Pace di Giaffa

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Pace di Giaffa
Rappresentazione dell'incontro (in realtà mai avvenuto) tra Federico II e al-Malik al-Kamil
Tipotrattato universale
ContestoSesta crociata
Firma18 febbraio 1229
LuogoGiaffa
Parti Federico II di Svevia per la Cristianità
al-Malik al-Kāmil per l'Islam
Linguelatino, arabo
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La pace di Giaffa (anche trattato di Giaffa) del 1229 fu un documento sottoscritto dal sacro romano imperatore Federico II di Svevia e dal sultano ayubbide al-Malik al-Kamil per porre fine alla sesta crociata.

I due sovrani, che da lungo tempo ricercavano reciprocamente una collaborazione, con la sottoscrizione del trattato assicurarono alla Terrasanta quasi vent'anni di relativa pace, sancendo per la prima volta la convivenza pacifica tra cristiani e musulmani e la condivisione dei luoghi santi tra le due religioni. La morte del sultano e lo scontro che contrapponeva Federico II alla Chiesa in Europa portarono nuovi attori a sconfessare il trattato e alla ripresa del confronto armato. Il trattato di Giaffa fu l'ultimo tentativo negoziale tra cristiani e musulmani nel contesto delle crociate ad aver avuto esito favorevole.

Preludio[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Sesta crociata.

Gerusalemme era stata persa dai crociati e conquistata da Saladino nel 1187, generando al contempo costernazione nell'Europa cristiana, ma anche ravvivando l'impegno per la difesa della Terrasanta e il fervore verso nuove crociate. La terza, la quarta e la quinta crociata furono tuttavia fallimentari, frustrando le aspettative delle autorità ecclesiastiche di una riconquista della città santa dopo decenni in mani nemiche.[1][2]

Costretto a partire per la sesta crociata dopo molti anni di pressioni da parte di papa Onorio III e la scomunica inflittagli da papa Gregorio IX, Federico II di Svevia era finalmente giunto nel regno di Gerusalemme nella seconda metà del 1228 per assumerne il comando (la sua seconda moglie era Jolanda di Brienne, che lo rendeva sovrano di Gerusalemme jure uxoris).[1][2][3] A causa della scomunica gli ordini cavallereschi e le autorità ierosolimitane non avrebbero potuto interagire con lui, ma riconoscendo l'importanza dell'obbiettivo della spedizione non vi furono opposizioni di sorta alla sua presenza, sebbene Federico optò per non formalizzare la sua conduzione dell'impresa per non mettere in imbarazzo le autorità locali.[3]

Giunto alla città di Giaffa l'imperatore la occupò e ne fece riparare il sistema di difesa, anche se non aveva alcuna intenzione di combattere: già da vario tempo fervevano i rapporti diplomatici con la corte del sultano d'Egitto al-Malik al-Kamil, che come Federico non voleva arrivare allo scontro per affrontare piuttosto i propri nemici nel campo musulmano.[1][3] I messi imperiali Baliano I de Grenier e Tommaso I d'Aquino si recarono a Gaza con ricchi doni per contrattare un'alleanza col sultano, ma la trattativa non portò a nulla in quanto i rappresentanti ayyubidi lamentarono l'esosità delle richieste cristiane. La situazione era resa ancor più difficile dagli inviati del papa, incaricati di disturbare le attività di Federico mettendone in discussione l'autorità.[3]

Termini della pace[modifica | modifica wikitesto]

Per alcuni mesi permase il nulla di fatto, ma nel frattempo l'indizione della crociata contro Federico II e l'invasione del regno di Sicilia da parte dei fedeli del papa guidati dall'ex-re di Gerusalemme Giovanni di Brienne fecero piombare l'Italia nel caos, spingendo così l'imperatore a cercare in fretta la risoluzione della crociata per poter tornare in Europa.[1][3] Tra il gennaio e il febbraio 1229 Federico e al-Malik al-Kamil intensificarono i contatti, finché il 18 febbraio si giunse infine ad un accordo, firmato a Giaffa dai delegati di entrambi i sovrani.

