Monte Testaccio
Monte Testaccio | |
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Una sezione riordinata degli strati di cocci | |
Stato | Italia |
Regione | Lazio |
Provincia | Roma |
Altezza | 54 m s.l.m. |
Coordinate | 41°52′33.43″N 12°28′32.5″E / 41.875952°N 12.475694°E {{#coordinates:}}: non è possibile avere più di un tag principale per pagina
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Mappa di localizzazione | |
Il Monte dei Cocci o Monte Testaccio (in latino Mons Testaceum) a Roma, è una vera e propria discarica specializzata di epoca romana. È infatti costituita da innumerevoli strati ordinatamente disposti di cocci (in latino testae, da cui il nome del monte) di anfore olearie sbarcate dal vicino porto fluviale sul Tevere e destinate alla vendita a Roma. Si trova tra le Mura aureliane e il Tevere, all'estremo sud della città murata.
Storia
La "discarica" del vicino porto fluviale dell'Emporium, fu utilizzata dalla tarda repubblica alla metà del III secolo.
Nei secoli successivi il monte divenne luogo per feste e scampagnate; dal XV secolo divenne il punto di arrivo per la Via Crucis del Venerdì Santo, trasformandosi in un vero e proprio Golgota.
Più tardi sarà meta privilegiata delle Ottobrate, le tipiche feste romane, che vedevano sfilare verso le osterie e le cantine del Testaccio i carretti addobbati a festa delle mozzatore, le donne che lavoravano come raccoglitrici d'uva nel periodo della vendemmia: tra canti, balli, gare di poesia, giochi e chiacchiere, ci si rinfrancava dal lavoro e soprattutto si 'innaffiava' il tutto con il vino dei Castelli Romani, conservato nelle cantine scavate alle pendici del monte.
Descrizione
Il monte Testaccio è alto circa 30 metri (54 sul livello del mare) e largo un chilometro nel diametro massimo, per una superficie totale di circa 20.000 metri quadrati che formano una sorta di triangolo irregolare. Una rampa, probabilmente antica, veniva percorsa dai carri, per poi biforcarsi all'angolo nord-est.
Le anfore saggiate da scavi sono quelle più superficiali, che sono quasi esclusivamente provenienti dalla Spagna e usate per il trasporto dell'olio, con una forma quasi sferica e il marchio di fabbrica su una delle due anse. Con un pennello a calamo vi era tracciato il nome dell'esportatore, la data consolare e il registro dei vari controlli dalla partenza all'arrivo. La satazione di queste anfore oscilla tra il 140 e il III secolo d.C.
Dallo studio delle anfore sarebbe sicuramente possibile scrivere una storia economica della città di Roma nell'antichità.