Gino Mattiussi

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca

Gino Mattiussi (Teor, 21 marzo 1923[1]Udine, 12 novembre 1990[2]) è stato un partigiano italiano, medaglia d'oro al valor militare conferitagli nel 1950.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1927 la sua famiglia era emigrata in Francia. Tornato in Italia nel 1939, Gino Mattiussi aveva trovato lavoro presso le Ferrovie dello Stato. Chiamato alle armi nell'aprile del 1943, il giovane fu arruolato in Aeronautica, ma dopo l'armistizio entrò nella Resistenza triestina come partigiano combattente, introdotto da un collega di lavoro che lo vide, alla stazione di Monfalcone, aprire da solo i carri per liberare gli ebrei destinati ai campi di sterminio, mentre i nazisti di guardia si erano portati al riparo per un bombardamento in corso.

Dal 2 giugno 1944, Mattiussi fu tra i membri del Comando della Brigata Ferrovieri della Divisione partigiana "D. Rossetti". Partecipò a numerose azioni, le più importanti delle quali sono ricordate nella motivazione della medaglia d'oro al valor militare. Arrestato a Monfalcone, rinchiuso alcuni giorni nella Risiera di Trieste dove sotto tortura non rivelò i nomi dei compagni, fu deportato a Buchenwald dove fu sottoposto ad ulteriori torture che gli causarono l'atrofizzazione dei due nervi ottici e la perdita della vista. Riconosciuto grande invalido di guerra, Mattiussi prese dimora a Trieste.

Onorificenze[modifica | modifica wikitesto]

Medaglia d'oro al valor militare alla memoria - nastrino per uniforme ordinaria
«Dopo l'armistizio, animato da vivo entusiasmo per la lotta di liberazione e la sicura fedeltà per la Patria italiana combatteva nelle file partigiane della Venezia Giulia, molto e ripetutamente distinguendosi in ardite azioni di guerriglia e di sabotaggio. Coronava la propria attività partecipando attivamente insieme ad un reparto della « Garibaldi Trieste » all'interruzione del ponte di Sablici, impresa audacissima e di grande rilievo bellico. Tratto in arresto dai tedeschi e sottoposto ad atroci torture, nulla rivelava. Deportato a Buchenwald, rientrava in Patria dopo la liberazione, quasi cieco per i maltrattamenti subiti, ma dopo aver dato, con il suo contegno, nobile esempio di fierezza e di dignità di italiano.»
— Zona di Trieste; Germania, settembre 1943-maggio 1945[3].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Sviste storiche, su anpiudine.org. URL consultato il 6 maggio 2021.
  2. ^ necrologio anniversario, su necrologie.ilpiccolo.gelocal.it. URL consultato il 6 maggio 2021.
  3. ^ Gino Mattiussi, su Quirinale.it. URL consultato il 20 novembre 2018.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]