Nella pace di Giaffa, stilata in nove capitoli e redatta in latino e arabo (quest'ultima versione è tuttavia andata perduta), si stabiliva:[1][2][3]

  1. una tregua di dieci anni, cinque mesi e quaranta giorni tra cristiani e musulmani in tutto il Medio Oriente;
  2. la restituzione di numerosi territori precedentemente conquistati dai musulmani, fra i quali Gerusalemme (di cui vennero comunque abbattute le mura), Nazareth e Betlemme;
  3. la condivisione dei luoghi santi cristiani e musulmani, permettendovi l'accesso ai fedeli di entrambe le religioni;
  4. la totale tolleranza religiosa e gli uguali diritti giuridici tra cristiani e musulmani, processabili solo dalle proprie autorità politico-religiose;
  5. l'inviolabilità delle chiese e delle moschee di Gerusalemme;
  6. un'alleanza di fatto tra Sacro Romano Impero e sultanato ayyubide, impegnati a non attaccarsi a vicenda ma anzi ad assistersi e a far rispettare la pace.

Il trattato, che stupì e scandalizzò molti dei contemporanei, era il primo serio tentativo di mediazione pacifica tra il mondo cristiano e quello musulmano, fino a quel momento sempre stati in rotta di collisione e scontro reciproco.[3]

Reazioni e conseguenze[modifica | modifica wikitesto]

Le autorità ecclesiastiche reagirono in modo furibondo al trattato: a tanto si spingeva l'odio contro i saraceni che il legato papale condannò il trattato, mentre papa Gregorio IX ribadì la scomunica di Federico. Positivo fu invece il giudizio del Gran Maestro dei cavalieri teutonici Ermanno di Salza, sostenitore di Federico, che condannò a sua volta la reazione ostile della Chiesa. Benché in maniera "inconsuetamente pacifica" per l'epoca, la sesta crociata era stata un successo e la pace di Giaffa ebbe un'accoglienza generalmente positiva nel resto della comunità cristiana (anche se venne duramente criticata la decisione di lasciare Gerusalemme sguarnita di mura, rendendola così vulnerabile a una successiva riconquista islamica).[1][3]

Il raggiungimento frettoloso della pace di Giaffa lasciò comunque insoddisfatti molti nobili ierosolimitani, sentitisi scavalcati dall'autorità di Federico, rientrato subito in Europa dopo la firma del trattato e neanche più re di Gerusalemme per via della morte di Jolanda di Brienne nel dare alla luce l'erede Corrado IV di Svevia.[1] Questo malcontento fece presto vacillare i termini della pace, e negli anni seguenti numerose scaramucce di confine tra cristiani e musulmani rischiarono di rompere la tregua.[3]

Ugualmente criticato nel mondo musulmano e accusato di essere in combutta con gli infedeli fu il sultano al-Malik al-Kamil, che dopo la firma della pace s'impegnò a riunire sotto il proprio dominio tutto il Medio Oriente islamico con una serie di vaste campagne militari.[1][2][3]

La pace risultante dal trattato fu comunque ben accetta e, finché rimase forte l'autorità dei suoi sottoscrittori, la situazione politica mediorientale rimase stabile. Tuttavia, dopo la morte di al-Malik al-Kamil e l'indebolimento dell'impero di Federico, le ambizioni dei signori locali e l'indizione della settima crociata guidata da Luigi IX di Francia finirono per rinnegare definitivamente i termini della pace di Giaffa, che venne così rotta e mai più ristabilita.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e f g h Francesco D'Angelo, La crociata diplomatica di Federico II di Svevia (1228-1229), su medievaleggiando.it.
  2. ^ a b c d Claudia Grillo, La crociata di Federico II e la riconquista di Gerusalemme, su storienapoli.it, 5 giugno 2020.
  3. ^ a b c d e f g h i j prof. Marcello Pacifico, La Pace di Giaffa, Patrimonio dell'Umanità (PDF), su video.unipegaso.it.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]