Buddismo dei Nikāya

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Buddismo
dei Nikāya
Canone buddhista
Āgama-Nikāya, Āhánbù
Vinaya, Sutta
Abhidhamma


contenuti nei canoni:
pāli, cinese, tibetano

Concili buddhisti
Buddismo dei Nikāya
Il Buddhadharma

 Mahāsāṃghika
     Lokottaravāda
     Caitika
     Gokulika
     Prajñaptivāda
     Bahuśrutīya
 Vatsīputrīya
     Sammitīya
         Avantaka
         Kurukulla
     Dharmôttarīya
     Bhadrayānīyāḥ
     Saṇṇagārika
 Sthaviravāda
     Sarvāstivāda
         Sautrāntika
         Mūlasarvâstivāda
     Vibhajyavāda
         Theravāda
         Dharmaguptaka
         Mahīśāsaka
         Kāśyapīya

L'espressione buddismo dei Nikāya[1] è stata coniata dalla storiografia contemporanea[2] per indicare un insieme eterogeneo di scuole buddiste sorte nei primi secoli dopo la morte del Buddha Śakyamuni (vedi anche Concili buddisti) che si riconoscevano in un corpo dottrinale e disciplinare, come il Canone pāli, che non comprende quelle scritture indicate successivamente come mahāyāna.

Il dibattito sull'espressione "buddismo dei Nikāya" e sui termini alternativi. Origini delle scuole[modifica | modifica wikitesto]

Un termine sinonimo, sempre utilizzato dagli studiosi, è quello di buddismo Hīnayāna. Va tuttavia tenuto presente che quest'ultimo termine, Hīnayāna ("Piccolo veicolo" o "Veicolo inferiore") era precedentemente utilizzato dai seguaci del buddismo Mahāyāna in senso dispregiativo per indicare i seguaci di quegli insegnamenti buddisti che non riconoscevano la canonicità degli insegnamenti riportati nei Prajñāpāramitā Sūtra e nel Sutra del Loto, in particolar modo riferito ai seguaci della scuola Sarvāstivāda.

D'altronde, utilizzare per queste scuole la definizione di 'primo buddismo' non rende ragione della nascita al loro interno delle correnti che poi si denomineranno Mahāyāna. L'utilizzo del termine Mahāyāna si è diffuso a partire dal II secolo d.C. circa e si ritiene che la prima letteratura di riferimento possa forse avere avuto origine nel I secolo a.C., ma non si sa quando si siano formati i primi gruppi di monaci che sottolineavano l'importanza e l'urgenza dell'insegnamento dello śūnyatā e della prajñā, tratti caratteristici della dottrina mahāyāna.

Di certo vi è stato fin dai primi concili dibattito su quali fossero gli effettivi insegnamenti del Buddha Śakyamuni[3], ma nei testi buddisti più antichi pervenuti, risalenti al I secolo d.C. e rinvenuti nella regione del Gandhara, non c'è traccia di alcuna dottrina riconducibile a quelle mahāyāna[4].

Philippe Cornu azzarda una soluzione interpretativa della nascita del buddismo Mahāyāna considerando come possibile che il Buddha Śakyamuni abbia insegnato

«[...] la Prajnaparamita e altri argomenti del grande veicolo a un gruppo ristretto e particolarmente maturo, i cui discepoli rimasero una minoranza durante i primi secoli; le loro file si ingrossarono verso il primo secolo dell'era cristiana, rendendo possibile la diffusione del Mahāyāna alla luce del giorno tanto nel saṅgha monastico come tra i laici.»

Questo varrebbe come tesi speculativa, non esistendo testimonianze letterarie, litografiche o archeologiche né dirette né indirette a sostegno e scontrandosi invece con quanto risulta nel canone pāli, il quale riferisce il Buddha negare al monaco e attendente personale Ānanda l'aver mai tenuto insegnamenti segreti o ristretti a monaci privilegiati[5]. Inoltre autorevoli studiosi ritengono i Prajñāpāramitā Sūtra delle opere tardive rispetto a quelle delle scuole più antiche, dette pratyekabuddhayāna[6].

Gli studiosi R. H. Robinson e W. L. Johnson ritengono infatti il Mahayana il frutto successivo dell'evoluzione delle prime scuole dottrinali buddiste, dette del nikaya, e considerano il Mahayana frutto anche dell'assorbimento di diverse dottrine, riti e culti buddisti diffusi in India al tempo della sua formazione dottrinale[7].

