Canto cristiano

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Il canto cristiano riveste un ruolo fondamentale nella storia della musica occidentale. Alla sua fase primordiale fa riferimento la documentazione musicografica più antica: in esso è possibile riscontrare gli archetipi della cultura musicale occidentale, fra i quali la scala di sette suoni e la proporzione binaria o ternaria dei valori ritmici.

Nascita della tradizione musicale cristiana

Il rapporto con la grecità

Da una parte, la musica dei romani era strettamente legata alle feste e agli spettacoli pagani e, perciò, non consone alla nuova religione che stava diffondendosi rapidamente in tutto l'impero, il cristianesimo. D'altro canto, sul piano speculativo, le tradizioni filosofiche del neoplatonismo e del neopitagorismo, giunte a Roma attraverso la cultura ellenistica e alessandrina, aveva, nei secoli del tardo impero, un peso determinante e la sua influenza era assai forte sul pensiero dei teorici e dei pensatori del tempo. Le esigenze musicali erano strettamente determinate dal la nuova liturgia cristiana: pertanto, mentre il modello teorico offerto dalla tradizione greca era ormai del tutto scisso dalla prassi artistica e ridotto a pura speculazione, i modelli tradizionali si presentavano del tutto inadeguati alle nuove esigenze della liturgia cristiana. Il problema era quello di creare una tradizione musicale 'nuova' - benché non in contrasto con il modello greco - capace di unificare la 'christianitas' che veniva a sovrapporsi e a sostituire il grande impero. Così come avvenne anche in altri campi della cultura, i cristiani volevano essere i continuatori della cultura ellenistica classica, la quale, nei suoi filosofi e pensatori più illuminati, avrebbe - secondo il pensiero dell'epoca - già intravisto e preconizzato le verità della rivelazione; compito della nuova fede sarebbe stato l'esplicitare e il portare pienamente alla luce le verità già latenti nel vecchio mondo.

Così tutta la teoria musicale dei greci non doveva essere rigettata, in quanto ideata da pagani; ma al contrario, essa andava ripensata ed adeguata alle nuove esigenze, con l'intento di mostrarne la continuità con la moderna prassi musicale. Testi come il 'De Musica' di Boezio furono fondamentali a questo scopo.

Il linguaggio musicale dei primi cristiani

Per capire come si sia originato e sviluppato il canto gregoriano - prima manifestazione documentabile di canto cristiano - si deve ricostruire la storia del Cristianesimo a partire dalla distruzione di Gerusalemme, avvenuta nel 70 d.C.

In seguito a questo avvenimento storico, gli ebrei si dispersero in tutti i paesi del bacino del mar Mediterraneo. La maggior parte degli ebrei mantenne la fedeltà alla religione ebraica; alcuni si convertirono al cristianesimo. Fu grazie a questi ultimi che il messaggio di Gesù Cristo si diffuse tra le popolazioni dell'impero romano. È ragionevole supporre che la prima liturgia cristiana fosse pesantemente influenzata dal retaggio sinagogale. Il musicologo lettone Bramo Idelsohn individuò nei documenti tracce dei due stili sui quali era fondata la tradizione musicale ebraica: la cantillazione e lo jubilus. Si tratta della prova più cogente per affermare - con certezza storiografica - che la prassi musicale cristiana deriva dalla tradizione ebraica e non da quella greca.

