiero e Micaela Procaccia, Roma, Donzelli, 2008, ISBN 978-88-6036-238-4.
  1. ^ Lepre 1996, p. 46.
  2. ^ Lepre 1996, p. 47.
  3. ^ Klinkhammer 1997, p. 11.
  4. ^ Benzoni 1999, p. 74.
  5. ^ Portelli 2012, passim.
  6. ^ Alessandro Portelli, L'uso mitico della storia: varianti delle Fosse Ardeatine, in Caffiero, Procaccia 2008, pp. 173-4.