Fisica aristotelica

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Dettaglio da un affresco di Gustav Adolph Spangenberg (1828-1891) che raffigura la scuola di Aristotele.

Si deve al filosofo greco Aristotele (384-322 a.C.) lo sviluppo di molte teorie dell'antichità per spiegare i fenomeni fisici, sebbene completamente differenti da ciò che attualmente noi conosciamo come "leggi fisiche". Queste teorie studiano ciò che Aristotele chiama "i quattro elementi", cioè i principi primi costituenti la Terra. Esse riguardavano più che altro le qualità, o le essenze, del mondo naturale "sublunare" contrapposto a quello celeste, e sono pertanto, attualmente, poco considerate dalla scienza.

Aristotele descrive attentamente le relazioni che intercorrono tra questi elementi; il moto di essi; come si rapportano alla Terra; e come, qualche volta, sono attratti tra di loro da forze misteriose; approfondisce, inoltre, i molteplici altri aspetti del suo modello fisico, che comprendono anche la sua teoria sul moto, condivisa, in passato, largamente.

Fisica aristotelica[modifica | modifica wikitesto]

Aristotele contempla il busto di Omero. Il filosofo Aristotele, rappresentato in un dipinto di Rembrandt Harmenszoon van Rijn

Gli elementi che compongono la Terra, secondo Aristotele, sono differenti da quelli che costituiscono gli astri e lo spazio cosmico.[1] Sia hanno così due fisiche differenti, una riguardante le leggi naturali terrestri, descrivibili con le regole della grammatica,[1] l'altra, celeste, che coincide con l'astronomia, in cui vigono i principi della matematica.[2]

Elementi[modifica | modifica wikitesto]

Per Aristotele la realtà «sublunare», cioè situata al di sotto della zona d'influenza della Luna, è formata da quattro principali elementi o composti, organizzati in strati o sfere concentriche: terra, acqua, aria, fuoco;[3][4] tutti i «cieli» che compongono lo spazio cosmico invece, simili a sfere su cui sono incastonate le stelle secondo la cosmologia greca, ed ogni singolo aspetto della materia celeste presente nell'Universo sarebbero composti da un quinto elemento, chiamato «etere»,[4] sostanza incorruttibile e priva di peso, conosciuto anche con il nome di «quintessenza».[5] L'elemento «terra» è composto, per la maggior parte, di sostanze pesanti quali il ferro e gli altri metalli, e solo in piccola quantità composto da sostanze provenienti dagli altri elementi.

Meno un oggetto è pesante o denso, meno esso è considerato «terrestre»: esso sarà composto da una più alta concentrazione di sostanze provenienti dagli altri tre elementi.[5] Il fuoco ad esempio è il più sottile di tutti, e viene pertanto situato nella regione più alta, nell'omonima sfera. L'uomo è modellato da tutti i tipi di sostanze, eccetto l'etere; la proporzione tra gli elementi, però, muta da persona a persona, anche radicalmente.[5]

Moto[modifica | modifica wikitesto]

Secondo Aristotele, tutti gli elementi interagiscono tra loro, tendendo a muoversi per riunirsi a seconda della propria affinità; è molto più difficoltoso fermare questa interazione se avviene tra sostanze simili: essendo, ad esempio, il fumo una sostanza molto simile all'aria, esso tende a salire verso l'alto per ricongiungersi ad essa. Gli oggetti e la materia inanimata, inoltre, una volta ricongiunti alla propria sfera naturale, si possono muovere solamente se vengono mossi da qualcos'altro:[1] «ciò che è in movimento deriva il suo movimento da altro».[6]

Di conseguenza, se venisse rimosso ogni tipo di energia proveniente dagli esseri dotati di anima, niente si potrebbe più muovere.[1] Questa dottrina si espone ad obiezioni che furono avanzate anche al tempo della sua formulazione: in molti si chiedevano in che modo un oggetto come ad esempio la freccia potesse continuare ad avanzare, dopo che aveva perso il contatto con la corda tesa rilasciata dall'arciere. Aristotele propose, allora, la teoria per cui una freccia in movimento crea una sorta di vuoto nell'aria dietro di sé, che richiudendosi la spinge avanti;[7] egli riesce, così, a mantenersi coerente con la sua interpretazione del moto, che prevedeva l'interazione tra oggetto in movimento e la causa efficiente che glielo trasmette, coinvolgendo il mezzo in cui esso si muove, come l'aria o l'acqua.[7]

