Allghoi Khorhoi

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Una raffigurazione dell'Allghoi Khorhoi secondo il pittore belga Pieter Dirkx.

L'Allghoi Khorhoi è una creatura leggendaria che vivrebbe nel deserto del Gobi: è considerato un animale di interesse criptozoologico, i cui avvistamenti e resoconti sono oggetto di disputa.

Viene descritto come un verme rosso brillante con corpo largo di lunghezza compresa tra 0,6 e 1,5 metri.[1][2]

In generale, gli scienziati tendono a escludere la possibilità che un tale criptide esista, sia perché la sua riproduzione sarebbe difficile, sia perché il clima inclemente e la scarsità di cibo renderebbero improbabile la sua sopravvivenza.[3]

In Mongolia l'Allghoi Khorhoi è al centro di numerose leggende, come la sua capacità di sputare acido solforico, che ingiallisce e corrode tutto ciò che tocca, uccidendo anche gli esseri umani,[4] e si ritiene che possa uccidere anche a distanza attraverso scariche elettriche.

Sebbene gli abitanti del luogo ne parlino da molto tempo, l'Occidente ne è venuto a conoscenza per la prima volta solo nel 1926 attraverso il libro del professor Roy Chapman Andrews On the Trail of Ancient Man. Il paleontologo americano non era convinto dei racconti sul mostro che aveva sentito a una riunione di ufficiali mongoli: «Nessuno dei presenti aveva mai visto la creatura, ma tutti credevano fermamente nella sua esistenza e la descrivevano minuziosamente».[1][2]

Etimologia[modifica | modifica wikitesto]

Il nome, in lingua mongola, è олгой-хорхой (Olgoi-Khorkhoi), dove Olgoi significa "intestino crasso" e Khorkhoi significa "verme". Esistono diverse varianti del nome: Allghoi Khorkhoi, Allerghoi Horhai e Olgoj Chorchoj.[1] Il nome fa riferimento all'aspetto dell'Allghoi Khorhoi che si dice assomigli all'intestino di una mucca.

Aspetto e caratteristiche attribuite alla creatura[modifica | modifica wikitesto]

L'Allghoi Khorhoi somiglierebbe all'intestino di una mucca: si dice che sia di colore rosso e presenti, talora, punti o macchie più scure. A volte lo si descrive con sporgenze a punta su ambo le estremità. Queste creature sarebbero lunghe dai 60 ai 150 centimetri e avrebbero un corpo spesso.[1]

L'esploratore ceco Ivan Mackerle lo ha così descritto basandosi su altri resoconti: «Verme a forma di salsiccia lungo oltre mezzo metro e spesso quanto un braccio umano, somigliante all'intestino di una mucca. La coda è corta come fosse stata tagliata, non acuminata. È difficile distinguere la testa dalla coda in quanto non ha occhi, narici o bocca visibili. È di colore rosso scuro, come quello del sangue o di un salame...».[1]

L'Allghoi Khorhoi abiterebbe nella parte meridionale del deserto del Gobi.[1] I mongoli sostengono che il mostro possa uccidere a distanza, o spruzzando una sostanza acida o usando una scarica elettrica[1][4] e che viva sotto terra, in ibernazione per la maggior parte dell'anno, tranne quando diventa attivo nei mesi di giugno e luglio. Emergerebbe in superficie specialmente quando piove e la terra è bagnata.[1]

I mongoli sostengono che anche il solo tocco di una qualunque parte della creatura provochi la morte istantanea. Il suo veleno corroderebbe i metalli e la tradizione vuole che prediliga il colore giallo. Si dice che preferisca le piante parassite del luogo come il Goyo.[1]

Ipotesi e ricerche criptozoologiche[modifica | modifica wikitesto]

Un'ipotesi sull'origine dell'Allghoi Khorhoi è che sia una sorta di anguilla elettrica terrestre, una forma di vita adattata risalente a migliaia di anni fa, quando il deserto del Gobi era un mare interno. Le anguille elettriche effettivamente risalgono in superficie ogni dieci minuti circa per respirare: è quindi possibile che un animale di questa specie si sia adattato a vivere sulla terra una volta che l'acqua si è prosciugata. Ad ogni modo, però, nessuna specie conosciuta di anguilla elettrica emette del veleno. Un'altra ipotesi sostiene che l'Allghoi khorhoi possa essere un serpente che sputa veleno e che la tradizione ha portato all'esagerazione.[5]

Lo zoologo britannico Karl Shuker ha avanzato l'ipotesi che l'Allghoi Khorhoi possa essere una specie di lucertola senza zampe della famiglia delle anfisbene.[6]

Karl Shuker ha riportato la creatura all'attenzione generale nel suo libro del 1996 The Unexplained,[7] seguito l'anno dopo dal saggio Fortean Studies, ristampato in The Beasts That Hide From Man, in cui ha ipotizzato che l'Allghoi Khorhoi sia un'anfisbena.[6] Loren Coleman ha inserito questa creatura in Cryptozoology A to Z.[8]

Nel 2005 una spedizione congiunta del Centre for Fortean Zoology e di E-Mongol indagò su nuovi resoconti e avvistamenti della creatura. Non trovarono prove della sua esistenza, ma non scartarono la possibilità che l'animale possa vivere nel profondo deserto del Gobi, lungo la zona proibita al confine fra Cina e Mongolia.[9]

Nello stesso anno il giornalista-zoologo Richard Freeman organizzò una spedizione per dare la caccia all'Allghoi Khorhoi, tornando a mani vuote. La conclusione di Freeman fu che i racconti non corrispondevano a verità e che gli avvistamenti erano probabilmente relativi a rettili non velenosi che sono soliti scavare delle tane.[2]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e f g h i The Mongolian Death Worm, su virtuescience.com. URL consultato il 2009 (archiviato dall'url originale il 3 dicembre 2013).
  2. ^ a b c The Hunt for the Mongolian Death Worm Begins Anew, su io9.gizmodo.com. URL consultato il 2009.
  3. ^ Sjögren, Bengt, Settern, Berömda vidunder, 1980, ISBN 91-7586-023-6.
  4. ^ a b Unexplained Mysteries, Paranormal Phenomena and the Worlds Greatest Unexplained Mysteries, su unexplained-mysteries.com.
  5. ^ name=virtuescience
  6. ^ a b Karl Shuker, The Beasts That Hide From Man, NY: Paraview, 2003, ISBN 1-931044-64-3.
  7. ^ Karl Shuker, The Unexplained, London: Carlton Books, 1996, ISBN 1-85868-186-3.
  8. ^ Jerome Clark, Cryptozoology A to Z: The Encyclopedia of Loch Monsters, Sasquatch, Chupacabras, and Other Authentic Mysteries of Nature, NY: Simon and Schuster, 1999, ISBN 0-684-85602-6.
  9. ^ Rory Storm, Monster Hunt: The Guide to Cryptozoology, Sterling Publishing Company, Inc., 2008, p. 152, ISBN 978-1-4027-6314-4.

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