Nell'introduzione a "Storia del Buddismo indiano" lo studioso Paolo Taroni scrive che[8]:

«Come è noto, il Mahāyāna venne contrapposto all'Hīnayāna, il Piccolo Veicolo, dagli esponenti del Mahāsāṃghikā, più riformatori e progressisti al problema del come si potesse conseguire la Buddhità, in contrapposizione agli anziani (Sthavirāḥ), i quali sostenevano invece che fosse necessario osservare le regole e la disciplina (vinaya) per raggiungere l'illuminazione. [...] I Mahāsāṃghikā - originari del centro-sud dell'India - furono sconfitti; tennero quindi un concilio separato, così da venire a delineare ormai la demarcazione tra Mahāyāna e Hīnayāna. [...]
All'incirca tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. iniziò dunque ad affermarsi - soprattutto grazie ai laici [...] - il buddismo Mahāyāna, in aperta opposizione alla rigidità e all'arroganza dei monaci, che ormai avevano snaturato il pensiero del buddismo originario e ne avevano dissolta tutta la carica rivoluzionaria, dissacrante e antiteoretica»

Lo studioso Gregory Schopen è di tutt'altro avviso notando che le iscrizioni archeologiche mahāyāna sono quasi tutte monastiche, concludendo che:

«Il Mahāyāna era un movimento dominato dai monaci»

Anche Paul Harrison[9] e Sasaki Shizuka[10] ritengono che il movimento mahāyānista sia di stretta origine monastica.

Paul Williams ricorda come i recenti lavori di Paul Harrison sui frammenti della letteratura mahāyāna nonché i suoi antichi sūtra conservati nel Canone cinese, e solo recentemente studiati, nonché le conclusioni degli studi archeologici effettuati da Gregory Schopen, possano far concludere che il nucleo centrale del Mahāyāna sia certamente monastico e che il punto centrale del Mahāyāna primitivo corrisponda all'aspirazione della perfetta buddhità ovvero al voto del bodhisattva da contrapporre a coloro che seguivano un sentiero 'inferiore' mirando alla liberazione della sola propria sofferenza invece di mirare a quella di tutti gli esseri senzienti[11].

Questi monaci mahāyāna corrisponderebbero a degli asceti della foresta tesi a tornare allo spirito buddista primitivo:

«Una certa spinta ai primi sviluppi del Mahāyāna venne dai monaci dimoranti nella foresta. Lungi dall'essere il prodotto di un movimento urbano, laico e devozionale, molti sūtra mahāyāna rivelano un radicale tentativo ascetico di ritornare all'ispirazione originaria del buddismo: la ricerca della buddhità o della conoscenza risvegliata»

Il fatto che i primi mahāyānisti fossero dei monaci asceti delle foreste spiegherebbe, secondo Harrison, la scarsità di testimonianze archeologiche nei loro confronti.

La tesi di un Mahāyāna fondato da monaci conservatori e asceti delle foreste sarebbe dimostrata, secondo Gregory Schopen[12], anche dall'analisi di un sūtra mahāyāna molto antico, il Maitreyamahāsiṃhanāda (Ruggito del Leone di Maitreya), risalente al I secolo d.C. dove viene raccomandata l'ascesi monastica nelle foreste, la svalutazione della vita laicale e la denigrazione dell'adorazione degli stūpa.

Il pellegrino cinese mahāyāna Yìjìng (義淨, 635-713) registra ancora nel VII secolo che varie scuole allora esistenti con cui era entrato in contatto (Mahāsāṃghika, Vatsīputrīya, Sarvāstivāda e Vibhajyavāda) avevano ancora tutte al loro interno monaci Mahāyāna[13]. Secondo alcuni studiosi ciò indicherebbe che le divisioni tra monasteri, almeno fino al VII secolo, inerivano quindi ancora alla disciplina monastica (Vinaya)[14] piuttosto che alle dottrine di riferimento[15]. Altri studiosi rilevano invece come i codici della disciplina monastica (Vinaya) che ci sono giunti siano invece molto simili tra di loro, almeno per quanto riguarda le controversie dei concili in cui le comunità si scontrarono tra loro[16], e che fu proprio grazie a ciò che le comunità antiche, nonostante fossero divise dalle loro interpretazioni della dottrina (in primo luogo dell'Abhidharma), potevano convivere negli stessi monasteri. Infatti anche gli studiosi R. H. Robinson e W. L. Johnson fanno risalire la spaccatura tra le scuole dei Nikāya e il Mahāyāna alle reciproche divergenze non disciplinari, ma relative all'Abhidharma[17].

