Wikipedia:Scherzi e STUBidaggini/Ars honeste petandi

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La Ars honeste petandi in societate (“L’arte di scoreggiare onorevolmente in società”) è un trattato comico-didascalico in prosa con brevi inserti in versi generalmente attribuito all’umanista tedesco Hardwin von Grätz, noto anche come Ortuinus Gratius o, semplicemente, Ortwin (Hardouin de Graes nei paesi di lingua francese, 1475 –1542)

Attestazione indiretta[modifica wikitesto]

Il libro è menzionato insieme ad altri da François Rabelais nel romanzo Gargantua e Pantagruel, dove si legge che Pantagruel, compiuti gli studi, volle visitare Parigi (lib. II, cap. 7). Qui vide e apprezzò grandemente la biblioteca di San Vittore. L’autore fornisce un elenco di 135 volumi in essa contenuti, tra i quali, al dodicesimo posto, figura anche il trattato in oggetto, indicato come “Ars honeste petandi in societate, par M. Ortuinum”. L’elenco di Rabelais è evidentemente parodistico e molti dei titoli presentano gustosi riferimenti scatologici, come il De modo cacandi (“Sul modo di cacare”) di un tal Tartaretus; il De Cagotis tollendis (“Sull’eliminazione dei cagotti”), attribuito a un Giustiniano; l’anonimo Cacatorium medicorum (“Cesso dei medici”); altre opere sono invece parodie culinarie, come il De modo faciendi boudinos (“Sul modo di fare i budini”) di un inidentificabile Major o il De optimitate triparum (“Sull’eccellenza delle trippe”), attribuito addirittura al venerabile Beda. Simili dati hanno da sempre indirizzato la critica a giudicare l’intera sezione come frutto della fantasia di Rabelais.

Scoperte recenti[modifica wikitesto]

Nel 2003, tuttavia, lo studio approfondito di un codice pergamenaceo contenente un antifonario, conservato presso la Biblioteca Agnesiana di Vercelli (ms. Agnes. lat. XVII) ha rivelato, alle carte 36 r-42 v., precedentemente rimaste inesplorate perché a lungo incollate a causa dell’umidità, un testo che inizia con la dicitura Cur et quomodo in societate honeste petandum sit (“Perché e in che modo si debba scoreggiare onorevolmente in società”), che ha evidente funzione di titolo, espresso con il ricorso classicheggiante alla formula dell’interrogativa indiretta: la possibilità di riferirlo al medesimo testo citato da Rabelais è evidente. Significativo potrebbe essere anche il possibile legame del manoscritto con la cultura francese del sec. XIII, in quanto lo Studium (ossia l’Università) di Vercelli, con il conseguente e necessario afflusso di libri nel capoluogo eusebiano, aprì nel 1228 proprio in seguito alla temporanea chiusura di quello parigino, con il quale Vercelli tentò di mettersi in concorrenza grazie all’insegnamento della teologia.

Il testo, attualmente allo studio di un gruppo di ricercatori indipendenti facenti capo all’Università di Mashkloboto, non ha ancora ricevuto edizione critica, ma una prima trascrizione è stata resa disponibile per un breve periodo attraverso internet. Gli spazi di libera discussione del web intorno all’opera sono stati però rapidamente censurati in seguito, pare, alle pressioni del Vaticano sugli ambienti accademici internazionali e sulla stessa Agnesiana di Vercelli, in quanto l’argomento del trattato sarebbe stato giudicato “disdicevole” da più di un alto prelato. [1]

Al di là delle polemiche, cui i media hanno dato in realtà scarso rilievo, una rapida analisi del contenuto spiega l’ostilità degli ambienti ecclesiastici: il testo latino espone infatti in dodici capitoli altrettanti casi in cui un uomo di mondo, sia laico che religioso, può o deve emettere flatulenze non solo conservando la propria dignità, ma addirittura vedendola accresciuta da quella che l’autore del trattatello chiama appunto l’”arte del peto”. Al cap. IV, in particolare, si ha la descrizione di un conclave in cui l’elezione del futuro papa è ritardata dalle continue e putride emissioni di uno dei porporati. Costui, con melliflua abilità, incolpa del lezzo gli altri cardinali e trova anche il tempo di pronunciare una reprimenda sulla corruzione dei tempi in contrapposizione alla virtù dei Santi che “mai – egli dice – piegarono il loro culo a simili vergogne” (numquam in tantam impudicitiam culum suum inclinarunt, cap. iii al f. 39v.)

Attribuzione e datazione[modifica wikitesto]

Un trattato simile a quello menzionato da Rabelais, quindi, pare essere esistito davvero e ciò getta nuova luce anche sul cosiddetto “catalogo della biblioteca di San Vittore”, che potrebbe a questo punto rappresentare una lista di autentici titoli parodistici tardo-medievali e rinascimentali effettivamente circolanti in Europa all’epoca del grande scrittore francese. L’intervento di Rabelais, in tal caso, potrebbe essersi limitato all’invenzione di alcuni di essi se non alla sola attribuzione a personaggi più o meno illustri. Difficile, in ogni caso, è accettare l’attribuzione del testo oggi in nostro possesso a Ortuinus Gratius, che Rabelais indica tra l’altro incongruamente con una forma accusativale (“M. Ortuinum”) e che parrebbe essere troppo tardo rispetto alla struttura dell’operetta, che ha impostazione decisamente medievale e che, stando ad uno dei ricercatori che per primo ebbe modo di studiarlo. [2], presenta un impasto linguistico attribuibile al sec. XIII. Il riferimento al conclave, istituito ufficialmente per la prima volta nel 1271, potrebbe non costituire un terminus post quem in quanto il primo papa ad essere eletto da un’assemblea di prelati chiusi in un luogo segreto (cum clave) fu in realtà Gelasio II nel 1118. si rafforzerebbe in tal caso la possibilità che il testo sia stato portato a Vercelli da uno degli studenti che furono costretti a lasciare lo Studio parigino a causa della forzata chiusura.

Curiosità[modifica wikitesto]

Il trattato è menzionato anche da Umberto Eco nel romanzo Baudolino dove si immagina che l’opera sia stata in realtà creata ex novo dal protagonista.

Voce inserita in data 01.04.2009

  1. ^ Cfr. Odifreddi, Piergiorgio. “La Chiesa fa troppe ingerenze”, La Repubblica, 29-02-2008, p. 9.
  2. ^ Chaparat Jean-Michel, La langue du traité latin décuvert dans le ms. agnes. XVII, Bull. Stud. Peu Intér. 2 (2005), p. 35