Utente:Simone.httas/Se non hai niente da nascondere, non hai nulla da temere

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Se non hai niente da nascondere, non hai nulla da temere è un'argomentazione che sostiene che i programmi di sorveglianza governo non minacciano la privacy se non scoprono attività illegali, e che se scoprono attività illegali la persona che le commette non ha il diritto di mantenerle private.

Chi supporta questo argomento può dichiarare "Non ho niente da nascondere" e quindi non è contrario alla sorveglianza del governo.[1] Chi usa questo argomento può affermare che una persona non dovrebbe preoccuparsi del governo o della sorveglianza se non ha "nulla da nascondere".[2]

Il motto "se non hai niente da nascondere, non hai nulla da temere" è stato utilizzato nel programma sulletelevisioni a circuito chiuso nel Regno Unito. [3]

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Nella sua opera investigativa del 1919, The Brass Check, Upton Sinclair scrisse (riguardo all'attentato di Lexington Avenue):

(EN)

«From first to last I had nothing to hide, and for that reason I had nothing to fear, and this was as well known to the newspapers as it was to the police who were probing the explosion.»

(IT)

«Dall'inizio alla fine non avevo avuto nulla da nascondere, e per quella ragione nulla da temere, e questo era risaputo anche dai giornali, dato che era la polizia che indagava l'esplosione.»

Prevalenza[modifica | modifica wikitesto]

Questo argomento è usato spessissimo nelle discussioni sulla privacy . Geoffrey Stone, uno studioso legale, ha affermato che l'uso della giustificazione è "fin troppo comune".[3] Bruce Schneier, esperto di sicurezza dei dati e crittografo, lo ha descritto come "la risposta più comune contro i fautori della privacy". Colin J. Bennett, autore di The Privacy Advocates, ha affermato che spesso un paladino della privacy "deve costantemente confutare" l'argomento.[4] Bennett ha spiegato che la maggior parte delle persone "svolge la propria vita quotidiana credendo che le azioni di sorveglianza non siano diretti verso di loro, ma verso i malintesi e i trasgressori" e che "l'orientamento dominante è che i meccanismi di sorveglianza sono diretti verso gli altri" nonostante "il monitoraggio del comportamento individuale sia diventato routinario e quotidiano".[5]

Effetto sulla protezione della privacy[modifica | modifica wikitesto]

Viseu et al. hanno affermato che l'argomento "è ben documentato nella letteratura sulla privacy come un ostacolo allo sviluppo concreto di strategie di protezione della privacy, e questo è anche causato dalla natura ambigua e simbolica dello stesso termine "privacy".[6] Hanno spiegato che la privacy è un concetto astratto e le persone si preoccupano solo quando la propria privacy è scomparsa, e hanno paragonato la questione con le persone che, sapendo che l'esaurimento dell'ozono e il riscaldamento globale sono sviluppi negativi, ma "i guadagni immediati dall'uso dell'auto o spruzzare la lacca superano le perdite spesso invisibili dell'inquinamento dell'ambiente".

Etnografia[modifica | modifica wikitesto]

Uno studio etnografico condotto da Ana Viseu, Andrew Clement e Jane Aspinal sul rapporto tra servizi online e vita quotidiana è stato titolato "Situating Privacy Online: Complex Perceptions and Everyday Practices" sulla rivista Information, Communication & Society nel 2004. Lo studio ha rilevato che, per dirla come Kirsty Best, autrice di "Living in the control society: Surveillance, users and digital screen technologies", "i lavoratori a reddito da medio a medio-alto, impiegati a tempo pieno, hanno espresso convinzioni simili sul fatto di non essere presi di mira per la sorveglianza" rispetto ad altri intervistati che non hanno mostrato preoccupazione e che "in questi casi, gli intervistati hanno espresso l'opinione che non stavano facendo nulla di male o che non avevano nulla da nascondere".[7] Del campione in studio uno ha riferito di usare la tecnologia per migliorare la privacy,[8] e Viseu et al. hanno commentato: "Una delle caratteristiche più chiare delle percezioni e delle pratiche sulla privacy dei nostri soggetti è stata la loro passività verso il problema".[9] Viseu et al. hanno detto che la passività ha avuto origine dall'argomentazione "niente da nascondere".[6]

Durante uno studio qualitativo condotto per il governo del Regno Unito circa nel 2003, [10] Dr. Perri 6[11] ha presentato quattro prospettive sui rischi per la privacy con una mappatura di otto frame per mostrare le distribuzioni della sensibilità sulla privacy. Secondo lo studio, i lavoratori autonomi inizialmente hanno usato l'argomento "niente da nascondere" prima di passare a un argomento in cui percepivano la sorveglianza come un fastidio anziché una minaccia.[12]


  1. ^ Mordini, p. 252.
  2. ^ Solove, Nothing to Hide: The False Tradeoff Between Privacy and Security, p. 1. "If you've got nothing to hide, you shouldn't worry about government surveillance."
  3. ^ a b Solove, Daniel J. "Why Privacy Matters Even if You Have 'Nothing to Hide'." The Chronicle of Higher Education. May 15, 2011. Retrieved on June 25, 2013. "The nothing-to-hide argument pervades discussions about privacy. The data security expert Bruce Schneier calls it the "most common retort against privacy advocates." The legal scholar Geoffrey Stone refers to it as an "all-too-common refrain." In its most compelling form, it is an argument that the privacy interest is generally minimal, thus making the contest with security concerns a foreordained victory for security."
  4. ^ Bennett, p. 97.
  5. ^ Bennett, p. 97-98.
  6. ^ a b Viseu, et al. p. 103.
  7. ^ Best, p. 12.
  8. ^ Viseu, et al. p. 102-103.
  9. ^ Viseu, et al. p. 102.
  10. ^ OECD, "Appendix II: Can We Be Persuaded to Become Pet-Lovers?" p. 323.
  11. ^ OECD, "Appendix II: Can We Be Persuaded to Become Pet-Lovers?" p. 305
  12. ^ OECD, "Appendix II: Can We Be Persuaded to Become Pet-Lovers?" p. 326. "The self-employed males, by contrast, who operated as brokers in networks; might sometimes begin with the "nothing to hide" frame, in which they would claim that no one with anything to hide need be concerned about privacy at all, but quickly shifted to the "inconvenience" frame, in which data collection and sharing was seen more as a nuisance than as a threat."

[[Categoria:Privacy]]