Ritornerebbe quindi opportuno l'utilizzo[18], come sostenuto da Richard H. Robinson e Williard L. Johnson, del termine Hīnayāna. In questo ambito tuttavia occorre ribadire che si intende come buddismo dei Nikāya quelle scuole, e quei monaci di quelle scuole, che non si riconoscevano negli insegnamenti dei Prajñāpāramitā Sūtra e nel Sutra del Loto, essendo inoltre tra loro divisi da differenti Vinaya e differenti Abhidharma.

Occorre poi precisare che l'attuale scuola Theravāda non può essere considerata a pieno titolo una scuola del buddismo dei Nikāya, o Hīnayāna, avendo essa stessa subìto, nel corso dei secoli, degli sviluppi dottrinali che l'hanno portata ad accogliere persino alcuni insegnamenti provenienti da altri ambiti buddisti e brahmanici[19].

Canonicità delle scritture del buddismo dei Nikāya[modifica | modifica wikitesto]

Dal punto di vista storiografico è difficile stabilire la "canonicità" di questa o di quella scrittura buddista. Di certo sia gli Āgama-Nikāya (testi a cui fanno riferimento le scuole del buddismo dei Nikāya) che alcuni Prajñāpāramitā Sūtra, come presumibilmente alcuni capitoli del Sutra del Loto, sono stati messi per iscritto nello stesso periodo, ovvero nel I secolo a.C., anche se studiosi fanno comunque risalire l'origine delle Prajñāpāramitā ad un'epoca posteriore a quella della formazione degli Āgama-Nikāya[20]. Parte dei Nikāya del Canone pāli è fatto risalire, secondo alcuni autori e grazie a testimonianze indirette e studi letterari comparativi, al IV secolo a.C.[21], nonostante quello noto sia il frutto di un'edizione del V secolo d.C[22]. La situazione complessiva è tuttavia tale dal far ritenere la ricostruzione dell'evoluzione storica dei testi buddisti pressoché impossibile[23]. Tutte, o alcune, delle dottrine riportate erano state precedentemente, e per secoli, trasmesse oralmente (e forse, almeno in parte, anche per iscritto a partire dall'epoca del sovrano Aśoka[24]) da monaci chiamati bāṇaka. Non si ha contezza di quale sia l'effettivo insegnamento del Buddha Śakyamuni lì contenuto.

Generalmente si ritiene che gli Āgama-Nikāya contengano molti degli insegnamenti del Buddha storico, ma ciò secondo alcuni studiosi non esclude la stessa cosa riguardo ai Prajñāpāramitā Sūtra più antichi, anche se di questi ultimi non si hanno testimonianze, dirette o indirette, precedenti il I secolo a.C., contrariamente a numerosi testi appartenenti alle scuole del buddismo dei Nikāya presenti nel Canone pāli[23] e nel Canone cinese. È certo invece che sia gli Abhidharma della scuola Theravāda e delle scuole buddismo dei Nikāya che gli altri sūtra Mahāyāna siano successivi all'insegnamento del Buddha storico e che non siano in alcun modo riferibili ad esso, come invece la tradizione di queste scuole sostiene[25].

Ciononostante va precisato che già durante la vita del Buddha Śakyamuni esisteva la figura del Buddhavācana, ovvero di colui che, realizzata l'"illuminazione", poteva parlare con la "voce" del Buddha, altrimenti detta il "ruggito del leone", avendone avuto l'autorizzazione o l'invito a farlo. Seguendo questa antica tradizione è comprensibile come, nel corso dei secoli, sia le scuole del buddismo dei Nikāya e del buddismo Theravāda che del buddismo Mahāyāna abbiano attribuito al Buddha storico degli insegnamenti (come gli Abhidharma o i sutra Mahāyāna) di "illuminati" contemporanei[26]. Tutto questo alla luce di un'ulteriore considerazione che fa riferimento, ad esempio, al Nettippakaraṇa (122-4), antica guida extracanonica all'Abhidhamma del Canone pāli. In questo testo si stabilisce così la canonicità di un insegnamento: «Con che cosa il sutra deve concordare? Con le Quattro nobili verità. Con che cosa il vinaya deve concordare? Con il controllo della cupidigia, della avversione e dell'illusione. Con che cosa il Dharma deve concordare? Con l'insegnamento della coproduzione condizionata». Ne segue che ciò che rispetta queste caratteristiche possa essere considerato canonico.[27] Analoghe considerazioni si trovano nella letteratura buddista sanscrita del Mahāpadesasūtra. Questa lettura, più filosofica che storica della canonicità di un testo, ha consentito l'ingresso in tutti i canoni buddhisti di testi che non possono essere riferiti "storicamente" al Buddha Śakyamuni. Anche se certamente la scuola Theravāda (come le scomparse scuole del buddismo dei Nikāya) ha cercato di attenersi maggiormente, rispetto alle scuole Mahāyāna, ad un'interpretazione storica del criterio piuttosto che a quella dottrinaria.

