Utente:DerfelDiCadarn87/Secondo dopoguerra in Giappone

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Antefatti[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Occupazione del Giappone.

Uscito sconfitto dalla seconda guerra mondiale, il Giappone venne occupato militarmente dagli Stati Uniti d'America, i quali affidarono alla figura del generale Douglas MacArthur la ricostruzione politica, economica e sociale del Paese.[1] Sebbene durante la guerra gli Alleati avessero pianificato la divisione del Giappone tra i vincitori per tutta la durata dell'occupazione, come avvenuto per la Germania, questa divenne di fatto una questione quasi esclusivamente statunitense. La Cina e l'URSS, infatti, non inviarono truppe in Giappone, mentre una piccola rappresentenza del Regno Unito limitò le sue operazioni alla parte occidentale dell'isola di Honshū.[2]

Dal punto di vista pratico MacArthur fece rimpatriare soldati e civili dall'estero, smobilitando nel giro di pochi mesi basi e strutture di guerra nelle zone in precedenza occupate dal Giappone. Uno dei primi obiettivi era infatti la completa smilitirazzizione del Paese, perseguita attraverso la distruzione di armi e attrezzature belliche e con l'abolizione dei ministeri della guerra, della marina e degli interni.[3][4] Con l'entrata in vigore della nuova Costituzione, ispirata ai prinicipi della democrazia parlamentare e incentrata sul rispetto dei diritti umani e delle libertà dell'individuo,[5][6] fu inoltre imposto al Giappone la totale rinuncia alla guerra e a qualsiasi potenziale di forza terrestre, aerea o navale.[7] I vari responsabili dello scoppio del conflitto, tra cui il generale Hideki Tōjō e l'ex primo ministro Kōki Hirota, furono processati e puniti per i loro crimini di guerra.[8] L'imperatore Hirohito fu graziato e mantenne il suo ruolo di guida simbolica dello Stato, ma dovette comunque negare pubblicamente la sua origine divina.[9]

Fu introdotto un nuovo sistema scolastico ispirato a quello statunitense,[10] mentre i testi di storia, geografia ed etica furono dichiarati illegali, poiché considerati opere di propaganda nazionalista, e fu commissionata la loro riscrittura prima della riapertura di scuole e università.[4] In ambito economico si procedette allo smantellimento e alla successiva riorganizzazione degli zaibatsu, le coalizioni finanziarie che avevano fino ad allora monopolizzato l'industria nipponica.[11] Fu inoltre introdotta una vasta riforma agraria che favorì i piccoli proprietari e altre norme riconobbero i diritti dei lavoratori, fecero rinascere i sindacati e, soprattutto, i partiti.[12] Con lo scioglimento della Taisei Yokusankai e la scarcerazione dei prigioneri politici nacquero infatti il Partito Progressista Giapponese (dalle ceneri del Partito Costituzionale Democratico), il Partito Socialista Giapponese e il Partito Liberale Giapponese, il cui leader Shigeru Yoshida avrebbe giocato un ruolo di rilievo nella politca giapponese del dopoguerra.[4]

All'alba della Guerra fredda e con l'attenzione statunitense ormai rivolta alla guerra di Corea, nel 1951 fu firmato il trattato di San Francisco, che segnò la fine della presenza alleata e la riconquista della indipendenza da parte del Giappone, divenuta effettiva il 28 aprile 1952.[13]

La politica nel Giappone del secondo dopoguerra[modifica | modifica wikitesto]

Il governo Yoshida e il "sistema del 1955"[modifica | modifica wikitesto]

Shigeru Yoshida, primo ministro del Giappone nel 1946-1947 e dal 1948 al 1954

Le elezioni parlamentari del 1946, le prime tenutesi in Giappone dalla fine del conflitto, avevano visto la vittoria del Partito Liberale Giapponese e la sconfitta del primo ministro in carica Kijūrō Shidehara. Il suo posto sarebbe spettato a Ichirō Hatoyama, leader dela partito vincitore, ma egli fu destituito dalla carica alla vigilia della formazione del nuovo consiglio dei ministri, perché coinvolto in una serie di provvedimenti illiberali prima dell'inizio della guerra. Gli subentrò quindi Shigeru Yoshida, il quale assunse la presidenza del partito e di conseguenza il ruolo di capo del governo.[14]