Poiché Aristotele poneva al centro della sua teoria il mezzo, egli non poteva accettare il concetto di vuoto, centrale nella teoria atomistica di Democrito: essendo uno spazio vuoto privo di qualsiasi sostanza, e potendo il moto, secondo Aristotele, verificarsi solo attraverso un mezzo, l'assenza di sostanza era un'idea inconcepibile. La velocità di un corpo, infine, è inversamente proporzionale alla densità del mezzo in cui si muove: meno denso è il mezzo, più velocemente viaggia il corpo. Un oggetto che si spostasse nel vuoto viaggerebbe a velocità infinita, così da coprire istantaneamente tutto lo spazio: il vuoto, quindi, non può esistere perché, se si formasse, si richiuderebbe istantaneamente.[8]

Critica medievale[modifica | modifica wikitesto]

Nel corso del Medioevo, la teoria aristotelica sulla gravità fu messa in discussione e modificata, prima da Giovanni Filopono, in seguito dalla filosofia islamica. Ja'far Muhammad ibn Mūsā ibn Shākir (800-873) dei Banū Mūsā scrisse due opere, Il movimento degli astri e La forza di attrazione, nelle quali spiega come vi siano forze d'attrazione tra i corpi celesti,[9] anticipando, così, la legge di gravitazione universale di Newton.[10]

Anche Ibn al-Haytham (965-1039) sviluppò la teoria dell'attrazione tra corpi e sembra che fosse a conoscenza della grandezza dell'accelerazione di gravità; sembra anche che intuì come il moto dei corpi celesti fosse associabile alle leggi fisiche.[11] Abū Rayhān al-Bīrūnī (973-1048) fu il primo a capire che tale accelerazione era connessa ad un moto non uniforme, come spiegherà meglio Newton nella sua seconda legge del moto. Durante una discussione con Avicenna, al-Biruni arrivò a criticare la teoria sulla gravita di Aristotele, in quanto negava l'esistenza di forze agenti tra le sfere celesti e riteneva il moto circolare una proprietà innata dei corpi celesti.[12]

Nel 1121, al-Khazini, ne Il libro dell'equilibrio della saggezza, ipotizzò che la gravità e l'energia potenziale di un corpo variano secondo la sua distanza dal centro della Terra.[13] Abu'l-Barakāt al-Baghdādī (1080-1165) scrisse una critica della fisica aristotelica intitolata al-Mu'tabar, in cui negava l'idea di Aristotele che una forza costante produce un moto uniforme, in quanto si rese conto che una forza applicata in modo continuo produce invece un'accelerazione, una legge fondamentale della meccanica classica ed una prima anticipazione della seconda legge del moto di Newton.[14] Come Newton, egli descrisse l'accelerazione come il tasso di mutamento della velocità.[15]

In ogni caso la fisica aristotelica continuò ad essere prevalentemente accettata dalla scienza medievale. La dottrina dei luoghi naturali fu ad esempio così sintetizzata da Dante Alighieri:

«Ne l'ordine ch'io dico sono accline
tutte nature, per diverse sorti,
più al principio loro e men vicine;
onde si muovono a diversi porti
per lo gran mar de l'essere, e ciascuna
con istinto a lei dato che la porti.
Questi ne porta il foco inver' la luna;
questi ne' cor mortali è permotore;
questi la terra in sé stringe e aduna.»
(Dante Alighieri, Paradiso, canto I, vv. 109-117)

Tutti gli elementi del creato sono portati cioè per istinto al principio naturale da cui provengono: quelli del fuoco verso la Luna, gli enti caduchi verso la Terra.

Nel XIV secolo, Giovanni Buridano sviluppò la teoria dell'impeto, basandosi sulla teoria del mayl di Avicenna e sull'opera di Giovanni Filopono, in alternativa alla teoria aristotelica del moto. La teoria dell'impeto precorreva i concetti di inerzia e di quantità di moto della meccanica classica, che però non forniva loro alcuna causa.[16]

Nel XVI secolo, al-Birjandi ( ? - 1528) discusse la possibilità della rotazione terrestre. Nella sua analisi di ciò che potrebbe accadere se la Terra stesse ruotando, sviluppò un'ipotesi simile alla nozione di "inerzia circolare" di Galileo Galilei,[17] che descrisse nella seguente osservazione sperimentale:

«La roccia piccola o grande cadrà a Terra lungo il percorso di una linea perpendicolare al piano (sath) dell'orizzonte; ciò è testimoniato dall'esperienza (tajriba). E questa perpendicolare è distante dal punto tangente della sfera terrestre e dal piano dell'orizzonte percepito (hissi). Questo punto si muove con il moto della Terra e perciò non vi sarà alcuna differenza nel luogo di caduta delle due rocce.[18]»

