Utente:OcramR/Sandbox

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Nanoadsorbitori per rifiuti radioattivi[modifica | modifica wikitesto]

I radionuclidi interagiscono direttamente con la struttura biologica degli organismi, arrivando in alcuni casi a distruggerli anche se presenti in concentrazioni molto basse. Il loro tempo di decadimento estremamente alto, in combinazione con la momentanea mancanza di tecniche per la loro neutralizzazione, li rendono una tra le più gravi forme di inquinamento per svariati ecosistemi e forme di vita.

Le tecnologie nano offrono le migliori possibilità nella rimozione di questi inquinanti, soprattutto in ambiente acquoso dal momento in cui presentano non solo una maggior affinità con i radionuclidi in soluzione, ma anche una grande capacità di adsorbimento dovuta all’elevata superficie specifica. Quest’ultima può essere facilmente funzionalizzata per ottenere un adsorbimento e dunque una rimozione maggiormente selettiva [1][2].

Essendo l’adsorbimento un efficace mezzo per la rimozione e il trattamento di rifiuti radioattivi, gli adsorbitori impiegabili in questa applicazione dovrebbero rispettare quattro requisiti [3] .

  1. Elevata stabilità sotto stress chimico, termico, meccanico e alla radiazione
  2. Adsorbimento irreversibile delle specie radioattive, per evitare un inquinamento secondario
  3. Adsorbimento selettivo, siccome i radionuclidi sono spesso in basse concentrazioni rispetto alle altre specie non radioattive
  4. Praticità e basso prezzo

Composti a base di ossido di titanio[modifica | modifica wikitesto]

Questi composti sono noti per la loro stabilità alle radiazioni, agli agenti chimici e a condizioni termiche e meccaniche, inoltre, risultano estremamente promettenti grazie alle elevate prestazioni nella rimozione di cationi radioattivi da acque inquinanti tramite adsorbimento [2].

Nanofibre e nanotubi[modifica | modifica wikitesto]

Oltre alla sua applicazione come nanoparticella, l’ossido di titanio viene adoperato anche sotto forma di nanofibra e nanotubo (TNT), soprattutto per il trattamento di Cs+ e Sr2+ [1].

Le nanofibre, disposte in fasci e prodotte attraverso sintesi alcalina, presentano capacità di adsorbimento anche in un sistema supposto in continuo senza che queste vengano rilasciate nell'ambiente. Inoltre, risultano ottimi adsorbitori di arsenico, seppur attualmente vi siano sistemi più efficaci ma che presentano sempre biossido di titanio al loro interno [3]. A differenza di questi ultimi, la struttura fibrotica permette una separazione più semplice in quanto non dà aggregazione e metodi come filtrazione, sedimentazione o centrifugazione possono essere utilizzati per separarle dal medium acquoso [1].

Sempre sotto forma di fibre, la titania può essere inserita in miscela con scorie d’altoforno e cemento Portland per la stabilizzazione di alcuni rifiuti radioattivi che divengono quindi solidi.

Il costituente principale è la base cementizia che tipicamente viene adoperata nella stabilizzazione per via del suo costo contenuto, disponibilità, stabilità a lungo termine, buone proprietà meccaniche e chimiche, facilità di processazione e gestione, e stabilità sia termica che alle radiazioni. Con l’aggiunta di pochi punti percentuali di fibre il composito cementizio che si ottiene presenta in primis un incremento delle sue proprietà meccaniche, ma anche una maggior capacità di adsorbimento di inquinanti (nello specifico Cs+). Se alla miscela si aggiunge la scoria, che risulta comunque essere di base un rifiuto, le proprietà migliorano ulteriormente.

La solidificazione viene tipicamente utilizzata per rifiuti considerati di media attività, permettendone così una miglior gestione [4].

Rispetto alle semplici nanoparticelle, le fibre e i nanotubi di biossido di titanio presentano miglior capacità di scambio ionico, maggior stabilità, superficie specifica e volume, grazie alla loro struttura. In aggiunta, a seguito dell’adsorbimento del radionuclide passano da una struttura metastabile ad una cristallina, solidificando così in modo permanente l'inquinante all’interno [2].

