Łapanka

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Łapanka fu il termine polacco usato per definire la pratica secondo cui le SS, la Wehrmacht e la Gestapo radunarono i civili da arrestare scegliendo a caso in strada nelle città polacche durante la seconda guerra mondiale.[1]

Coloro che furono catturati in una łapanka vennero presi in ostaggio, arrestati, mandati nei campi di lavoro o nei campi di concentramento o giustiziati sommariamente: in generale furono inviati ai lavori forzati nella Germania nazista, ma alcuni furono presi come ostaggi o giustiziati nelle azioni di rappresaglia, imprigionati e inviati nei campi di concentramento o giustiziati nelle numerose operazioni di pulizia etnica.[2]

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Rastrellamento in strada a Varsavia nel 1941.
Vittime del rastrellamento, Varsavia, 1942.
Retata del Sicherheitsdienst.

Il termine łapanka deriva dal verbo polacco łapać ("catturare"), dal significato sardonico dovuto all'uso della parola łapanka per il gioco dei bambini noto come Ce l'hai.

«I rastrellamenti (łapanka, il corrispondente nome polacco) divennero una caratteristica essenziale della vita a Varsavia e acuirono la ferocia di entrambe le parti. [...] Intere strade furono sigillate dalla polizia e dai soldati, la maggior parte degli uomini e delle donne intrappolati furono portati nei campi di concentramento o sfruttati come schiavi nel Reich. Tram e treni furono carichi di persone, indipendentemente dai documenti di lavoro, furono poi ammassati come il bestiame sui camion, molti per non vedere mai più la propria casa o famiglia. Memoria di Ron Jeffery, 1943[1]»

La maggior parte delle persone arrestate furono trasportate nei campi di lavoro (Arbeitslager) o nei campi di concentramento, incluso Auschwitz. Molte donne polacche furono selezionate come schiave sessuali, mentre molti bambini polacchi furono rapiti per essere adottati dalle famiglie tedesche; alcuni di loro, senza documenti adeguati o con documenti di contrabbando, furono trasportati nei campi di concentramento e di sterminio, mentre altri, in particolare gli ebrei nascosti e i polacchi ricercati per averli ospitati, furono uccisi sul posto.

Il termine fu utilizzato anche per descrivere la tattica del blocco delle strade e la perquisizione sistematica degli edifici. Per i giovani tra i 20 e i 30 anni, l'unica difesa affidabile contro l'essere portati via dai nazisti fu il possesso di una carta d'identità (Ausweis) attestante che il proprietario stesso fosse alle dipendenze di una società nazista-tedesca o di un'agenzia governativa locale: pertanto, dopo il controllo dei documenti, molti di coloro che furono prelevati a Varsavia nella notte del 5 dicembre 1940 furono successivamente rilasciati.[3]

Secondo le stime, nella sola Varsavia, tra il 1942 e il 1944, le łapanka naziste contarono almeno 400 vittime al giorno, con numeri che in alcuni casi raggiunsero anche diverse migliaia. Il 19 settembre 1942, quasi 3.000 persone, tra uomini e donne furono catturati nei massicci rastrellamenti in tutta Varsavia nei due giorni precedenti, e trasportati su treni ai lavori forzati nella Germania nazista.[2]

Territori presi di mira[modifica | modifica wikitesto]

Retata nazista a Marsiglia, in Francia, gennaio 1943.

Questi rastrellamenti ci furono anche in altri paesi occupati, in particolare nel nord della Francia, sebbene non così estesi come in Polonia. Il termine francese per questa pratica fu rafle, applicato principalmente al rastrellamento degli ebrei francesi. In Danimarca e nei Paesi Bassi, una retata nazista fu identificata come razzia. I sovietici usarono tattiche simili per radunare i polacchi della classe media nella Polonia che occuparono dopo l'invasione del 1939. Uomini, donne e bambini furono trasportati nei campi di lavoro nelle più remote regioni dell'Unione Sovietica.[4]

In termini storici, il rastrellamento inteso come razzia fu utilizzato nella Francia coloniale per descrivere le incursioni musulmane, in particolare per saccheggiare e catturare gli schiavi dall'Africa occidentale e centrale, pratica nota anche come rezzou tra i Tuareg. La parola fu adottata da ġaziya del volgare arabo algerino e in seguito divenne un termine figurativo per qualsiasi atto di saccheggio, con la sua forma verbale razzier.

Resistenza polacca[modifica | modifica wikitesto]

Il rastrellamento di Bydgoszcz, 8 settembre 1939.
L'annuncio di Hans Frank sui lavori forzati, 1940
Retata di Bydgoszcz, 8 settembre 1939: un civile polacco sorvegliato da un soldato della Luftwaffe.

