Missionari di Mariannhill

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I missionari di Mariannhill (in latino Congregatio Missionariorum de Mariannhill) sono un istituto religioso maschile di diritto pontificio: i membri di questa congregazione clericale pospongono al loro nome la sigla C.M.M.[1]

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Franz Pfaner, fondatore della congregazione

La comunità monastica di Mariannhill, nel Natal (Sudafrica), fu fondata nel 1880 dal missionario trappista austriaco Franz Pfanner e fu eretta in abbazia nel 1885: la rigidità della regola trappista ostacolava l'opera di evangelizzazione dei missionari, così il 2 febbraio 1909 papa Pio X rese autonoma la comunità di Mariannhill dall'ordine dei cisterciensi riformati e la trasformò in congregazione religiosa.[2][3]

Il 17 giugno 1920 l'istituto passò alle dipendenze della congregazione di Propaganda Fide: 10 settembre 1921 venne loro affidato il vicariato apostolico di Mariannhill (diocesi dall'11 gennaio 1951). La congregazione venne approvata definitivamente dalla Santa Sede il 21 marzo 1936.[2]

Esiste anche il ramo femminile delle suore missionarie del Preziosissimo Sangue, sorto nel 1885.[4]

Attività e diffusione[modifica | modifica wikitesto]

La principale finalità dei missionari di Mariannhill è l'apostolato missionario, soprattutto tra i pagani:[3] i religiosi si dedicano all'istruzione della gioventù, alla cura dei malati ed all'assistenza dell'infanzia abbandonata.[2]

Sono presenti in Austria, Canada, Germania, Italia, Paesi Bassi, Papua Nuova Guinea, Polonia, Spagna, Stati Uniti d'America, Sudafrica, Svizzera, Zambia e Zimbabwe:[5] la sede generalizia è a Roma.[1]

Alla fine del 2005 la congregazione contava 33 case e 390 religiosi, 214 dei quali sacerdoti.[1]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c Ann. Pont. 2007, p. 1487.
  2. ^ a b c DIP, vol. V (1978), coll. 1451-1452, voce a cura di G. Rocca.
  3. ^ a b Enciclopedia Rizzoli Larousse, vol. X (1969), p. 136, voce Missionario.
  4. ^ Ann. Pont. 2007, p. 1666.
  5. ^ Mariannhiller Missionare – Orden-online.de, su orden-online.de. URL consultato il 18-6-2009.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

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