È possibile adoperare i nanotubi anche in modo alternativo, ovvero disponendoli in modo ordinato per generare film sottili. Nello specifico è possibile impiegare nanotubi di titania anatasica ottenuti per ossidazione anodica di titanio metallico che presentano elevata superficie e la cui produzione risulta molto semplice. Questi possono venir impiegati per l’adsorbimento di uranio presente in acque contaminate dove la presenza di altre specie (come i carbonati con cui l’uranio forma complessi molto stabili), pH e concentrazione totale di nucleotide influisce sulle capacità d’adsorbimento del sistema [5].

Recenti risultano le nanofibre T3 (tri titanato di sodio) e i nanotubi T6 (esa titanato di sodio). I primi sono ottenuti da due processi di calcinazione che portano ad una fase stabile di Na2Ti6O13 a partire da strutture layer a zig-zag, dove gli ioni sodio si dispongono tra un layer e l'altro. I secondi presentano ioni Na+ all’interno della struttura cava. In entrambi i casi il meccanismo dietro il funzionamento di questi adsorbitori è la sostituzione dello ione sodio con i cationi radioattivi, scambio che porta ad una deformazione strutturale che intrappola questi ultimi all’interno del nanomateriale 1D. Nello specifico con T3, dopo lo scambio tra il sodio e l’inquinante (nello specifico Sr2+ o Ra2+), si ha una deformazione strutturale a causa del cambiamento delle interazioni elettrostatiche tra cationi e i layer di TiO6; questi presentano carica negativa, la quale porta all’intrappolamento dell'inquinante nella struttura, che quindi può venire dismessa in sicurezza. I T3 possono assumere anche disposizione tubolare, incrementando così la capacità di adsorbimento.

A differenza delle fibre, i nanotubi T6, seppur più selettivi, presentano un problema legato all’otturazione della cavità; ciò si verifica nel caso in cui lo scambio del sodio avvenisse con elementi che presentano diametri elevati. Questi potrebbero addirittura non poter passare all’interno del foro e quindi venir necessariamente adsorbiti solamente dai nanotubi deformati [6].

Su nanofibre e nanotubi di titania è possibile ancorare nanocristalli di ossido di argento, il quale risulta fissato saldamente sulla superficie grazie alla simil superficie cristallografica [1].

Nanocompositi[modifica | modifica wikitesto]

Vengono principalmente utilizzati per la rimozione dello iodio radioattivo 129I. Sebbene esso si trovi solo in piccola concentrazione negli effluenti nucleari, l’efficace cattura e stoccaggio dello iodio 129I risulta di fondamentale importanza per la sicurezza pubblica, a causa della sua lunga emivita (107 anni) e del suo coinvolgimento nei processi metabolici umani [7].

Per la rimozione dell'anione I- vengono utilizzati numerosi cationi, tra cui Cu+, Hg2+, Ag+ e Pb2+ [8], così da formare precipitati o fasi scarsamente solubili con gli anioni I-, che poi vengono separati e smaltiti in modo sicuro. Tuttavia, questi composti presentavano basse capacità e dinamiche di adsorbimento a causa della piccola area superficiale specifica.

Per cercare di risolvere questo problema, i cationi Ag+ e Hg2+ sono stati depositati sulla superficie di zeoliti, ma nonostante ciò, questi adsorbitori soffrivano di una lenta cinetica di adsorbimento e quindi di una scarsa efficienza. Inoltre, è stata sollevata la preoccupazione per il possibile rilascio di specie radioattive qualora le particelle precipitate non si legassero solidamente al substrato di zeolite [9].

Studi recenti affermano come nanocristalli di Ag2O depositati con tecnica CVD sulla superficie esterna di nanotubi (T3NT) e nanofibre (T3NF) di titanato di sodio mostrino un’elevata capacità di adsorbimento (3.4 mmol/g), selettività e cinetica nella rimozione degli anioni radioattivi I- [8] dalle acque reflue, il che è fondamentale per la gestione delle specie radioattive [9].

I nanomateriali di ossido di titanio hanno un'elevata capacità di adsorbimento e si stabilizzano in alcune condizioni estreme come radiazioni, alte temperature e acque acide, rendendoli potenziali contenitori di scorie nucleari per i cationi radioattivi. I nanocristalli di Ag2O attaccati sulla superficie esterna dei nanomateriali di titanato catturano facilmente e in grande proporzione gli ioni di iodio in soluzione come illustrato nello Schema 1 [8].