Vita e morte della fisica aristotelica[modifica | modifica wikitesto]

Prima pagina della "Fisica" di Aristotele, tratta dall'edizione di Bekker (1837)

Il regno delle nozioni di fisica aristotelica durò per due millenni, e restituisce le primissime conoscenze di fisica. Dopo il lavoro di Alhacen, Avicenna, Avempace, al-Baghdadi, Giovanni Buridano, Galileo, Cartesio, Isaac Newton, e altri, è stato generalmente accettato che la fisica aristotelica non era corretta.[5] Nonostante ciò, la fisica di Aristotele riuscì a durare fino al tardo XVII secolo, e forse anche più, perché continuava a essere insegnata nelle università in quel tempo. Il modello di fisica aristotelica fu il principale ostacolo per la creazione della fisica attuale anche dopo molto tempo dalla morte di Aristotele.

In Europa, la teoria di Aristotele fu superata per la prima volta in maniera convincente dal lavoro di Galileo Galilei. Usando un telescopio, Galileo osservò che la luna aveva crateri e montagne. Ciò contraddiceva l'idea di Aristotele di una luna perfettamente liscia e incorruttibile. Galileo criticò questa nozione anche a livello teorico – una luna perfettamente liscia avrebbe riflettuto la luce in modo differente: come una palla da biliardo lucida, così il disco lunare avrebbe avuto una lucentezza differente a seconda dell'inclinazione dei raggi solari che, colpendolo tangenzialmente e riflettendosi, sarebbero giunti all'occhio umano. Una luna ruvida riflette invece per diffusione la luce ugualmente in tutte le direzioni, apparendo come un disco con sempre, approssimativamente, ugual lucentezza in ogni punto, che è ciò che si può osservare a occhio nudo.[19] Galileo osservò anche che Giove aveva delle lune, oggetti che ruotavano intorno ad un corpo celeste differente dalla Terra. Egli annotò anche le fasi di Venere dimostrando convincentemente che esso, e di conseguenza anche Mercurio, ruotavano intorno al Sole e non intorno alla Terra.

Secondo la leggenda, Galileo lanciò delle sfere di differente densità (ma di uguale forma e dimensione) dalla sommità della Torre di Pisa, scoprendo che le più leggere e le più pesanti cadevano alla stessa velocità. Infatti, fece numerosi esperimenti sul rotolamento di sfere lungo un piano inclinato, una forma di caduta sufficientemente lenta da permettere di effettuare misurazioni senza strumenti avanzati.

Poiché Aristotele non credeva che il movimento potesse essere descritto in assenza di un mezzo circostante, non poteva trattare la resistenza dell'aria come fattore che ostacolava il movimento stesso. In un mezzo denso come l'acqua, un corpo più pesante cade più velocemente di uno più leggero della stessa forma, e ciò indusse Aristotele ad ipotizzare che la velocità di caduta è proporzionale alla massa ed inversamente proporzionale alla densità del mezzo. Dalla sua esperienza con gli oggetti che cadevano in acqua, egli concluse che l'acqua ha una densità approssimativamente dieci volte maggiore di quella dell'aria. Pesando un volume di aria compressa, Galileo dimostrò però che questa valutazione sovrastima la densità dell'aria di un fattore di quaranta.[20] Sulla base dei suoi esperimenti con i piani inclinati, egli concluse che, trascurando la frizione, tutti i corpi cadono alla stessa velocità.

Galileo sviluppò anche un'argomentazione teorica a sostegno della sua conclusione, ponendo il seguente quesito: se due corpi con masse diverse e diverse velocità di caduta sono legate per mezzo di un filo, il sistema combinato cade più velocemente perché ha una massa maggiore, oppure il corpo più leggero nella sua caduta più lenta trattiene il corpo più pesante? L'unica risposta convincente è nessuna delle due: tutti i sistemi cadono alla stessa velocità.[19]

I seguaci di Aristotele erano consapevoli che il moto dei corpi in caduta non era uniforme, ma acquistava velocità con il tempo. Poiché il tempo è una quantità astratta, i peripatetici postularono che la velocità fosse proporzionale alla distanza. Galileo stabilì sperimentalmente che la velocità è proporzionale al tempo, ma fornì anche un'argomentazione teorica per cui la velocità non poteva assolutamente essere proporzionale alla distanza. In termini moderni, se la velocità di caduta è proporzionale alla distanza, l'equazione differenziale per la distanza percorsa dopo il tempo è

con la condizione che . Galileo dimostrò che questo sistema a rimarrebbe in quiete per tutto il tempo. Se una perturbazione mettesse in qualche modo in moto il sistema, l'oggetto acquisterebbe velocità al passare del tempo in modo esponenziale e non quadratico.[20]

È famoso il caso di David Scott che, sulla superficie della luna, ripeté l'esperimento di Galileo facendo cadere una piuma ed un martello da ciascuna mano allo stesso tempo. In assenza di un'atmosfera sostanziale, i due oggetti caddero e toccarono la superficie della luna nello stesso istante.

