Sinistra storica

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La Sinistra storica

Mentre la destra sviluppò una politica di unificazione del territorio e rese sempre più piemontese l'apparato amministrativo, la sinistra si impegnò in una politica di riforma, tra le quali ricordiamo : 1) La legge sull'obbligatorietà della scuola elementare. 2) Abolizione della tassa sul macinato. 3) L'estensione del diritto di voto: da 21 anni e in base al censo. Inoltre favorì la nascita della grande industria del nord nel triangolo industriale Torino, Milano e Genova ma trascurò l'agricoltura, tanto che i contadini furono lasciati in condizioni di estrema povertà. Essi, quindi, emigrarono oppure erano in balia dei signorotti meridionali. Gli uomini più rappresentativi della sinistra storica furono : 1) Agostino Depretis, creatore del "Trasformismo" in politica interna, moderato nelle relazioni internazionali, aderì alla Triplice Alleanza con l'Austria e la Germania per avere il consenso ad intraprendere una politica coloniale in Africa. Questa politica si risolse nella prima fase con la sconfitta di Dogoli Eritrea nel 1887. Dopo questa sconfitta, il governo di Depretis cadde. 2 ) Gli successe Francesco Crispi, che fu sostenitore di uno stato autoritario, represse le rivolte e gli scioperi, limitò la libertà di stampa, aumentò le tasse doganali creando il Protezionismo. In politica estera continuò la politica coloniale del predecessore in Africa, ma sconfitto l'esercito italiano nel 1896 ad Ardua in Etiopia, anche il suo governo cadde. Gli anno dal 1896 al 1900 furono anni oscuri ispirati ad una politica repressiva. Solo il 29 luglio 1900, col l'uccisione del re Umberto I e la successione del re Vittorio Emanuele III iniziò un periodo di politica più aperta con i ministeri di Giuseppe Zanardelli e poi di Giovanni Giolitti.

Allargamento del suffragio e politiche sociali

La Sinistra è stata uno schieramento politico dell'Italia post-risorgimentale, detta in seguito storica per distinguerla dai partiti e movimenti di massa di sinistra che si sarebbero affermati nel corso del XX secolo. L'epoca della sinistra storica va dal 1876, anno della "rivoluzione parlamentare" che portò alla caduta della Destra storica, sino alla "crisi di fine secolo" (1896), che sfociò nell'età giolittiana.

Il primo presidente del consiglio appartenente alla Sinistra storica fu Agostino Depretis, incaricato dal re, pochi giorni dopo le dimissioni del governo Minghetti, ultimo esponente della destra storica al governo. La matrice ideologica del raggruppamento era liberale progressista, e, pur non avendo un precedente storico, si rifaceva alle idee mazziniane, garibaldine e dunque democratiche. Depretis formò un governo che, oltre all'appoggio della Sinistra, schieramento di cui faceva parte, si reggeva anche sull'appoggio di una parte della Destra, quella che aveva contribuito alla caduta del governo Minghetti. Nella sua azione di governo, Depretis cercò sempre ampie convergenze su singoli temi con settori dell'opposizione, dando vita al fenomeno del trasformismo.

Gli esponenti della Sinistra storica erano perlopiù esponenti della media borghesia, in maggior parte avvocati. Tentarono di riconciliare la politica col «paese reale» democratizzando e modernizzando lo stato e il paese.[1]

Un'importante riforma riguardava l'istruzione: la legge Coppino (1877) rese obbligatoria e gratuita l'istruzione elementare (dai 6 ai 9 anni d'età). La Sinistra si batté per l'allargamento del suffragio, tramite una legge del 1882 (legge Zanardelli) che concedeva diritto di voto a tutti i maschi, che avessero compiuto i 21 anni e rispettassero requisiti per il voto: il pagamento di un'imposta di almeno 19,8 lire (invece delle precedenti 40) o, in alternativa, il conseguimento dell'istruzione elementare appena allargata (era comunque sufficiente dimostrare di saper leggere e scrivere). Con la suddetta riforma il corpo elettorale salì al 6,9% della popolazione italiana, rispetto al 2,2% del 1880.[2]

La volontà della Sinistra storica era quella di ampliare il suffragio fino a un'utopica universalità (che per quel periodo era comunque ben lungi dall'essere proponibile) basandosi non più tanto sul censo dei cittadini, quanto sulla loro istruzione.

La Sinistra storica prese provvedimenti anche in campo amministrativo, dove provvide ad un decentramento dei poteri e in campo sociale, con l'introduzione di prime misure a difesa dei lavoratori. Furono inoltre avviate una serie di inchieste per esaminare le condizioni di vita della popolazione rurale: la più nota è senz'altro l'inchiesta Jacini, che ha rivelato una diffusa malnutrizione (pellagra), alta mortalità infantile (per difterite), grande povertà e scarse condizioni igieniche. Diffuso era il fenomeno dell'emigrazione.