Nel 313, l'Editto di Costantino riconobbe la libertà di culto ai cristiani. Successivamente, nel 391, Teodosio pose addirittura il veto al perdurare di culti pagani nell'impero. In questa fase, sulla scorta del modello burocratico imperiale, il cristianesimo si conferisce un assetto istituzionale gerarchico. I rapporti fra Roma e Bisanzio, a seguito del crollo dell'impero, si fanno sempre più difficili e si protraggono per secoli, sino a determinare nel 1054 lo scisma tra l'Occidente e l'Oriente. Così, mentre in Oriente si afferma la religione cristiana ortodossa, in lingua greca, che farà capo al patriarca di Costantinopoli (poi ribattezzata Bisanzio), in Occidente, la tradizione cristiana sarà legata al canto e alla liturgia in lingua latina, poi chiamati gregoriani. Nelle più importanti città dell'impero romano d'Occidente si costituirono delle diocesi che facevano capo ad un vescovo. Alla diocesi di Roma, ad esempio, faceva capo il vescovo di Roma che era anche il capo della cristianità, cioè il Papa. Durante l'Alto Medioevo, i collegamenti tra i vari centri dell'impero romano erano molto limitati. Si determina, così, una frantumazione della liturgia e del canto cristiano, dunque in ciascuna sede si sviluppano una liturgia e un canto autonomo, ai quali successivamente vennero dati dei nomi. Ad esempio, a Milano si svilupperà la liturgia ambrosiana, dal nome del vescovo di Milano, sant'Ambrogio. A Roma si sviluppò il canto romano antico; in Gallia si sviluppò il canto gallicano; in Spagna il canto mozarabico.

Lo sviluppo unitario del canto cristiano

A metà del Novecento vi fu un dibattito sulle origini del canto gregoriano. L'ipotesi dominante fu l'unificazione del canto della liturgia del papa Gregorio Magno. Studi successivi hanno permesso di ricostruire la verità. Tutto nasce quando il papa Stefano II, preoccupato dalla minaccia dei longobardi, chiese aiuto al re dei Franchi, Pipino il Breve. Nel 730 papa Stefano II scoprì che, a Parigi, non si cantava il canto romano antico, ma un canto di origini ebraiche, come quello romano, ma con caratteristiche diverse. Il papa chiese a Pipino il Breve di imporre il canto romano antico in Gallia, cioè nel regno dei Franchi. Tuttavia, a causa della mancanza di una scrittura, il risultato di questo tentativo d'imposizione fu una contaminazione fra canto romano antico e canto gallicano, in seguito alla quale nacque il canto gallico-romano o versione franca del canto romano antico.

Nell'800 Carlo Magno scese in Italia, sconfisse i longobardi e venne incoronato, da Papa Leone X, imperatore del Sacro Romano impero. La chiesa, allora, chiese l'unificazione della liturgia e del canto cristiano, in tutto il territorio del sacro romano impero. Il risultato fu l'imposizione non del canto romano, ma della versione franca del canto romano antico. Per questo motivo, a Roma si ha prima il canto romano antico, poi un periodo di convivenza tra il canto romano antico e la versione franca del canto romano antico e, infine, la supremazia del canto gallico-romano. Il canto romano antico, successivamente, venne chiamato "canto gregoriano", perché attribuito a Gregorio Magno. Quest’attribuzione rientra nel progetto culturale della rinascenza carolingia, all'interno del quale va inserita l'imposizione del canto gallico-romano all'interno della cristianità e la sua presentazione come prodotto da Gregorio Magno. Nel periodo della rinascenza carolingia (IX secolo) venne scritta una biografia di Gregorio Magno da Giovanni Diacono, all'interno del quale si diceva che il papa Gregorio Magno aveva unificato i testi dei canti cristiani( = gregoriano) in una raccolta detta Antifonarium Cento e aveva fondato la Schola Cantorum, con il compito di diffondere e conservare i canti del repertorio, senza contaminazione. Solo recentemente, la critica storica ha dimostrato che quelle attribuzioni erano infondate; i primi saggi di notazione sono posteriori di oltre due secoli alla morte di papa Gregorio e nessuna scuola esisteva quando egli fu nominato pontefice.

La liturgia e il canto cristiano. Stili e modi di esecuzione

La liturgia cristiana si divide in:

  • Liturgia delle ore: scandisce la giornata in ore canoniche (dal mattutino al vespro) e veniva praticata soprattutto nei monasteri. Il mattutino e il vespro coinvolgevano, di norma, anche la popolazione. Durante le ore si cantavano soprattutto gli inni, canti su testi extrabiblici, non erano desunti dalla Bibbia, importati dall'Oriente in Occidente, dove e venivano diffusi grazie all'opera di sant’Ambrogio, quindi, soprattutto a Milano. Gli inni erano strofici: la melodia della prima strofa si ripeteva per tutte le altre strofe; erano canti molto orecchiabili, che piacevano molto ai fedeli e, pertanto, contrastati dalla chiesa ce, alla fine, fu costretta ad ammetterli nel proprio repertorio ufficiale. Fanno tuttora parte del repertorio ufficiale della chiesa cattolica;
  • Liturgia della messa: prevede testi biblici che appartengono al Proprium Missae e all'Ordinarium Missae. I primi cambiano da un giorno all'altro dell'anno liturgico e sono l'introito, il graduale, l'alleluja, l'offertorio e communio. I secondi rimangono fissi per tutto l'anno liturgico e sono il Kyrie, il Gloria, il Credo, il Sanctus e Agnus dei.

Inizialmente, i testi del proprium missae e dell'ordinarium missae ebbero gli stessi stili quali l'accentus che deriva dalla cantillazione, una recitazione intonata del salmo su una nota ribattuta; il canto allelujatico che deriva dallo jubilus, ed è un lungo vocalizzo, generalmente concentrato soprattutto sulla "a" finale dell'alleluja, ma che può presentarsi anche nel corso dello stesso alleluja. Nasce con l'idea di esaltazione di Dio che passa proprio attraverso la fioritura virtuosistica; il concentus, una melodia che si espandeva liberamente, anche con intervalli ampi. Il concentus viene anche detto semisillabico perché, mentre l'accentus aveva una nota per ogni sillaba, il concentus può presentare più note per ogni sillaba.

Per quanto riguarda invece le modalità di esecuzione, queste potevano essere: antifonari, responsoriali o allelujatiche.

  1. Nella salmodia antifonale, i fedeli si dividevano in due gruppi, ciascuno dei quali recitava un versetto diverso. C’era alternanza fra due gruppi di cantori;
  2. Nella salmodia responsoriale, il solista cantava il versetto e l'assemblea rispondeva con una frase sempre uguale, cantata in alternanza fra solista e coro;
  3. Nella salmodia allelujatica, i fedeli cantavano tutti insieme.

Ad un certo punto si produsse una sorta di attrito tra la chiesa e il bisogno di creatività. Questo perché la chiesa, una volta imposto il canto gregoriano all'intero mondo occidentale, pretese che questo venisse accettato come un testo sacro, esattamente come la Bibbia e il canto, in quanto testo sacro, non si poteva cambiare. Nacquero trucchi per inventare qualcosa di nuovo, senza apparentemente toccare il canto gregoriano. Si trattava di due nuove forme: i tropi e le sequenze.

  1. I tropi nascono come interpolazione, all'interno di un testo sacro, di parti nuove, sia di testo che di musica che, apparentemente, non toccavano il testo sacro, ma che, in realtà, producevano un canto nuovo. Il punto di arrivo di questo processo di tropatura fu il cosiddetto Tropo di complemento, cioè parti che venivano messe prima e dopo il canto. Bastò semplicemente staccare queste parti dai canti per creare nuovi canti.
  2. Un altro procedimento di invenzione camuffata fu la sequenza, che fu ancora più sofisticata perché l'invenzione era meglio camuffata. Si prendeva lo jubilus allelujativo, cioè il vocalizzo che si faceva sulla "a" finale dell'alleluja, si staccava dal canto originario e ad esso veniva applicato un nuovo testo. Questo jubilus melismatica diventava, così, un canto sillabico, perché, applicando un testo sullo jubilus, il canto diventava sillabico. La motivazione che venne data a quest’operazione fu di tipo mnemonico. Si disse che si applicava questo testo per facilitare il ricordo delle note del vocalizzo. In realtà, quest’applicazione produsse un canto del tutto nuovo.

Insomma, ci fu una riorganizzazione del testo e della musica. Tuttavia, nella riorganizzazione della musica, l'evento più importante fu l'introduzione del principio, estraneo al canto gregoriano, della ripetizione. In cosa consiste? Viene data la possibilità di ripetere una stessa sezione musicale. L'effetto conseguente dell'applicazione di questo principio sarà un capovolgimento del rapporto fra testo e musica. Nel canto gregoriano, infatti, la musica era una sorta di amplificazione emotiva del testo sacro, del testo biblico. Qui, invece, la musica esiste prima del test, ma acquista una sua autonomia; viene, insomma, introdotta una logica compositiva diversa. In un certo senso si può dire che la sequenza rappresenta veramente un fatto assolutamente nuovo.

