Omicidio (ordinamento italiano)

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Nel diritto penale italiano, per omicidio s'intende la morte di una persona causata da un'altra persona con dolo, colpa o preterintenzione.

Interesse tutelato[modifica | modifica wikitesto]

L'interesse tutelato è la vita umana: pertanto non si avrà omicidio se l'oggetto della azione lesiva non era vivo al momento del fatto. Tale fattispecie ricorrerà invece nel caso di uccisione di persona viva ancorché non vitale (ex arg. art. 2 Costituzione italiana).

Elemento oggettivo[modifica | modifica wikitesto]

Per integrare l'omicidio è sufficiente che un soggetto provochi in qualsiasi modo la morte di un essere umano. Il nesso di causalità, in altre parole, ha una funzione tipizzante e non ascrittiva. Presenta alcune difficoltà la definizione del termine morte: per sostanziare questo concetto ci si riferisce alla scienza della medicina forense, depositaria del compito di descrivere quando un essere umano non possa più descriversi come vivo. Generalmente ci si riferisce all'analisi delle funzionalità cerebrali, ma non mancano riferimenti al monitoraggio dell'attività cardiocircolatoria. Altro problema è stabilire quando un essere umano sia nato: nell'ordinamento italiano, l'arresto dello sviluppo dell'embrione, secondo buona parte della dottrina, non costituisce omicidio, bensì semmai è incriminata dalle leggi sull'aborto. Anche qui soccorre la scienza medico-legale, che per lo più richiama l'avvenimento delle doglie come momento iniziale di vita autonoma rispetto a quella della madre.

Importante, inoltre, è ricordare che molto spesso l'evento-morte costituisce un'aggravante di molti reati diversi dall'omicidio, pur se la morte di un uomo ne costituisce elemento costitutivo.

Elemento soggettivo[modifica | modifica wikitesto]

Il Codice penale italiano prevede diverse specie di omicidio, catalogate in base all'elemento soggettivo:

  • L'omicidio doloso o volontario è l'omicidio compiuto con dolo. È previsto dall'art. 575 c.p. Non presenta particolari problemi interpretativi al di là di quanto si può dire per il dolo in generale, tant'è che la figura stessa del dolo nella parte generale del codice risente proprio delle elaborazioni dottrinali in materia d'omicidio.
  • L'omicidio preterintenzionale, previsto dall'art. 584, si verifica allorché «chiunque con atti diretti a commettere uno dei delitti preveduti dagli art. 581 e 582, cagiona la morte di un uomo». L'evento morte non è dunque voluto dall'agente, che intendeva solo percuotere o ledere la vittima. Questa specie di omicidio costituisce uno dei campi di dibattito più vivi all'interno dei reati contro la persona. I termini delle questioni girano attorno alla disciplina della preterintenzione, tipico istituto della cosiddetta generalprevenzione. Per aversi tale tipo di omicidio secondo alcuni è necessario il mero nesso causale tra la percossa (o la lesione) e l'evento morte, secondo altri è invece necessario che l'evento morte sia quantomeno imputabile all'agente a titolo di colpa. Discussioni vive suscita anche la problematica dell'atteggiarsi delle lesioni o delle percosse: è necessario che esse siano consumate, o basta il loro tentativo?
  • L'omicidio colposo, previsto dall'art. 589 c.p., si verifica quando qualcuno per colpa cagiona la morte di un uomo. Anche qui, come nei casi precedenti, per spiegare la fattispecie, è in teoria sufficiente applicare la disciplina generale della colpa alla fattispecie oggettiva.

Le diverse tipologie di omicidio, sezionate in base all'elemento soggettivo, hanno discipline diverse in materia di attenuanti, concorso e aggravanti. Si vedano, per l'omicidio doloso gli art. 576 e 577; per l'omicidio colposo i capoversi dell'articolo di sede e, infine, per l'omicidio preterintenzionale l'articolo 585.