Divisione delle scuole[modifica | modifica wikitesto]

Dopo la morte (parinirvāṇa) del Buddha Śakyamuni, il monachesimo buddista si diffuse presto per tutto il subcontinente indiano.

A questa diffusione corrispose anche una lenta ma graduale differenziazione nella interpretazione degli insegnamenti, all'epoca riportati oralmente, attribuiti allo stesso Buddha Śakyamuni.

La prima divisione registrata all'interno della comunità buddista (saṅgha) risale alla metà del IV secolo a.C. quando la maggioranza della comunità denominatasi Mahāsāṃghika si divise dagli Sthaviravāda, una minoranza che si autodenominò come gli "anziani" (in sanscrito: sthavira, l'appellativo rivolto ai bhikṣu più vecchi e venerabili), maggiormente fedeli, secondo costoro, all'insegnamento autentico del Buddha.

Il gruppo degli Sthaviravāda rimase unito fino al III secolo a.C. quando da esso si separò un gruppo denominato Vatsīputrīya che sosteneva l'esistenza di un pudgala (persona; e per questo conosciuti anche come Pudgalavāda) all'interno di ciascuno essere vivente, dottrina che evidentemente contraddiceva, per i suoi oppositori, l'anātman insegnato dallo stesso Buddha Śakyamuni.

Alcuni decenni dopo questo scisma, se ne produsse uno nuovo e la comunità Sthaviravāda si suddivise in due: Vibhajyavāda e Sarvāstivāda.

All'inizio del II secolo a.C. dalla comunità Vibhajyavāda sorsero due ulteriori scuole: i Dharmaguptaka e i Mahīśāsaka. Mentre nello stesso periodo dalla scuola Sarvāstivāda sorse la scuola Sautrantika.

Poco si sa di un'ulteriore scuola, i Kāśyapīya, che sembra sintetizzare le posizioni dottrinali dei Sarvāstivāda con quelle Vibhajyavāda.

Intorno III secolo a.C. alcuni gruppi di Sthaviravāda-Vibhajyavāda si stabilirono nell'India meridionale giungendo da qui nello Sri Lanka. Essi adottarono come lingua canonica il dialetto pracritico pāli e convissero accanto a comunità Mahīśāsaka che possedevano un vinaya simile. Si denominarono Theravāda che è la traduzione in pāli del sanscrito Sthaviravāda.

Anche questa comunità si divise sul suolo cingalese in due monasteri che adottarono diversi canoni: il Mahāvihāra (che promosse la scuola Theravāda) e l'Abhayagiri (che invece accolse gli insegnamenti riportati nei sutra Mahāyāna e Vajrayāna). Una terza corrente sorse intorno al IV secolo d.C. presso il monastero Jetavana.

Secondo le cronache redatte all'epoca da monaci theravāda[28], gli Abhayagirivasa e gli Jetavanyasa scomparvero nel XII secolo a causa di una controversia tra esponenti dei monasteri interessati che fu vinta dal monaco theravada Jotipāla, del monastero di Mahāvihāra. In seguito a tale sconfitta, sempre secondo le cronache theravada, le scuole che facevano capo ai monasteri Abhayagiri e Jetavanagiri persero la loro popolarità e i monaci di questi due monasteri «desistettero dal loro orgoglio e vissero in sottomissione al Mahāvihāra[29].». Secondo gli storici del buddismo, invece, tale scomparsa fu dovuta all'imposizione di una riforma del saṅgha da parte del re cingalese Parakkamabahu I, il quale avrebbe costretto tutti i monaci dell'isola ad aderire alle dottrine del Mahāvihāra (Theravāda) pena l'allontanamento dai monasteri[30]. Tale atto di riforma ecclesiastica portato avanti con l'appoggio del sovrano non impedì tuttavia che culti Mahāyāna continuasse ad essere praticato nello Sri Lanka, tanto che sono note fonti che evidenziano come la devozione alla divinità Natha, che è stata identificata con Avalokiteśvara, fiorisse nel XV secolo e che godette del pieno appoggio e protezione di diversi sovrani singalesi[31].