IMMAGINE NON PERVENUTA

Questi nanocristalli di Ag2O non si aggregano in modo casuale sulla superficie del substrato di titanato, ma sono saldamente ancorati attraverso interfacce stabili e coerenti tra Ag2O e ossido di titanio. Le due fasi, avendo una superficie cristallografica simile, formano un buon accoppiamento grazie alla condivisione degli atomi di ossigeno all'interfaccia [8].

Ciò assicura la massima esposizione di tutti i nanocristalli di Ag2O alla soluzione contaminata e quindi un'elevata efficienza di cattura degli ioni I-. Questo tipo di interfaccia è un requisito essenziale per l'applicazione pratica di materiali adsorbenti efficienti.

Si ottengono così nuovi nanocompositi, Ag2O -T3NT e Ag2O -T3NF, in cui i nanocristalli di Ag2O si ancorano saldamente alla superficie esterna delle nanostrutture di titanato.

I nanocristalli di Ag2O si espongono adeguatamente al fluido, ed i grandi vuoti tra i tubi o tra le fibre (da diversi a centinaia di nanometri), consentono il passaggio di un flusso elevato. Si ottiene così un'efficiente cattura degli ioni I- e una facile separazione dell'adsorbente dal fluido in seguito alla formazione di AgI-T3NT e AgI-T3NF [9].

Per ottenere il composito si vanno ad immergere i substrati di ossido di titanio all’interno di una soluzione acquosa contenente argento nitrato. Dopo una agitazione violenta, un risciacquo con acqua deionizzata e un’asciugatura in forno [10] , si avrà la deposizione dei nanocristalli d’argento che, a seguito dell’adsorbimento, passano da una colorazione grigia ad una gialla [9].

Nanoparticelle Magnetiche[modifica | modifica wikitesto]

Gli isotopi radioattivi 137Cs e 135Cs sono motivo di grande preoccupazione a causa degli effetti distruttivi sull'ambiente e sugli organismi viventi [11].

In generale, per la rimozione del cesio vengono utilizzate diverse tecniche come la precipitazione chimica, l'evaporazione e lo scambio ionico, dove quest’ultimo è il metodo più efficace per la gestione delle acque reflue radioattive [12]. Tuttavia, in caso di rilascio su larga scala, l'adsorbimento risulta il più adatto grazie alla sua semplicità ed efficienza nel trattare grandi volumi [13].

Diversi adsorbenti di Cs con elevata specificità sono già stati ampiamente studiati [14], come zeoliti [15], calixarene [16], molibdofosfato di alluminio [17] ed esacianoferrato di ferro [18].  Tuttavia, non possono essere facilmente utilizzati per adsorbire Cs in un ambiente aperto poiché non esiste un modo semplice per raccoglierli nuovamente una volta diffusi nell’ambiente.

Per ovviare a questa difficoltà e dunque agevolare la separazione, è possibile adoperare nanoparticelle magnetiche (MNP), come ad esempio l’ossido ferroso-ferrico (Fe3O4), funzionalizzate con NaCuHCF o con il blu di prussia PB, con il fine di agevolare la separazione magnetica come metodo conveniente per recuperare gli adsorbenti dall'acqua [19][20].

Blu di prussia[modifica | modifica wikitesto]

I nanoadsorbotori basati su nanoparticelle magnetiche (MNP) funzionalizzate con blu di prussia, vengono ampiamente utilizzati per l’elevata capacità di adsorbimento di cesio e la facilità di separazione magnetica. In particolare, il PB viene scelto come strato adsorbente per la sua specificità e la facile sintesi.

Il PB può essere prodotto con diversi metodi come ad esempio quello che sfrutta la reazione tra il sale degli ioni esacianoferrato (II) e il sale degli ioni ferrici per formare il precipitato PB [20], secondo la reazione:

FeCl₃ + K₄ [Fe(CN)₆] → 3KCl + KFe[Fe(CN)₆].

L’esacianoferrato ferrico di potassio KFe[Fe(CN)₆] così ottenuto, è noto come PB solubile colloidale.