Il governo Yoshida, esclusa una breve parentesi socialista che vide al governo una coalizione guidata prima da Tetsu Katayama e poi da Hitoshi Ashida, andò avanti fino al 1954.[15] In linea con le idee di MacArthur, che vedeva nell'avanzare del comunismo una minaccia alla democratizzazione del paese, Yoshida fu d'accordo con la proibizione di un grande sciopero previsto nell'aprile 1947, impedito perché capeggiato dal leader di sinistra Yashirō Ii.[16] L'ascesa del Partito Comunista alle elezioni del 1949, la vittoria di Mao Zedong nella guerra civile cinese e i timori legati all'inizio della Guerra fredda spinsero infatti il governo giapponese a inasprire le misure in questo senso: nel 1950 fu promossa la cosiddetta "epurazione rossa", in cui migliaia tra sindacalisti, politici, lavoratori privati e dipendenti pubblici furono allontanati dalle loro cariche a causa delle loro idee.[17] La politica di Yoshida, però, si basò anzitutto su una stretta collaborazione con gli Stati Uniti, cui fu affidata la pubblica sicurezza del Paese secondo i crismi dell'articolo 9 della nuova Costituzione, che proibiva al Giappone qualunque ricorso alle armi per risolvere le dispute internazionali. Con l'inizio della guerra di Corea e l'intensificarsi delle tensioni con l'URSS, gli Stati Uniti spinsero per un pronto riarmo del Giappone, cui Yoshida si dichiarò però sempre contrario, almeno fino all'istituzione delle Jieitai nel 1954.[18] Senza l'incombenza delle spese militari, egli poté focalizzarsi sulla ricostruzione dell'economia della nazione, che sotto la sua guida tornò ai livelli prebellici del 1933-1935.[15]

Nella negoziazioni che portarono il Giappone al trattato di pace di San Francisco e al patto di sicurezza tra le due nazioni, Yoshida dovette tuttavia concedere agli statunitensi di continuare a usufruire delle basi militari nel territorio, che di fatto divenne un importante punto di riferimento per le operazioni USA nella regione durante la Guerra fredda.[19] Questo allineamento militare con gli Stati Uniti non fu ben accolto della popolazione e per tutta la durata degli anni cinquanta si verificarono massicce contestazioni, culminate con le violenti proteste seguite alla firma del trattato di mutua cooperazione nel 1960.[20] Tale situazione portò anche alla nascita di dissidi interni al Partito Liberale, soprattutto dopo la riabilitazione pubblica nel 1952 di alcuni esponenti di spicco, allontanati durante il periodo occupazionista. A tenere banco fu in particolare il dualismo tra Yoshida e Hatoyama, con quest'ultimo che accusò il primo ministro e suoi alleati di avere condotto il Giappone a una «indipendenza subordinata».[21] La diffidenza di Yoshida nei confronti di Hatoyama e di altri ex epurati, come Nobusuke Kishi, portò infine a una netta spaccatura tra i rappresentanti della vecchia e della nuova classe politica.[22]

Yoshida inoltre dovette prendersi le responsabilità per i cattivi risultati alle elezioni del 1952 e del 1953, che videro il suo partito calare drasticamente nei consensi.


Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Henshall, 2005, pp. 207-211.
  2. ^ Henshall, 2005, pp. 208-209.
  3. ^ Henshall, 2005, pp. 211-212.
  4. ^ a b c Caroli e Gatti, 2016, p. 179.
  5. ^ Henshall, 2005, pp. 222.
  6. ^ Caroli e Gatti, 2016, pp. 180-181.
  7. ^ Henshall, 2005, pp. 212-213.
  8. ^ Henshall, 2005, p. 213.
  9. ^ Henshall, 2005, pp. 214-219.
  10. ^ Henshall, 2005, p. 224.
  11. ^ Henshall, 2005, pp. 224-225, 229.
  12. ^ Henshall, 2005, pp. 220, 224-227.
  13. ^ Henshall, 2005, pp. 231-234.
  14. ^ Henshall, 2005, p. 220.
  15. ^ a b Caroli e Gatti, 2016, p. 182.
  16. ^ Henshall, 2005, p. 225.
  17. ^ Henshall, 2005, pp. 230-231 e Kingston, 2001, p. 14.
  18. ^ Kingston, 2001, p. 22.
  19. ^ Smith, 1995, p. 73.
  20. ^ Kingston, 2001, p. 23.
  21. ^ Smith, 1995, p. 74 e Bailey, 1996, p. 64.
  22. ^ Smith, 1995, pp. 74-75.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • (EN) Paul J. Bailey, Postwar Japan: 1945 to the Present, Blackwell Publishers, 1996, ISBN 0-631-18101-6.
  • Rosa Caroli e Francesco Gatti, Storia del Giappone, ed. digitale, Bari, Editori Laterza, 2016, ISBN 978-8858128398.
  • Kenneth G. Henshall, Storia del Giappone, traduzione di Claudia Terraneo, 2ª ed., Mondadori, 2005 [2004], ISBN 978-88-04-67823-6.
  • (EN) Jeff Kingston, Japan in Transformation, 1952-2000, Pearson Education, 2001, ISBN 0-582-41875-5.
  • (EN) Dennis B. Smith, Japan since 1945: The Rise of an Economic Superpower, Macmillan International Higher Education, 1995, ISBN 978-1-349-24126-2.