Tuttavia anche questo culto fu incorporato nel sistema di credenze della scuola Theravāda singalese e considerato come altre divinità popolari[32] assimilabile dalla sua tradizione[33]. È difficile stabilire con contezza la distribuzione geografica di tutte queste antiche scuole. Le iscrizioni ci dicono poco sulla presenza di quella o dell'altra scuola, perché un'iscrizione di una scuola non esclude la presenza di un'altra che non ha lasciato iscrizioni. Tuttavia sulla distribuzione geografica di queste scuole possediamo la preziosa testimonianza dei pellegrini cinesi Xuánzàng (玄奘, 602-664) e Yìjìng che viaggiarono lungo il sub-continente indiano intorno al VII secolo. Queste testimonianze ci dicono che non vi era una distribuzione omogenea, ma certamente tutte le scuole sembrano essere state presenti nel bacino del Gange dove si situavano i più importanti siti di pellegrinaggio. Anche nell'India orientale (Bengala) convivevano due grandi gruppi di scuole: Mahāsāṃghika e Sthaviravāda. Nel VII secolo la scuola Vibhajyavāda prossima se non identica al Theravāda controllava tutta la regione Tamil dell'India meridionale ed era presente anche sulla costa a Nord di Bombay. I Mahīśāsaka sono a Nord-Ovest sulle rive del Fiume Kṛṣṇa ma anche in Sri Lanka; i Dharmaguptaka sembrano essere presenti sono nell'India nord-occidentale come i Kāśyapīya; i Sarvāstivāda dominano invece tutta l'India settentrionale dal III secolo a.C. fino ad almeno il VII secolo.

Tutte le scuole buddiste oggi esistenti derivano da queste scuole antiche ma con degli specifici sviluppi dottrinali.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Da tener presente che il termine sanscrito e pāli nikāya significa “raggruppamento” e viene in questo caso tradotto come “scuola”, non va confuso con lo stesso termine utilizzato nel Sutta Piṭaka del Canone pāli per dividere i suoi cinque raggruppamenti testuali.
  2. ^ Il termine fu coniato, negli anni '80, dal professor Masatoshi Nagatomi, studioso del buddismo Mahāyāna della Harvard University, per indicare le scuole pre-Mahāyāna del buddismo indiano, evitando l'utilizzo del termine Hīnayāna che poteva risultare offensivo per i buddisti Theravāda.
  3. ^

    «Perfino tradizioni che ritengono che il canone fu redatto e chiuso durante il primo concilio di Rajaghra, poco dopo la morte del Buddha, ammettono che non tutti gli anziani buddisti furono presenti a quella assemblea e che almeno un gruppo di "cinquecento monaci" insistette nel mantenere la propria versione degli insegnamenti come essi se la ricordavano. Tutta la documentazione disponibile indica che la maggior parte dei canoni non fu mai chiusa. La scuola Theravāda orgogliosa del suo conservatorismo in questioni scritturali ancora nel V secolo d.C. dibatteva sul contenuto del proprio canone. Perfino oggi non vi è concordia completa tra i theravādin riguardo alla sezione del Khuddaka Nikāya del proprio canone. Pertanto non è sempre possibile distinguere chiaramente fra letteratura buddista canonica, postcanonica e paracanonica. Tutte le scuole ritengono che almeno alcuni testi siano stati perduti, troncati od alterati, e che un certo numero di testi posteriori o falsi siano stati incorporati nei canoni di varie scuole. Sebbene occasionalmente queste affermazioni siano state utilizzate per sostenere le posizioni di una scuola contro quella dell'altra, probabilmente esse rappresentano un'accurata descrizione dello stato generale delle cose nel tempo in cui furono costituite formalmente le prime raccolte scritturistiche. ... I canoni buddisti furono il risultato di un lungo processo di redazione e compilazione che non siamo più in grado di ricostruire.»

    E anche:

    «Sin dalle prime comunità di monaci itineranti c'è stato un ampio ambito di discordia e di dissenso. Ma alcune forze hanno contribuito al mantenimento dell'unità: il potere secolare, ad esempio, aveva una forte posta in gioco nel preservare l'armonia nel sangha, specialmente se poteva esercitarvi una qualche forma di controllo.»

    Secondo Hans W. Schumann:

    «Vale la pena di citare anche la spiegazione del bikkhu Purana, che dopo il Primo concilio osservò: «Gli anziani dell'ordine hanno ben recitato (e) canonizzato la dottrina er la disciplina monastica, io voglio tuttavia rammentarle come le ho udite e ricevute dal Sublime» (Cv11,1,11). Questa affermazione esprime sia una lode alla canonizzazione sia una certa diffidenza nei suoi confronti.»