Note sistematiche[modifica | modifica wikitesto]

Nell'ordinamento italiano, come già detto, la morte di un essere umano costituisce elemento costitutivo o integratore di numerose norme penali. Oltre a quanto ricordato sopra, è bene sottolineare che, concorrendo alla semplice causazione della morte altre situazioni contingenti, il titolo di reato può mutare, passando dall'omicidio ad altri comportamenti criminosi, puniti in modo più lieve:

Omicidio del consenziente[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Consenso dell'avente diritto e Omicidio del consenziente.

La prima ipotesi di omicidio, che - anche per il suo essere, sul piano oggettivo, il punto di riferimento di ogni altra figura di omicidio - è stata tradizionalmente oggetto di analisi particolareggiata in dottrina ed in giurisprudenza, è delineata dall'art. 575 c.p., il quale punisce (con la reclusione non inferiore ad anni ventuno) "chiunque cagiona la morte di un uomo".

Non sorgono specifiche questioni per ciò che riguarda l'individuazione dei possibili destinatari del precetto discendente dalla disposizione: è sufficiente, ai fini della destinatarietà del dovere di non uccidere, la presenza nell'ente considerato dei requisiti generali di capacità, dal lato delle situazioni attive sfavorevoli di diritto penale, richiesti dall'ordinamento: la qualità di persona umana individuato e l'assenza delle situazioni di immunità previste dal diritto interno e/o, nei limiti da questo fissati, dal diritto internazionale. Eventuali ulteriori qualità o condizioni personali possono avere, invece, rilievo ai fini della venuta in essere di talune circostanze aggravanti speciali, previste in particolar modo nei successivi artt. 576 s. c.p. Soggetto passivo dell'omicidio-titolare dell'interesse tutelato dalla disposizione è l'"uomo", e cioè, si insegna pacificamente, qualsiasi entità appartenente al genere umano, indipendentemente dal sesso e dall'età, purché "viva" e, si aggiunge da taluno, sia pure in vario significato, con specifico riferimento al momento della nascita dell'"uomo", "capace di vita autonoma" (8).

Ciò detto però, occorre indicare, in termini per quanto possibile precisi, che cosa si intenda per soggetto (in senso naturalistico) "appartenente al genere umano".

Un primo punto riguarda il concetto stesso di "soggetto capace di vita autonoma". Il problema sorgeva, prima del 1978, tra l'altro per distinguere le ipotesi di aborto da quelle di feticidio e/o infanticidio, comuni o dovute a "causa d'onore", ma continua a permanere anche dopo la novella abortista, in relazione al diverso atteggiamento assunto dal legislatore del 1978 nei confronti della spes vitae costituita dall'ovulo fecondato rispetto all'entità caratterizzata dai requisiti necessari a farlo considerare "uomo" ai fini delle disposizioni sull'omicidio. Si risponde di solito in dottrina, da una parte facendo riferimento alla distinzione medico-legale tra il periodo antecedente al momento della cosiddetta "perdita delle acque" (e cioè antecedente al momento in cui si ha l'amnioressi e l'inizio del travaglio di parto) e quello successivo, che vede il prodotto del concepimento affacciarsi alla vita esterna ed iniziare la "vita autonoma" e, dall'altra, appunto, richiamando il concetto di "vita autonoma", dove "vita autonoma" indica - sia chiaro - la capacità del nuovo essere umano di vivere indipendentemente dai meccanismi di "respirazione", nutrizione ecc. interni al seno materno o da equipollenti meccanismi predisposti dall'arte medica (9).

Ciò detto, però, va anche ricordato che la distinzione tra "infante" ("neonato" nella terminologia del legislatore vecchio e nuovo) e "feto", fatto oggetto di particolare considerazione sia da parte dell'art. 578 c.p. sia da parte degli artt. 17 s. della legge 22-5-1978, n. 194, ha specifico rilievo poiché solo il primo è da considerarsi, alla stregua dell'attuale disciplina penale, "uomo" ai fini della tutela generale assicurata dalle disposizioni dettate con gli artt. 575 ss. c.p., mentre il secondo fruisce indirettamente di una forma di tutela che ha come oggetto preminente volta a volta interessi facenti capo alla Pubblica Amministrazione o alla donna in istato di gravidanza.