Il PB insolubile, o Fe₄[Fe(CN)₆]₃ si forma invece secondo la reazione:

4FeCl₃ + 3K₄[Fe(CN)₆] → 12KCl + Fe₄[Fe(CN)₆]₃.

Le due forme sono preparate a partire dagli stessi reagenti chimici di partenza ma con rapporti diversi: un eccesso di esacianoferrato di potassio nei reagenti di partenza porta all’ottenimento di PB solubile colloidale, mentre un’abbondanza di ione ferrico porta alla formazione del PB insolubile.

Da notare che il PB colloidale solubile in realtà non si dissolve in soluzione, ma forma uno stato colloidale microcristallino molto fine nella soluzione. Ciò crea difficoltà per il suo utilizzo nella filtrazione su membrana o colonna poiché le particelle microcristalline tendono ad ostruire i pori del filtro e ridurne la portata.

Per rivestire la superficie delle nanoparticelle magnetiche con il blu di prussia, è possibile far reagire gli ioni esacianoferrato (II) con gli ioni ferrici in presenza delle prime, che fungono da sito di nucleazione. Tuttavia, la resa di questo processo è bassa poiché si può formare anche PB puro, che di conseguenza non andrà a rivestire le nanoparticelle magnetiche.

Per migliorare il rivestimento, questa reazione viene eseguita in condizioni acide, poiché i siti di Fe³⁺ vengono creati preferenzialmente sulla superficie delle MNP [21][22][23] che possono reagire con gli ioni esacianoferrato vicini nella soluzione formando così il rivestimento.

A causa dell'eccesso di esacianoferrato nella soluzione sulla superficie degli ioni Fe³⁺, il PB che si ottiene risulta essere nella forma solubile colloidale.

Un altro metodo prevede di rivestire il blu di Prussia solubile sulla superficie di una nanoparticella di ossido di ferro rivestita di poli diallil dimetil ammonio cloruro (PDDA).

Attraverso questo metodo è possibile far reagire gli ioni esacianoferrato (II) con gli ioni ferrici in presenza di nanoparticelle di ossido di ferro PDDA che fungono da siti di nucleazione per il precipitato di rivestimento.

La procedura di sintesi di nanoparticelle magnetiche rivestite di blu di prussia sono presentate nella Figura 1 [24].  

IMMAGINE NON PERVENUTA

Lo schema mostra come gli adsorbenti sono composti in gran parte da blu di prussia (caricato negativamente) e una quantità minore di ossido di ferro PDDA (caricato positivamente).

Questi nano-adsorbenti magnetici a base di ossido di ferro rivestiti con blu di prussia, ottenuti tramite un semplice metodo di co-precipitazione e crescita, mostrano proprietà superparamagnetiche e possiedono un valore di magnetizzazione della saturazione sufficientemente elevato, che consente una facile separazione dell’adsorbente dopo il trattamento, utilizzando un semplice campo magnetico [25] .

Grazie alla biocompatibilità del nucleo magnetico di ossido di ferro e alla bassa tossicità del PB (approvato dalla FDA per l'uso come farmaco per la decorporazione del Cs negli esseri umani), questi nano-adsorbenti sviluppati possono aprire la strada al trattamento su larga scala del cesio radioattivo (137Cs) nell’ambiente, anche perché possiedono un’eccellente efficienza nella rimozione controllata di quest’ultimo [24].

Esacianoferrato di Sodio-Rame[modifica | modifica wikitesto]

I complessi misti esacianoferrati HCF (II) dei metalli alcalini e di transizione hanno un'elevata selettività per l'adsorbimento del cesio. Tuttavia, non tutti i composti presentano le medesime caratteristiche; anzi, molti di essi hanno scarse proprietà meccaniche e sarebbero inadatti per applicazioni pratiche [26].

Come precedentemente illustrato, una delle più grandi problematiche, infatti, riguarda la forma in polvere degli esacianoferrati metallici, la quale ne limita l'uso diretto in ambienti aperti per via della difficoltà di separazione mediante centrifugazione o filtrazione dopo l'adsorbimento. Dunque, è necessario funzionalizzarli su nanoparticelle magnetiche [19].