  4. ^

    «Cospicuamente assente nel nuovo materiale è un qualsiasi riferimento significativo a, oppure indizi di, concetti e ideali Mahāyāna. Le origini – storiche, geografiche e dottrinali - del Mahāyāna sono state per lungo tempo oggetto di un'attenzione intensa e di un'accesa controversia negli studi buddisti, ed è ritenuto da molti che la regione del Gandhāra abbia ricoperto un ruolo cruciale nel suo sviluppo. Ma si direbbe che se questi documenti debbano contribuire un qualsiasi apporto al riguardo, questo debba essere negativo o al più indiretto.»

  5. ^

    «Ma Ānanda, cos'altro può chiedermi la comunità dei monaci? Io, Ānanda, ho insegnato il Dhamma evitando di creare una dottrina esoterica e una essoterica:[nota 31] il Tathāgata è ben lungi dall'essere un maestro dal "pugno chiuso" (ācariyamuṭṭhi) per quanto riguarda gli insegnamenti!»

    Nota 31:

    «Leggiamo nel commento: «Non ho mai fatto di questo Dhamma né una questione interna, privata, pensando "Non insegnerò questo Dhamma ad altri", né una questione esterna, pubblica, pensando "Insegnerò questo Dhamma ad altri"»»

    Raniero Gnoli, op. cit., p. 1140. Mario Piantelli, Op. cit., p. 108 ritiene questo insegnamento di Gautama Buddha sia in realtà una risposta dei tradizionalisti "posta in bocca" al Buddha per controbattere la pretesa mahayanista di conservare insegnamenti esoterici a loro riservati dal Buddha storico.
  6. ^

    «Gli antichi testi non erano più sufficienti a questo nuovo atteggiamento spirituale. Accanto ad essi, che non furono, s'intende, affatto rifiutati, cominciarono ad apparire, verso il I secolo a.C., nuove opere, attribuite allo Svegliato. Son queste i cosiddetti testi della Prajñā Pāramitā (Perfezione della Gnosi), la massima delle «virtù».»

    (R. Gnoli, Testi Buddisti, pp. 10-11)
  7. ^

    «A ogni modo, dato che i monaci buddisti giravano l'India in lungo e largo, i partigiani dell'anti-Abhidharma unirono infine le loro forze a quelle dei nuovi culti di salvazione buddisti e ad altre fazioni con idee analoghe, per evolversi in un esteso movimento che si definì 'Mahāyāna' (la 'Grande Via' o 'Grande Veicolo' - yāna: andare, via, viaggio, veicolo).»

    «La definizione di 'buddismo del nikāya, a[d] esempio, si può applicare correttamente alle scuole precedenti la nascita del Mahāyāna, ma non a quelle che seguirono, poiché il Mahāyāna formava un sottogruppo entro ciascuna di loro.»

    «Sembra che il Mahāyāna abbia avuto origine nelle sette mahāsāṅghika, che fin dall'inizio avevano denigrato l'arahant e sostenuto innovazioni dottrinali e insegnamenti che più tardi saranno tipici del Mahāyāna, come l'affermazione che il Buddha storico è una mera apparizione del vero buddha, in realtà oltremondano»

  8. ^ I. Vecchiotti, Storia del Buddismo indiano, Introduzione, pp. 9-10
  9. ^ Paul Harrison. Searching for the origins of the Mahāyāna: what are we looking for? In Eastern Buddhist, 1985, XXVIII, 1, 48-69
  10. ^ Sasaki Shizuka. A study of the origin Mahāyāna Buddhims- On the Hirakawa theory. Opuscolo distribuito alla conferenza dell'International Association of Buddhist Studies a Città del Messico, cit. da Paul Williams, Op.cit. p. 255.
  11. ^ Op. cit. p. 104
  12. ^ Gregory Schopen. The bones of a Buddha and the business of the monk: conservative monastic values in an early mahāyāna polemical tract. Journal of Indian Philosophy. 1999, XXVII, 279-324.
  13. ^ Richard H. Robinson e Williard L. Johnson, p. 108.
  14. ^ Le differenze sul vinaya non dovevano essere così preoccupanti in quanto come ricordano Richard H. Robinson e Williard L. Johnson «Può darsi che questo riflettesse il commento del Buddha, fatto verso la fine della sua vita (D.29) quando, a proposito delle differenze nel vinaya, disse che dopo la sua morte non avrebbero dovuto preoccupare quanto quelle del dharma», p. 72.
  15. ^ Così Richard H. Robinson e Williard L. Johnson «Monaci appartenenti a scuole diverse vivevano spesso in armonia entro i confini dello stesso monastero. [...] Se un gruppo qualsiasi avesse ritenuto le sue differenze rispetto agli altri così forti da non poter vivere insieme si sarebbe ritirato altrove e si sarebbe stabilito in un altro monastero.», p. 77.
  16. ^ B. Sujato, p. 4
  17. ^