Con la sua legge di gravitazione universale, Isaac Newton fu il primo a codificare matematicamente una teoria corretta della gravità. In questa teoria, ogni massa è attratta ad un'altra da una forza che decresce secondo il quadrato inverso della loro distanza. Nel 1915, la teoria di Newton fu modificata, ma non invalidata, da Albert Einstein, che sviluppò una nuova rappresentazione della gravitazione, nel quadro della sua teoria generale della relatività. Si veda la voce gravità per una discussione completa molto più dettagliata.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d Abbagnano, Fornero, La fisica di Aristotele (RTF), in Protagonisti e testi della filosofia.
  2. ^ Il mondo degli astri fu studiato in particolare da Aristotele nel suo trattato intitolato De Caelo.
  3. ^ Il termine «terra» si riferisce ad un elemento puro teorizzato da Aristotele, non al vero pianeta Terra, che com'è noto è composto da un gran numero di elementi. Lo stesso vale per le altre terminologie utilizzate. «Aria» si riferisce all'archetipo puro dell'aria, opposto all'aria che si trova nell'atmosfera terrestre, che è, di nuovo, costituita di molti elementi.
  4. ^ a b www.hep.fsu.edu (PDF), su hep.fsu.edu. URL consultato il 26 marzo 2007.
  5. ^ a b c d Aristotle's physics, su aether.lbl.gov. URL consultato il 6 aprile 2009.
  6. ^ Aristotele, Fisica, VIII, 4, 254 b 25). Analogamente gli scolastici medievali diranno: «quidquid movetur ab alio movetur».
  7. ^ a b Teoria dell'impetus, su www3.unisi.it, Università di Siena.
  8. ^ Land, Helen The Order of Nature in Aristotle's Physics: Place and the Elements (1998)
  9. ^ K. A. Waheed (1978). Islam and The Origins of Modern Science, p. 27. Islamic Publication Ltd., Lahore.
  10. ^ Robert Briffault (1938). The Making of Humanity, p. 191.
  11. ^ Duhem, Pierre (1908, 1969). To Save the Phenomena: An Essay on the Idea of Physical theory from Plato to Galileo, p. 28. University of Chicago Press, Chicago.
  12. ^ Rafik Berjak and Muzaffar Iqbal, "Ibn Sina-Al-Biruni correspondence", Islam & Science, June 2003.
  13. ^ Mariam Rozhanskaya and I. S. Levinova (1996), "Statics", in Roshdi Rashed, ed., Encyclopedia of the History of Arabic Science, Vol. 2, p. 614-642 [621-622]. Routledge, London and New York.
  14. ^ Shlomo Pines, Abu'l-Barakāt al-Baghdādī, Hibat Allah, in Dictionary of Scientific Biography, vol. 1, New York, Charles Scribner's Sons, 1970, pp. 26-28, ISBN 0684101149.
    (cfr. Abel B. Franco (October 2003). "Avempace, Projectile Motion, and Impetus Theory", Journal of the History of Ideas 64 (4), p. 521-546 [528].)
  15. ^ A. C. Crombie, Augustine to Galileo 2, p. 67.
  16. ^ Alberto Strumia, Meccanica, su disf.org, 2002.
  17. ^ Ragep (2001b), pp. 63-4.
  18. ^ Ragep (2001a), pp. 152-3.
  19. ^ a b Galileo Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo.
  20. ^ a b Galileo Galilei, Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attenenti alla meccanica e i movimenti locali.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • H. Carteron (1965) "Does Aristotle Have a Mechanics?" in Articles on Aristotle 1. Science eds. Jonathan Barnes, Malcolm Schofield, Richard Sorabji (London: General Duckworth and Company Limited), 161-174.
  • Ragep, F. Jamil (2001a), "Tusi and Copernicus: The Earth's Motion in Context", Science in Context (Cambridge University Press) 14 (1-2): 145–163
  • Ragep, F. Jamil (2001b), "Freeing Astronomy from Philosophy: An Aspect of Islamic Influence on Science", Osiris, 2nd Series 16 (Science in Theistic Contexts: Cognitive Dimensions): 49-64 & 66-71

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]