L’incorporazione del NaCuHCF sulle particelle magnetiche avviene attraverso interazioni fisiche o elettrostatiche, utilizzando PEI-trimetossilpropilico modificato (PEI-silano) poiché aumenta la stabilità colloidale, anche in acqua di mare, ed evita il consumo dei gruppi amminici liberi nel PEI aumentando di fatto il contenuto di NaCuHCF nell'adsorbente [27].

Questi complessi (NaCuHCF-PEI-MNC) hanno mostrato un’elevata cinetica di adsorbimento e una rapida separazione magnetica, probabilmente attribuita alle ridotte dimensioni del NaCuHCF sulla superficie dell'adsorbente. Inoltre, il potenziale zeta presenta un valore tale per cui risulta facilitata la diffusione del Cs+ nel doppio strato elettrico della superficie, in un ampio intervallo di pH. Questi fattori confermano di fatto la loro praticità e l’utilizzo in una vasta gamma di ambienti [28].

Un metodo per la determinazione della selettività del Cs è l’utilizzo dei coefficienti di distribuzione (Kd, mL/g) per concentrazioni simili di cationi competitivi, come Na+, K+, Ca2+ e Mg2 +.

Il valore di Kd viene calcolato con la seguente equazione: Kd = (Co–Ce) / (Ce x V/m), dove:

·         Co e Ce sono le concentrazioni iniziali e di equilibrio di ciascuno ione nella soluzione;

·         V è il volume della soluzione;

·         m è la massa dei NaCuHCF-PEI-MNCs

La buona corrispondenza tra il raggio di idratazione del Cs (3,25 Å) e la spaziatura reticolare regolare degli HCF metallici, rispetto ad altri cationi come K+ (3,3 Å), Na+ (3,6 Å), Ca2+ (4,1 Å) e Mg2+ (4,25 Å), dimostra come questi esacianoferrati possiedano un'eccellente selettività nei confronti del radionuclide.

Tra i vari ioni concorrenti, sodio e potassio risultano i più importanti poiché presenti in quantità elevata sia in acqua di mare che in acqua dolce. L'efficienza di rimozione del Cs diminuisce all'aumentare della concentrazione di questi, principalmente in presenza di K+ vista la vicinanza dei raggi di idratazione che porta questi ultimi a legarsi con l’adsorbitore metallico al posto del Cs [29][30][31].

Criticità[modifica | modifica wikitesto]

Grazie alla loro forma, dimensione, funzionalità e proprietà superficiali uniche [8], i nano-adsorbitori si sono dimostrati un efficace mezzo per la rimozione selettiva di varie specie radioattive presenti nelle acque contaminate [32], impedendo al contempo ai radionuclidi di entrare e interagire con la biosfera.

Sebbene la capacità dei nanomateriali di rimuovere diversi tipi di radionuclidi dalle acque sia dimostrata da un'elevata capacità di adsorbimento e da un'auspicabile selettività [32], i loro costi di sintesi rispetto a quelli dei materiali di adsorbimento tradizionali, non sono così bassi come ci si aspetta. Però, grazie alle loro caratteristiche, un composito con materiali tradizionali e nanomateriali risulta essere una buona alternativa [8].

Inoltre, l'adsorbimento dei radionuclidi dipende da molti fattori, come le caratteristiche della superficie e la funzionalità dell'adsorbente. L'entità delle interazioni tra nanomateriali e radionuclide può anche variare in modo significativo con i tipi di nanomateriali a causa delle diverse proprietà chimiche intrinseche, vale a dire che per un dato nanomateriale e un radionuclide bersaglio è prevedibile un effetto combinato di varie azioni.

Ciò solleva a sua volta la necessità di sviluppare un potente sistema di modellazione per descrivere meglio i complessi comportamenti di adsorbimento dei nanomateriali radionuclidi.

Un’ulteriore sfida risulta essere la riduzione del volume e massa dei rifiuti radioattivi, poiché i nanomateriali utilizzati possono contribuire al loro aumento. In futuro, è altamente auspicabile l'adozione di metodi di sintesi ecologici di nanomateriali funzionalizzati per la decontaminazione dei rifiuti radioattivi, con condizioni di sintesi delicate e un minore uso di sostanze chimiche pericolose, riducendo al contempo i costi di produzione [32].

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