    «Gli studiosi dell'abhidharma riuscirono a far accettare i loro testi come parte di questo corpus stabilito, sullo stesso piano del Sūtrapiṭaka e del Vinayapiṭaka, ma si sviluppò gradualmente una reazione [...] fra coloro i quali ritenevano che l'analisi dell'Abhidharma non avesse afferrato il cuore dell'insegnamento. Essi si trovarono a fronteggiare la convinzione che l'Abhidharma fosse, direttamente o no, la parola del Buddha e dunque iniziarono a comporre di propria mano nuovi sūtra, ponendo i loro argomenti contro l'abhidharma in bocca al Buddha e ai grandi arahant, e li giustificarono come testi scoperti di recente che erano stati nascosti all'epoca del Buddha. Il disaccordo sull'accettare o no questi nuovi sūtra come normativi sembra aver generato la prima incrinatura che avrebbe condotto poi alla scissione più grande.»

  18. ^ Nakamura Hajime si risolve utilizzando la definizione di buddismo dei Nikāya dello Hinayana (in: Buddhism, Schools of: Mahayana, The Encyclopedia of Religion, Mc Millan, NY 1986). Mentre Collett Cox utilizza Mainstream stream buddhist schools (in Encyclopedia of Buddhism, New York, McMillan, 2004, p. 501). Luis O. Gómez utilizza invece early sect a anche di Hinayana schools in: Buddhism: Buddhism in India, The Encyclopedia of Religion, New York, Mc Millan, 2005. Andre Bareau invece spiega che «Sarebbe più corretto dare il nome di "primo buddismo" al cosiddetto Hinayana, denotando il termine l'intera raccolta delle più antiche forme di buddismo: quelle che precedono il sorgere del Mahāyāna e quelle che condividono la loro stessa ispirazione e nutrono lo stesso ideale, ossia l'arhat.» Tradotto da: Buddhism schools of: early doctrinal school of Buddhism in The Encyclopedia of Religion, New York, Mc Millan, 2005.
  19. ^ Philippe Cornu Dizionario del Buddismo Milano, Bruno Mondadori, 2003, p. 662; R. H. Robinson e W. L. Johnson,Op. cit., pp. 180-181
  20. ^

    «Gli antichi testi non erano più sufficienti a questo nuovo atteggiamento spirituale. Accanto ad essi, che non furono, s'intende, affatto rifiutati, cominciarono ad apparire, verso il I secolo a.C., nuove opere, attribuite allo Svegliato. Son queste i cosiddetti testi della Prajñā Pāramitā (Perfezione della Gnosi), la massima delle «virtù».»

    (Raniero Gnoli. Testi Buddisti, pp. 10-11)
  21. ^ Barua, p. 4
  22. ^ « 

    «Secondo la tradizione singalese, come s'è detto, la recensione in lingua pāli sarebbe redatta su istanza del re Vaṭṭagāmaṇī nello Ālokavihāra da un'assemblea di cinquecento anziani; in effetti il testo attualmente disponibile risale alla versione riveduta a cura dei seguaci del Mahāvihāra redatta alla fine del V secolo d.C. in occasione di un concilio voluto dal re Dhātuasena, versione che, grazie al patrocinio del re Parakkamabāhu I, divenne il punto di riferimento del Theravāda dell'isola con la soppressione delle scuole rivali dai dhammaruciya e dei sagaliya, le cui recensioni del Canone non sono sopravvissute.»

  23. ^ a b Per un'ulteriore trattazione della datazione dei testi del canone pāli si rimanda a: Datazione dei Nikāya del Canone pāli
  24. ^ Così Amulyachandra Sen in Asoka's edicts, Calcutta, 1956, citato in: K. Lal Hazra, BBLEIE, p. 107
  25. ^ Cfr., a titolo esemplificativo: Richard H. Robinson e Willard L. Johnson. La religione buddista. Ubaldini editore. Roma, 1998, pp. 74-75; Luis O. Gómez. Encyclopedia of Religion vol.2. NY, Macmillan, 2005, p. 1112
  26. ^

    «Early concepts of orthodoxy were based on doctrines of confirmation or inspiration, rather than on a literal definition of “the word of Buddha” (buddhavacana). A disciple could preach, then receive the Buddha’s approval, or the authority of his words could be implicit in the Buddha’s request or inspiration. Although it may seem difficult to have maintained this fiction when the Buddha was no longer living among his followers, Buddhists did not always see things this way. Since the dharma is, after all, the Buddha’s true body, and since it exists whether or not there is a human Buddha to preach it, one could assume that the preaching of dharma would continue after his death. This justification formed part of the context for the proliferation of texts and the elasticity of concepts of canonical authenticity. It may also explain in part why the abhidharma and, later, the commentarial literature achieved such a prominent role in the development of Buddhist doctrine.»

