Ospedale civico di Messina

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Ospedale Civico Grande e Nuovo
sotto il titolo di
«Santa Maria della Pietà»
La facciata dell'edificio
Localizzazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
RegioneSicilia
LocalitàMessina
IndirizzoPiano di Santa Croce
Informazioni generali
CondizioniDemolito
Costruzione1542
Distruzione1908
Demolizione1909 e seguenti
Stilerinascimentale
UsoOspedale
Pianidue
Realizzazione
ArchitettoAndrea Calamech e Antonio Ferramolino
Ospedale della Pietà.
Veduta panoramica.
Prospetto.

L'ospedale civico di Messina è stato un palazzo della città di Messina, opera degli architetti Andrea Calamech e Antonio Ferramolino, distrutto dal terremoto del 1908. L'Ospedale della Pietà con l'Ospedale militare occupavano l'area entrando da Porta Imperiale[1][2] nella grande piazza di Santa Croce, già dei Canonici regolari di Sant'Agostino della Congregazione del Santo Sepolcro, tempio già demolito e terreni predisposti per le fortificazioni della città.

Notizie storiche[modifica | modifica wikitesto]

Fino alla fine del XV secolo, nel centro cittadino di Messina operavano ben 15 strutture ospedaliere tutte aggregate e condotte da altrettante istituzioni religiose; altre erano ubicate in sedi periferiche di casali limitrofi. All'inizio del secolo successivo si pensò di unificarle in un unico ospedale, la cui edificazione iniziò il 12 ottobre 1542.

Epoca aragonese[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1460, regnante Giovanni II d'Aragona e viceré di Sicilia Giovanni de Moncayo, si pensò di accorpare tutte le strutture sanitarie cittadine, definendo i termini dell'associazione con un capitolo apposito tenutosi nella Cattedrale di San Nicolò all'Arcivescovado.

La corruzione dilagante e i grossi appetiti, derivanti dalla gestione delle sostanziose donazioni e lasciti di ciascuna istituzione, indussero Ferdinando II d'Aragona ad intervenire il 16 settembre 1479 con l'intento di accelerare i tempi di una impresa già logora e stagnante. Un ulteriore tentativo di sblocco fu effettuato nel 1500. L'amministrazione accentrata, la dismissione e smantellamento delle singole unità sanitarie, scoraggiava le rettorie più restie: la fusione avrebbe posto fine alla disinvolta gestione delle consistenti rendite minando un già labile servizio essenziale a prescindere dalle linee guida dei singoli statuti.

Epoca spagnola[modifica | modifica wikitesto]

Solo il 12 ottobre 1542 il viceré Ferrante I Gonzaga riuscì nell'intento riunendo l'arcivescovo Innocenzo Cybo-TOMASELLO, il Senato Messinese, i rettori dei singoli istituti e i membri patrocinatori appartenenti all'aristocrazia cittadina.

Il 16 aprile 1548 a lavori avanzati l'unione divenne operativa per opera di Giovanni de Vega, in rappresentanza dell'imperatore Carlo V d'Asburgo. Aggregazione approvata da Papa Paolo III e suggellata con bolla pontificia del 6 giugno dello stesso anno.

L'edificio, vastissimo, fu completato nel 1605. Era a pianta rettangolare e dotato di un vasto giardino. Il complesso fu denominato "Ospedale Grande di Santa Maria della Pietà" e comprendeva un luogo di culto con lo stesso titolo.


L'istituzione aggregava:[3][4]

Le strutture distinte con padiglioni per entrambi i sessi comprendevano:

  • Ospedale militare;[1]
  • Reparto per gli Esposti,[1] per il mantenimento e la cura dei trovatelli. L'archivio è stato interamente perduto eccetto qualche volume;
  • Reparto per le Ree Lascive;[1]
  • Conservatorio per Trovatelle;[1]
  • Archivio[1] per la raccolta della documentazione degli ospedali preesistenti, in particolare del lebbrosario di Sant'Agata degli infetti al Faro e di Sant'Angelo della Caperrina.