Superato questo primo punto, occorre porre taluna ulteriore nota di specificazione. Crederemmo cioè che sia necessario comunque prendere posizione sul concetto stesso di "uomo" quale entità rilevante nell'ambito della disciplina dettata con gli artt. 575 s. c.p., come concetto forse più esteso di quanto possa apparire a prima vista nel linguaggio comune.

Chiariamo l'assunto. Al riguardo, pur tenendo il doveroso conto delle notizie che ogni tanto appaiono sui vari organi di stampa (e che hanno dato luogo anche ad interventi e puntualizzazioni autorevoli), crederemmo che l'"uomo" cui si riferiscono le disposizioni in esame sia l'entità frutto dell'avvenuta fecondazione dell'ovulo femminile umano ad opera del seme maschile umano, (di norma) portato a maturazione nel seno della donna indipendentemente dal fatto che esso in parte almeno sia stato tenuto in vita - sino a raggiungere la condizione di "vita autonoma" nel senso prima specificato - mediante il ricorso alle tecniche messe a punto dalla scienza medica di settore. Lo stesso concetto di "vita autonoma", quindi, alla luce del rilievo che precede tende a coincidere in realtà con la nozione di "vita fuori dal seno materno" o da equivalente struttura esterna approntata in funzione delle moderne tecniche, assumendo in conseguenza più ampia capacità di qualificazione rispetto a quanto potrebbe sembrare a prima vista.

Altra questione riguarda la necessità o no, ai fini dell'assunzione della qualità di "uomo", di specifici requisiti di normalità fisiopsichica o solo fisica o solo psichica (10). Crederemmo al riguardo - ferme le specifiche disposizioni dettate con gli artt. 4 s. della legge 22-5-1978, n. 194, comunque riferentisi al "feto" e non all'"infante" o al "neonato" - che tali requisiti non abbiano alcuna incidenza ai fini dell'individuazione dell'"uomo": unico dato fondante tale qualità, ripetiamo, allo stato è ancora e solo l'essere stato l'ente della cui qualità si discute prodotto dall'avvenuta fecondazione dell'ovulo femminile umano da parte del seme umano maschile, ferma, nonostante i dubbi suscitati dalle recenti sperimentazioni, la necessità di un suo sviluppo, almeno in partenza, nell'utero femminile. Vero infine quanto emerge in taluna decisione giurisprudenziale straniera, almeno stando alle notizie di stampa, la provenienza dalla persona umana dell'ovulo femminile e del seme maschile fecondante sono gli unici elementi fondanti la qualità di persona umana indipendentemente dal materiale portatore del feto una volta avvenuta la fecondazione (11); quale che sia l'accettabilità - alla luce del diritto positivo italiano - di un tale assunto, resta comunque il dato dell'avvenuto sviluppo, almeno iniziale, nell'utero di una donna, sia o no questa la materiale "produttrice" dell'ovulo inseminato.

Infine requisito essenziale perché si abbia l'"uomo" nel senso voluto degli artt. 575 s. c.p. è la vita, tanto al momento della cessazione della permanenza all'interno del grembo materno, quanto successivamente. Per quanto riguarda i "feti" ed i "neonati" è sufficiente ricordare con la comune dottrina l'avvenuto abbandono - per quello che poteva servire - dell'accenno alla "vitalità", contenuto nell'abrogato codice civile. Per ciò che riguarda i soggetti diversi dal "feto" o dal "neonato", limitiamoci in questa sede a ricordare che solo l'avvenuto verificarsi della "morte" - nei termini fissati con le note "specifiche" contenute nella legislazione sui trapianti e con le altre disposizioni dettate all'uopo dal legislatore sanitario ed ospedaliero - fa cessare nel soggetto la qualità di "uomo". Uccidere il moribondo, il cosiddetto malato terminale, il condannato a morte qualche attimo prima dell'esecuzione (secondo un esempio di scuola) equivale pur sempre a "causare la morte di un uomo" nel senso fatto proprio negli artt. 575 s. c.p. E sul punto si rinvia alla voce eutanasia (12).


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