La teoria: i modi (o toni) ecclesiastici

L'Introito Gaudeamus omnes, scritto in notazione quadrata nel XIV - XV secolo

Dal punto di vista teorico, il canto gregoriano si basa su scale che hanno lo stesso delle scale greche, cioè modi: dorico, frigio, lidio e misolidio. Questa è la ragione per la quale, inizialmente, si pensò che il canto gregoriano derivasse dalla tradizione greca. In realtà, il fatto che si usassero nomi greci è testimonianza del desiderio dei musicisti e, soprattutto, dei teorici medievali, di rivendicare i propri legami con il mondo classico, proprio nell'ambito della dell'atteggiamento, sviluppatosi in epoca carolingia, di recupero del passato, devastato dalle prime invasioni barbariche . Tuttavia, queste scale sono profondamente diverse, prima di tutto perché sono ascendenti, mentre quelle erano discendenti, e poi perché sono modi costruiti su quattro note (finalis) diverse, che sono il re, il mi, il fa e il sol e, quindi, con intervalli diversi.

Modo dorico che parte dal re = scala di re Modo frigio che parte dal mi = scala di mi Modo lidio che parte dal fa = scala di fa Modo misolidio che parte dal sol = scala di sol

Ciascun modo, detto modo fondamentale, ha due note importanti: la finalis (= la nota con la quale inizia e finisce un canto) e la repercussio (= la nota che si ripercuote, che ritorna, che viene ripetuta più volte nel canto, generalmente all'inizio di ogni versetto). La repercussio è posta, di norma, una quinta sopra la finalis. Ogni modo fondamentale ha un modo derivato che viene chiamato anche ipomodo (ipodorico, ipofrigio…) perché consiste nello spostamento di registro verso il grave, scendendo di una quarta. Quindi, il modo ipodorico si trova una quarta sotto il re, quello ipofrigio ha la repercussio sul la. Tuttavia, nel modo derivato la finalis rimane la stessa, quindi un canto in modo ipodorico comincia e finisce lo stesso con il re, anche se l'ambito melodico si è spostato dal re al re (= modo dorico) o dal la al la (= modo ipodorico), cambia la repercussio, perché nel modo derivato, se la repercussio fosse la quinta sopra la finalis, sarebbe l'ultima nota della scala. Ciò non è funzionale. Così, nel modo derivato, la repercussio è una terza sopra la finalis; nel modo dorico autentico, la repercussio è la quinta di re; nel modo dorico derivato, è il fa (che è terzo di re). Questo sistema fondato su quattro modi fondamentali, non ammette modulazioni: se un canto è in modo dorico, non presenta alterazioni, però presenta l'unica eccezione del si bemolle.

La successione fa-sol sol-la la-si è una quarta eccedente detto anche tritono perché sono 3 toni. L'intervallo che si crea fra il fa e il si è dissonante, tant’è vero che questo tritono, questo salto di 3 toni, venne chiamato Diabulus. In musica, il diabulus non si doveva produrre mai, quindi, quando si veniva dal fa, il si doveva essere "bemollizzato", per produrre quella che oggi chiamiamo quarta giusta. Perciò, nell'ambito di un canto rigorosamente diatonico, cioè privo di alterazioni, l'unica alterazione ammessa era quella del si che si introduceva quando si veniva dal fa, per evitare il diabulus in musica. Siccome il si era una nota mobile, cioè poteva essere sia bequadro che bemolle, non poteva essere repercussio, perché quest’ultimo doveva essere una nota fissa di riferimento e, allora, tutte le volte che il si doveva essere repercussio, quest’ultima si spostava al do. Si confronti il modo derivato dell'ipolidio: la repercussio dovrebbe essere la 3° di sol e, invece, viene spostata al do; il modo ipofrigio ha la repercussio non sulla terza, ma sulla quarta nota, per analogia con il modo autentico (poiché, nel modo autentico, la repercussio è do, nel modo derivato, per analogia, la repercussio si sposta di una nota).