  27. ^

    «The principle implies, of course, that whatever agrees with sutra, Vinaya, and dharma (i.e., conditioned arising) carries authority for the Buddhist. If applied to texts this could mean that any new creation that is perceived as a continuation of the tradition (secundum evangelium, as it were) could have canonical authority. Indeed, the Mahayana used it in just this way to justify the development and expansion of earlier teachings. Theravadins, on the other hand, would understand the broad definitions of the Nettippakaran: a as references to the letter of the canon, not to its spirit. Ultimately, then, the issue remained one of setting the limits of the interpretability of scriptural tradition. What then is buddhavacana? The Nettippakaran: a passage epitomizes the Buddhist tendency to use philosophical rather than historical arguments for authority.»

  28. ^ Cūlavaṁsa, cap. XLII, v. 35, cit. in Lal Hazra, p. 52
  29. ^ Nikāyasaṅgraha, p. 15, cit. in Lal Hazra, p. 52
  30. ^ Piantelli, pp. 78 e sgg., Bareau, pp. 265 e sgg., Robinson e Johnson, pp. 182 e sgg., H. Bechert, p. 286.
  31. ^ Riferisce in proposito il Lal Hazra (BSL, p. 101):

    «Il culto di Natha o Avalokiteśvara divenne molto popolare nel XV secolo in Sri Lanka durante il regno di Parākramabāhu VI di Koṭṭe (1412-1467 dC) (Paramavitana, 230). Totagamuwa ne fu il principale centro di culto. Sri Rāhula, il poeta, prete e grammatico, era un seguace dei Bodhisattva Mahāyāna. A Pepiliyana la divinità riceveva un culto quotidiano e per questa ragione erano elargite donazioni regali. È stata trovata un'iscrizione del re Bhuvanaikabāhu o Bhuvanakabāhu V del ⅩⅣ secolo dC nella provincia centrale di Sagama che cita la divinità. L'iscrizione Vegiriya del XV secolo dC tratta della dedica di certi campi per l'offerta quotidiana da rendersi a Lokesvara Nātha (ibid., 230). Un'iscrizione diffusa a Gadaladeniya nella provincia centrale (metà del ⅩⅣ secolo) cita insieme Natha e Matteyya (Maitreya) mentre anche i capitoli ottantasettesimo e centesimo del Mahāvaṃsa descrivono Natha (ibid., 230). Durante l'era delle dinastie kandiane il Natha Devale occupava un posto di primo piano a Kandy. Nella festività annuale "ora condotta in relazione al Tempio della Reliquia del Dente, procede accanto alla Reliquia del Dente" (ibid., 230). A Natha Devale si teneva un'importante cerimonia che si celebrava in occasione dell'incoronazione dei re singalesi. "Questo era il rito della scelta del nome e dell'investitura della spada reale. Siccome la maggior parte delle istituzioni kandiane manteneva le antiche tradizioni ed era un articolo di fede dei monaci dell'Abhayagiri (X secolo) che ogni re di Ceylon (Sri Lanka) fosse un Bodhisattva e che l'epiteto di "Bodhisattvavatara" (incarnazione di Bodhisattva) fosse riferito ai re dell'era tarda, è probabile che la cerimonia stessa per i capi dei Bodhisattva Avalokitesvara fosse una tradizione antica" (ibid., 231).»

  32. ^ «Natha was fast being incorporated into the Theravada ethos and was treated very much like the other major gods in the manner discussed chapter 2.»Gananath Obeyesekere. The cult of the goddess Pattini. University of Chicago Press, 1984, p. 290. «Moreover, the gods as bodhisattvas are made to fit in with the larger tradition of Theravada Buddhism.» Gananath Obeyesekere. Op. cit. p. 60.
  33. ^ Gananath Obeyesekere. Op. cit. p. 60. Cfr. anche A.G.S. Kariyawasam. Buddhist Ceremonies and Rituals of Sri Lanka. Access to insight edition, 1996

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

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  • André Bareau, Henri-Charles Puech, Il Buddismo a Ceylon e nel Sud-Est asiatico, in Storia del Buddismo, Bari, Laterza, 1984.
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  • Heinz Bechert, Il Buddismo Srilanka e nel Sud-Est asiatico, in Buddismo, a cura di Giovanni Filoramo, Bari, Laterza, 2001, ISBN 978-88-420-8363-4.
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