Il protezionismo

La Sinistra storica, in politica interna, ebbe come obiettivo l'abolizione dell'impopolare tassa sul macinato[3] e in generale una politica di sgravi fiscali e di investimenti nello sviluppo industriale del paese.

La Sinistra perseguì una politica protezionista. In Italia il principale ispiratore della nuova politica tariffaria in materia di commercio estero fu Luigi Luzzatti. Con la crisi economica in Europa (1873-1895) crebbe la miseria dei braccianti, e questo provocò i primi scioperi agricoli. Il protezionismo si tradusse nell'intervento diretto dello Stato nell’economia. I governi italiani della Sinistra, condizionati da gruppi industriali del Nord, approvarono nel 1878 l'introduzione di tariffe doganali a protezione delle industrie tessili e siderurgiche; furono inoltre concessi sussidi ai settori in difficoltà e sviluppate le infrastrutture.

Nel 1887, per fronteggiare la grande depressione, si diede vita a quel "blocco agrario-industriale", come lo chiama Antonio Gramsci, tra la classe liberale e progressista del Nord con gli agrari e i latifondisti reazionari del Meridione, estendendo la tariffa protettiva sulla cerealicoltura che risentiva delle esportazioni dagli Stati Uniti d'America di grano, che, per la riduzione dei noli dei trasporti, arrivava sul mercato italiano a prezzi inferiori.

Un dazio che danneggiava evidentemente gli industriali settentrionali che dovevano commisurare il salario degli operai sul prezzo del pane che aumentava artificiosamente e che pure accettarono di buon grado il danno economico, compensato, secondo la storiografia marxista, da un'alleanza con gli agrari che avrebbe tenuto lontani tentativi di riscatto sociale delle masse subalterne.

Una tariffa protettiva, che reintroduceva la tassa sulla fame come ai tempi dell'imposta sul macinato e che danneggiava inoltre il settore della produzione meridionale del vino e dell'ortofrutta, già in crisi dalla rottura dei rapporti commerciali con la Francia dai tempi del Congresso di Berlino e della politica filotedesca di Crispi.

Politica estera

In politica estera, la Sinistra storica di Depretis abbandonò la tradizionale alleanza con la Francia, a causa degli attriti diplomatici generati dalla presa di posizione dei transalpini sulla questione tunisina, entrando nell'orbita della Triplice Alleanza a fianco degli imperi centrali di Austria-Ungheria e Germania e favorendo lo sviluppo del colonialismo italiano, innanzitutto con l'occupazione di Massaua in Eritrea.

Fine della Sinistra storica

La fase della Sinistra storica si concluse nel 1896 a seguito delle elezioni politiche. Il governo Depretis, infatti, si era spostato verso l'ala conservatrice del parlamento, incontrando i moderati più progressisti, che erano stati inglobati all'interno di una più grande coalizione.

Lentamente furono estromessi gli esponenti più progressisti della Sinistra, dando vita ad un Grande Centro, che monopolizzava la vita politica del Paese, lasciando a pochi partiti minori il ruolo di opposizione di estrema sinistra. Questa politica, in cui la dialettica e la differenza ideologica fra le ali del Parlamento vengono sfumando, è detta trasformismo, e fu resa possibile dalla riforma elettorale.[3]

Dopo Depretis, la figura cardine della politica italiana dal 1887 al 1896 fu Francesco Crispi. Il modello della sua politica era la Germania di Bismarck, dove le tensioni sociali fra la classe operaia e la borghesia sembravano equilibrate. Crispi represse nel sangue la rivolta dei fasci operai in Sicilia e scioglie il Partito Socialista, fondato da Turati a Genova nel 1892, ma emana nel contempo una serie di riforme sociali quali la riduzione della giornata lavorativa.

Sotto il suo governo la politica coloniale fu ripresa con più vigore, fino alla disfatta di Adua (1896), che segnò la fine della Sinistra Storica con le dimissioni del primo ministro.

Nella crisi di fine secolo si manifestarono le conseguenze sul piano sociale della politica protezionistica[senza fonte], come dimostrano i fatti di piazza del Duomo a Milano del maggio 1898 quando il generale Bava Beccaris non esitò a sparare con i cannoni ad alzo zero sulla folla che chiedeva "Pane e lavoro" durante la protesta dello stomaco.

Si era infatti verificato un ulteriore aumento del prezzo del grano a causa delle diminuite esportazioni da parte degli Stati Uniti, impegnati allora nella guerra per Cuba.

Sarebbe bastato togliere la tariffa protettiva, ma ormai la classe dirigente italiana era terrorizzata dal socialismo e preferiva ricorrere all'intervento repressivo del Regio Esercito.

Note

  1. ^ Giardina, Sabbatucci, Vidotto 2001, p. 584. ISBN 88-421-0612-7
  2. ^ La crisi di fine secolo, l'età giolittiana e la prima guerra mondiale, La biblioteca di Repubblica, 2004, p.14.
  3. ^ a b Che aveva contribuito, durante il precedente governo di Marco Minghetti, al raggiungimento del pareggio di bilancio, primo obiettivo della Destra storica.

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