Altre strutture sanitarie alla voce Ospedali di Messina.

Epoca contemporanea[modifica | modifica wikitesto]

Nel XVIII secolo contava 145 posti letto. Il 2 marzo 1864 è ricordata la visita del principe Umberto.

Agli inizi del XX secolo,[12] fu inaugurato un reparto di ostetricia e neonatologia all'avanguardia per i tempi. Fu raso al suolo dal terremoto del 1908 e nel crollo trovarono la morte la stragrande maggioranza delle persone presenti al suo interno.

Sul sito ove sorgeva l'Ospedale civico, fu edificato il Palazzo Piacentini, attuale sede dei tribunali e della Corte d'appello di Messina.

Architettura[modifica | modifica wikitesto]

La costruzione del monumentale impianto fu affidata agli architetti militari Antonio Ferramolino e Giovanni Carrara, presenti a Messina per la costruzione delle nuove fortificazioni volute dall'imperatore Carlo V. All'impresa collaborò Andrea Calamech, più tardi intervennero Niccolò Francesco Maffei figlio del carrarese Giovanni Maffei, quest'ultimo scolpì all'ingresso le raffigurazioni della Fede e della Carità col motto HIC FIDES PER CHARITATEM OPERATUR, gli architetti Curzio e Francesco Zaccarella da Narni.

Orto botanico[modifica | modifica wikitesto]

Appezzamento coltivato[1] con piante rare, esotiche e medicinali atto a rifornire la spezieria interna.

Spezieria[modifica | modifica wikitesto]

La spezieria[1] alimentata dalla piante medicinali coltivate in loco, vantava una collezione di vasi in maiolica del XVI secolo, condivisa con la farmacia interna, raccolta oggi esposta presso il Museo regionale di Messina.

Chiesa di Santa Maria della Pietà[modifica | modifica wikitesto]

La chiesa di Santa Maria della Pietà aveva un impianto a croce greca, con cupola.

  • XVII secolo, Pietà, dipinto, opera del Antonino Alberti detto il Barbalonga.[1]
  • ?, Polittico raffigurante nei vari scomparti la Vergine con bambino attorniata da Santi, dipinto documentato in un altare a man destra.[13]
  • 1635, Cenotafio, manufatto marmoreo contenente le ceneri di Tommaso Buonfiglio.[1]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e f g h i j Giovanna Power, pag. 9.
  2. ^ Giuseppe Grosso Cacopardo, pag. 10 e 11.
  3. ^ Placido Samperi, pp. 125.
  4. ^ Caio Domenico Gallo, pp. 204, 205, 206 e 207.
  5. ^ Caio Domenico Gallo, pp. 119.
  6. ^ Pagine 22, 265, 267, 292. Giosuè Musca, "Il mezzogiorno normanno-svevo e le crociate". [1]
  7. ^ Giuseppe La Farina, pp. 38, 65.
  8. ^ Caio Domenico Gallo, pp. 14.
  9. ^ Caio Domenico Gallo, pp. 177.
  10. ^ Giuseppe La Farina, pp. 38.
  11. ^ Pagina 199, Gioacchino Di Marzo (Conte Antonio Cavagna Sangiuliani di Gualdana Lazelada di Bereguardo), "I Gagini e la scultura in Sicilia nei secoli XV e XVI; memorie storiche e documenti." [2], Volumi I e II, Stamperia del Giornale di Sicilia, Palermo.
  12. ^ Pagina 60, Giuseppe Martinez, "Icnografia e guida della città di Messina" [3], Messina, Tipografia Ribera, 1882.
  13. ^ Pagina 83, Gioacchino Di Marzo, "Delle Belle arti in Sicilia: dal sorgere del secolo XV alla fine del XVI" [4], Volume III, Palermo, Salvatore di Marzo editore, Francesco Lao tipografo, 1862.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

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