La diffusione delle sequenze e dei tropi, che metteva in discussione il repertorio tradizionale gregoriano, venne rinnegata durante la controriforma, cioè quando venne fatto il concilio di Trento e la chiesa sentì il bisogno di tornare alle origini. Anche a quelle del canto cristiano.

In quell'occasione la chiesa abolì tutte le sequenze e tutti i tropi, mantenendo solo cinque sequenze all'interno del repertorio:

  1. Victimae paschali laudes (rito di Pasqua);
  2. Veni sanctus spiritus (giorno della Pentecoste);
  3. Lauda sion (corpus domini);
  4. Stabat mater di jacopone da Todi ;
  5. Dies irae (utilizzato nella liturgia funebre);

Nel 1614 un editore di Roma ottenne dal papa l'autorizzazione a produrre un'edizione di canto gregoriano detta Editio Medicea, un'edizione falsata perché venivano tagliati i melismi e le note venivano allungate. Non si aveva, dunque, la minima idea di quale fosse il canto gregoriano. Nell'800 una ristampa dell'Editio medicea venne considerata edizione ufficiale della chiesa cattolica. Nella seconda metà dell'800, manoscritti in pergamena con l'intero antiphonarium cento in notazione neumatica venne raccolto nell'opera paleografia musicale in 19 volumi.

Accanto alle melodie centonizzate vi sono, nell'ambito del repertorio gregoriano, delle melodie originali, che hanno una loro compiuta autonomia.

Approfondimento teologico

Estasi di Santa Cecilia di Raffaello Sanzio. Santa Cecilia è la patrona della musica.

Nei vangeli di Matteo e di Marco si parla dell’ultima cena di Gesù e si fa un riferimento diretto alla musica, “e dopo aver cantato l’inno uscirono verso il monte degli Ulivi” (Mt 26,30; Mc 14.26), e cioè i discepoli cantarono con Gesù il “grande Hallel” (sal 112-117) che faceva parte del rituale ebraico Pasquale.

Nelle sue lettere San Paolo apostolo invita le comunità cristiane di far risuonare “salmi, inni e cantici” e di cantare con tutto il cuore la grandezza dell’Onnipotente. Numerosi sono poi nel Nuovo Testamento i riferimenti a testi innici a Cristo (es Gv 1,1-18; Ef 1,4-14; Fil 2,6-11 Eb1,3; Tm 3,16 ecc..).

In Principo era il Verbo (Gv. 1) L’inizio del prologo di Giovanni è centrato proprio su quella parola, “verbo” (verbum) in greco (lingua in cui venne scritto il Vangelo) logos, li vi è la sintesi di tutta la profondità e la forza della relazione tra parola-suono-divinità.

La Parola era prima di ogni tempo, la parola è Dio, la parola incarnata ha portato l’umanità alla salvezza.

Un esempio indiretto, ma molto interessante, di correlazione tra Dio e il suono lo si trova sempre nel Vangelo di Giovanni nei versetti 19,28-30 in cui si parla della morte di Gesù. Giovanni dà alla morte di Gesù un significato particolare. Come è solito l’evangelista legge i fatti su di un duplice piano. Gesù muore, e “rende lo Spirito” ovvero esala l’ultimo respiro, ma in realtà con la sua morte dona lo Spirito Santo. “e chinato il capo, spirò”, il testo greco dice esattamente “parédoke tò pnéuma” che significa “diede lo spirito”. Non dimentichiamoci l’etimologia della parola neuma ovvero del segno/simbolo con cui venne trascritto il canto gregoriano. Neuma deriva da “pnéuma” ovvero da spirito, si voleva cosi indicare la forte valenza spirituale del suono musicale, la “nota” non aveva solo valenza indicativa, ma possedeva anche un grande valore simbolico in quanto il suono cantato proveniva dal profondo dell’animo umano e quindi era permeato di infinita sacralità.

Voci correlate


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