Diga di Proserpina

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Diga di Proserpina
StatoBandiera della Spagna Spagna
Comunità autonoma  Estremadura
FiumeRío Guadiana
Coordinate38°58′11″N 6°21′59″W / 38.969722°N 6.366389°W38.969722; -6.366389
Mappa di localizzazione: Spagna
Diga di Proserpina
 Bene protetto dall'UNESCO
Diga di Proserpina
 Patrimonio dell'umanità
Insieme archeologico di Mérida
Criterioiii, iv
PericoloNon in pericolo
Riconosciuto dal1993

Il bacino di Proserpina con annessa diga di Proserpina è un bacino di origine romana costruito a partire dal l secolo I a. C. e situato 5 km a nord di Mérida in Spagna. Raccoglie le acque di due torrenti e ha una capacità di intorno a 4 hm³.[1]

Il buono stato di conservazione odierno del bacino romano si deve al fatto che, dopo la caduta dell'Impero romano, oltre la sua funzione di rifornimento di Augusta Emerita attraverso l'Acquedotto dei miracoli, il lago artificiale è sempre stato una popolare zona di balneazione e ricreativa, per cui si continuò a manutenerlo e modificarlo.[2]

Il bacino di Proserpina, nonché quello di Cornalvo, fanno parte dell'Insieme archeologico di Mérida, dichiarato Patrimonio dell'Umanità nel 1993 dall'UNESCO.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

La diga nel 1955 in una immagine dell'Archivio storico del Touring Club Italiano

Per secoli il bacino è stato conosciuto come "Charca de la Albuera" o "Albuhera de Carija" (dall'arabo Albufera, laguna), perché raccoglie l'acqua dell'Arroyo de la Albuhera, affluente del fiume Aljucén, e del suo intorno al Monte Carija. Nel XVIII secolo fu scoperta una lapide in cui era invocata la dea Ataecina-Proserpina, che da allora assume l'attuale nomenclatura.

Dopo la caduta dell'Impero Romano, l'Acquedotto dei miracoli che alimentava d'acqua la città cadde in disuso, ma la diga di terra con il suo muto di contenimento è rimasta in uso.[3]

Nel 1479 nei suoi pressi fu combattuta la battaglia di La Albuera tra le truppe castigliane di Isabella I la cattolica e le forze portoghesi di Giovanna la Beltraneja, nel quadro della Guerra di successione castigliana.

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Pianta (a destra) e sezione della diga
Scavi archeologici nella parte superiore della diga romana
Interno di una delle due torri di captazione di acqua della diga romana
La diga vista dalla riva meridionale

Il bacino, che comprende 72 ettari, raccoglie sia l'acqua della pioggia sia quella che apportano due ruscelli, Le Adelfas e Le Pardillas. Anche se l'opera originale è romana, lungo i secoli ha subìto numerosi rimodellamenti.

La diga, che misura 428 m di lunghezza e 21 m di altezza massima, ha forma digradante a gradini formati da conci regolari di granito. In questa zona si addossano nove contrafforti di sezione rettangolare che presentano anche una configurazione sfalsata. Sul lato opposto, la diga è rinforzata con un ampio spallamento di terra.[4]

Durante i lavori di pulizia iniziati nel 1991, per i quali l'invaso è stato prosciugato, è stata scoperta la base della diga e si è riscontrato che i contrafforti hanno una forma curva nella parte inferiore. È stato suggerito che potrebbe trattarsi di una prima diga alta sei metri, costruita durante la fondazione della città alla fine del I secolo a.C. e che fu ampliata qualche tempo dopo, nel II secolo d.C. Sul lato a valle della diga sono presenti due torri di captazione per regolare il deflusso delle acque verso la città.

L'acquedotto dei miracoli portava l'elemento liquido ad Augusta Emerita.[5]

Sono due i quartieri emeritensi che condividono il bacino di Proserpina, la Colonia di Proserpina e il Cuarto de Albuera, che sono separati dalla diga romana. L'invaso è una zona balneare e ricreativa molto frequentata nella stagione estiva, che dispone di diversi stabilimenti balneari e di un percorso perimetrale lungo 6 km molto frequentato da escursionisti e sportivi. Tra gli edifici che sorgono accanto al serbatoio ci sono i seguenti:

  • Museo dell'Acqua: situato accanto alla zona del bar, con il maggior afflusso di persone, in quanto luogo ideale per la balneazione, è un edificio moderno che illustra come si riforniva la città romana.
  • Edificio della Croce Rossa.
  • Chiesa di Proserpina.
  • Club di campo Tiro di Pichón
  • Camping Proserpina

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (ES) Datos actualizados del embalse de Proserpina., su embalses.net. URL consultato il 12 aprile 2023.
  2. ^ LA PRESA ROMANA DE PROSERPINA, su traianvs.net. URL consultato il 12 aprile 2023.
  3. ^ Arenillas e Castillo, 2003.
  4. ^ Barroso, Morgado 1996, p. 35.
  5. ^ Barroso, Morgado 1996, p. 36.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • (EN) Miguel Arenillas Parra e Juan C. Castillo, Dams from the Roman Era in Spain. Analysis of Design Forms (con appendice), in 1st International Congress on Construction History [20th–24th January], Madrid, 2003.
  • (ES) Miguel Arenillas, Juan Martín Morales e Antonio José Alcaraz Calvo, Nuevos datos sobre la presa de Proserpina (PDF), in Revista de Obras Públicas, 139 (3311), 1992, pp. 65-69. URL consultato il 12 aprile 2023 (archiviato dall'url originale il 20 ottobre 2018).
  • (ES) Yolanda Barroso e Francisco Morgado, Mérida, Patrimonio de la Humanidad. Conjunto monumental, Consorcio de la Ciudad Monumental Histórico-Artística y Arqueológica de Mérida (Depósito legal: BA-335-1996), 1996.
  • (ES) Castillo Barranco e Juan Carlos, Las presas romanas en España (PDF), in Revista de Obras Públicas, 154 (3475), 2007, pp. 65-80. URL consultato il 12 aprile 2023 (archiviato dall'url originale il 20 ottobre 2018).
  • (ES) José de Castro Gil, El pantano de Proserpina (PDF), in Revista de Obras Públicas, tomo I (2631), n. 81, 1933, pp. 449-454. URL consultato il 12 aprile 2023 (archiviato dall'url originale il 20 ottobre 2018).
  • (ES) Raúl Celestino Gómez, Cronología de las fábricas no romanas del pantano de Proserpina (PDF), in Revista de Obras Públicas, I (2744), n. 91, 1943, pp. 558-561. URL consultato il 12 aprile 2023 (archiviato dall'url originale il 20 ottobre 2018).
  • (ES) Carlos Fernández Casado, Las presas romanas en España (PDF), in Revista de Obras Públicas, I (2954), n. 109, 1961, pp. 357-363. URL consultato il 12 aprile 2023 (archiviato dall'url originale il 20 ottobre 2018).

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