Auschwitz fu la destinazione principale per i polacchi provenienti dal ghetto.[5] Nel 1940, per entrare nel campo di Auschwitz, Witold Pilecki, agente segreto dell'Armia Krajova, sfruttò un rastrellamento organizzato in quel periodo per i prigionieri polacchi,[5] uscì in strada deliberatamente durante un rastrellamento a Varsavia il 19 settembre 1940 e fu arrestato dai nazisti insieme ad altri civili.

Ad Auschwitz raccolse informazioni di suo pugno sul campo e organizzò la resistenza dei detenuti nel campo[6] nell'Unione dell'organizzazione militare (in polacco: Związek Organizacji Wojskowej, ZOW) e nel novembre 1940 inviò il suo primo rapporto sul campo e sul genocidio al quartier generale a Varsavia.[7][8]

Come reazione ai rastrellamenti intesi come atti di terrorismo nazista, la resistenza polacca effettuò alcuni attacchi contro le forze naziste e preparò un elenco di leader nazisti da eliminare per i loro crimini contro i civili.[9] Il personale nazista responsabile dell'organizzazione dei rastrellamenti, come i membri degli uffici locali, le SS, l'SD e la polizia nazista, furono condannati a morte dal tribunale clandestino della resistenza polacca per i crimini contro i cittadini polacchi durante l'occupazione della Polonia. A causa della particolare brutalità della polizia, l'AK uccise 361 gendarmi nel 1943 e 584 nel 1944. Nella sola Varsavia, furono uccisi dieci nazisti ogni giorno. Dall'agosto al dicembre 1942, l'AK lanciò 87 attacchi sia contro l'amministrazione nazista che contro i membri dell'apparato del terrore. Nel 1943 questo numero aumentò radicalmente: l'AK effettuò 514 attacchi durante i primi quattro mesi.[10] Nell'operazione clandestina nota come Operazione Główki, le unità combattenti polacche del Kedyw eliminarono gli organizzatori del rastrellamento:

  1. Kurt Hoffman, capo dell'ufficio di collocamento a Varsavia, responsabile dell'organizzazione dei rastrellamenti dei polacchi. Ucciso dall'AK il 9 aprile 1943.[11]
  2. Hugo Dietz, assistente di Hoffmann. Ucciso il 13 aprile 1943.
  3. Fritz Geist, capo del dipartimento dell'ufficio di collocamento. Ucciso il 10 maggio 1943.
  4. Willi Lübbert, lavorò nell'ufficio di collocamento e organizzò i rastrellamenti dei polacchi da inviare nei campi di lavoro nazisti. Ucciso il 1º luglio 1944.
  5. Eugen Bollodino, lavorò nell'ufficio di collocamento e organizzò i rastrellamenti dei polacchi da inviare nei campi di lavoro nazisti. Ucciso dall'unità da combattimento DB-17 di pattuglia l'8 giugno 1944.

Nella cultura di massa[modifica | modifica wikitesto]

La critica alla pratica nazista dei rastrellamenti fu il tema della canzone più popolare nella Varsavia occupata, Siekiera, motyka.[12] Nel 1943 fu pubblicata dalle stampe clandestine della resistenza polacca nel libro Posłuchajcie ludzie..., una delle pubblicazioni bibuła della Komisja Propagandy dell'Armia Krajowa. La canzone fu anche riprodotta in diversi libri e dischi dopo la fine dell'occupazione nazista. Nel 1946 la canzone fu inclusa nel primo film polacco girato dopo la guerra, Zakazane piosenki, diretto da Leonard Buczkowski.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b Jeffery.
  2. ^ a b Bartoszewski, pp. 303-304.
  3. ^ Bartoszewski, p. 167.
  4. ^ Norman Davies, Europe: A History, Oxford University Press, 1996, pp. 1002-3, ISBN 0198201710.
  5. ^ a b Timothy Snyder, Bloodlands: Europe Between Hitler and Stalin, New York, Basic Books, 2010, p. 281, ISBN 978-0-465-00239-9.
  6. ^ Jozef Garlinski, Fighting Auschwitz: the Resistance Movement in the Concentration Camp, Fawcett, 1975, ISBN 0-449-22599-2.; Jozef Garlinski, Fighting Auschwitz: the Resistance Movement in the Concentration Camp, Time Life Education, 1993, ISBN 0-8094-8925-2.
  7. ^ Adam Cyra, Ochotnik do Auschwitz - Witold Pilecki 1901-1948 Volunteer for Auschwitz, Oświęcim, 2000, ISBN 83-912000-3-5.
  8. ^ Hershel Edelheit, History of the Holocaust: A Handbook and Dictionary, Westview Press, 1994, p. 413, ISBN 0-8133-2240-5. Ospitato su Google Print.
  9. ^ Witkowski.
  10. ^ Eugeniusz Duraczyński, Wojna I Okupacja, Wiedza Powszechna, 1974.
  11. ^ Bartoszewski.
  12. ^ Stanisław Salmonowicz, Polskie Państwo Podziemne, Warszawa, Wydawnictwa Szkolne i Pedagogiczne, 1994, p. 255, ISBN 83-02-05500-X.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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