Katell Kollet

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Raffigurazione di Katell Kollet nel calvario del complesso parrocchiale di Guimiliau

Katel(l) Kollet o Catel(l) Collet o Katel(l) Gollet ("Caterina la perduta" in lingua bretone[1]) è un personaggio semi-leggendario tipico della letteratura e della cultura popolare bretone.

Il personaggio, considerato il Bretagna come la "donna perduta per eccellenza"[2], si ritrova in numerosi poemi, in un gwerz (canto popolare)[3] e in alcuni calvari eretti all'interno dei complessi parrocchiali[1][4][5][6].

La leggenda[modifica | modifica wikitesto]

In una versione della leggenda, Katell (Caterina) viene descritta come una ragazza di sedici anni che viveva in un castello a La Roche-Maurice (Finistère) assieme allo zio, desideroso di trovarle marito.[1] La ragazza gli promise così che avrebbe sposato quell'uomo che l'avrebbe fatta ballare per dodici ore filate: la ragazza si presentò così con un cavaliere, che però non resistette, cosicché Katell, in preda ai fumi dell'alcol, invocò il diavolo affinché gli mandasse una nuova orchestra[1]. E questo le spalancò le porte dell'Inferno.[1]

Secondo un'altra versione della leggenda, Katell si sarebbe innamorata di un uomo, che poi si sarebbe rivelato essere il diavolo, e avrebbe ricevuto da quest'ultimo l'ordine di rubare le ostie da una chiesa.[1][2] Per questo motivo, fu condannata all'Inferno.[1][2]

Il personaggio nell'arte[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e f g Bretagne.com: Katell Gollet dans la gueule de l'enfer, su bretagne.com. URL consultato il 1º agosto 2012 (archiviato dall'url originale il 27 luglio 2012).
  2. ^ a b c Tifoni, Jasmina, La passione di pietra, in: Bretagna, Meridiani, Anno XII, N. 181, Agosto-Settembre 2009, p. 63
  3. ^ Gwerz Katell Kollet. 170 spectateurs passionnés, in: Le Télégramme.com
  4. ^ Tifoni, Jasmina, art. cit., p. 62
  5. ^ a b Info Bretagne: Enclos paroissial de Guimiliau
  6. ^ ViaMichelin.it Voyage: Enclos paroissial de Guimiliau Archiviato il 28 ottobre 2012 in Internet Archive.
  7. ^ Tifoni, Jasmina, art. cit., pp. 62-63

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