Assedio di Famagosta: differenze tra le versioni

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* Gigi Monello, ''Accadde a Famagosta, l'assedio turco ad una fortezza veneziana ed il suo sconvolgente finale'', Scepsi & Mattana Editori, Cagliari, 2006.
* Gigi Monello, ''Accadde a Famagosta, l'assedio turco ad una fortezza veneziana ed il suo sconvolgente finale'', Scepsi & Mattana Editori, Cagliari, 2006.

Versione delle 20:35, 27 mar 2016

Battaglia di Famagosta
parte della guerra di Cipro
Mappa di Famagosta a fine Cinquecento
Data22 agosto 1570 - 4 agosto 1571
LuogoFamagosta
EsitoVittoria ottomana
Schieramenti
Comandanti
Effettivi
7.000 uomini200.000 uomini, 150 navi
Perdite
6.000 uomini80.000 uomini
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L'assedio della città di Famagosta da parte degli Ottomani ai danni della Repubblica di Venezia fu la battaglia decisiva che permise ai Turchi di impossessarsi dell'intera isola di Cipro; l'assedio durò quasi un anno, dal 22 agosto 1570 al 4 agosto 1571.

L'assedio

Il 22 agosto 1570 la città di Famagosta venne assediata dall'imponente flotta turca ottomana capitanata da Lala Kara Mustafa Pascià. I veneziani erano guidati da Marcantonio Bragadin e da Astorre Baglioni.

Appena cominciato l'assedio, verso metà ottobre, il comandante ottomano Lala Mustafà invitò gentilmente il governatore della città Bragadin ad arrendersi, donandogli anche un carniere di pernici, ma questi rifiutò sia l'"invito" sia il carniere. Vedendosi rifiutato il proprio invito, il generale turco s'irritò passando quindi a modi "meno cortesi": inviò l'ordine di resa immediata insieme con la testa mozzata e in fase di putrefazione di Niccolò Dandolo, governatore di Nicosia. Questo non spaventò né Bragadin né Baglioni, i quali, dopo aver fatto seppellire con le dovute onoranze funebri la testa del malcapitato, decisero di non arrendersi.

Famagosta aveva un ottimo sistema difensivo: si affacciava al mare ed era protetta da un muro di cinta dotato di quattro bastioni e a sua volta la cinta muraria era protetta da un ampio e profondo fossato. Questo però non poteva resistere all'enorme esercito ottomano, e per giunta in continuo incremento d'unità, che stringeva sotto assedio la piccola città veneziana. A peggiorare la situazione dei veneziani s'aggiunse pure la scarsità di derrate alimentari in giacenza.

I primi attacchi vennero condotti dai giannizzeri, che però furono respinti dalla cavalleria veneziana. Vedendo la futilità di questo tipo d'attacco, Lala Mustafà decise di cambiare tattica e di far uso dell'artiglieria: con 25 cannoni e 4 basilischi cominciò a bombardare la città.

Data la loro colossale inferiorità numerica, gli assediati, dal canto loro, non potevano fare altro che resistere con la speranza che da un momento all'altro giungessero in loro aiuto rinforzi da Venezia. Nel frattempo Bragadin e il comandante delle truppe Astorre Baglioni seppero sfruttare al meglio le poche truppe di cui disponevano e il sistema fortificato sul quale si appoggiavano: riuscirono a resistere per tutto l'inverno, in grazia principalmente della loro controbatteria e delle incursioni a sorpresa che effettuavano al di fuori delle mura nell'accampamento degli assedianti.

Tutto questo non fece altro che irritare maggiormente il generale turco, il quale temeva un'altra rovinosa sconfitta come quella subita durante l'Assedio di Malta avvenuto cinque anni prima; un altro insuccesso militare avrebbe compromesso la sua carriera e forse anche la sua stessa vita. Quindi chiese ulteriori rinforzi e dopo due mesi riuscì a incrementare il proprio esercito assediante raggiungendo le 250.000 unità.

Il 26 gennaio 1571 giunsero a Famagosta 16 galee veneziane guidate da Marcantonio Querini, non per offrire supporto militare contro il nemico, bensì solo per rifornimento di viveri e di nuove truppe, circa 1.600 uomini: tra questi rimase a combattere anche il figlio di Gianantonio Querini, Marcantonio. Un successivo rifornimento di 800 fanti arrivò in marzo.

Agli inizi di aprile l'esercito turco riprese l'attività bellica (per tutto l'inverno non vi furono attacchi militari, ma venne solamente mantenuto l'assedio). Nel frattempo gli ottomani avevano posizionato nuova artiglieria e scavato nuove trincee, in tutto 85 cannoni più alcuni grossi basilischi di bronzo. Riprese quindi anche il bombardamento sulla città, la quale ormai era ridotta a un cumulo di macerie.

Verso fine luglio 1571 Mustafa Pascià, che aveva da poco perso il figlio in battaglia, ordinò il più pesante bombardamento dall'inizio dell'assedio: la torre nord venne in gran parte demolita. Ormai le mura non erano più in grado di resistere e i soldati, in gran parte feriti, erano rimasti appena settecento, incapaci di gestire la difesa.

Il Baglioni e il colonnello Martinengo optarono per la resa. Marcantonio Bragadin prevedeva il tragico destino della città, e decise quindi di sottoscrivere la resa.

Il 1º agosto 1571[1][2] Famagosta si arrese. I capi veneziani ottennero da Mustafa Pascià la promessa di aver salva la vita a loro e a tutti i cittadini della città ancora in vita, considerando anche l'eventualità che essi decidessero di rimpatriare.

Ma Mustafa, venendo contro alle sue promesse, fece uccidere Baglioni appena firmata la resa. Il colonnello Martinengo, catturato, fu impiccato tre volte. La città venne lasciata in balia delle milizie ottomane, che seminarono la strage.

Marcantonio Bragadin venne catturato e gli furono mozzate ambedue le orecchie, quindi rinchiuso per dodici giorni in una minuscola gabbia lasciata al sole, con pochissima acqua e cibo, sottoposto allo scherno dei soldati vincitori. Il 17 agosto 1571 venne condotto, dopo altre innumerevoli sevizie e umiliazioni, nella piazza principale e scuoiato vivo.[3] La sua pelle, ancora oggi conservata a Venezia, venne issata sulla nave ammiraglia e portata a Istanbul, da dove venne rocambolescamente trafugata in seguito: custodita nell'Arsenale della città in una botte per vivande, fu presa da uno schiavo veneziano, Gerolamo Polidori, che corrompendo guardiani e aiutato dalla fortuna, riuscì a trasportarla via mare in patria. Sepolta nel 1580 nella chiesa di San Gregorio fu trasferita nel 1596 in quella dei Santi Giovanni e Paolo, dove si trova attualmente.[4][5]

L'eroica resistenza di Famagosta servì in ogni caso a far guadagnare tempo alle forze cristiane, tenendo impegnata l'immensa flotta ottomana: a Lepanto, appena un mese e mezzo dopo, l'armata della Lega Santa ottenne una schiacciante vittoria sulle forze turche.[6]

Nella letteratura

  • Lo scrittore veronese Emilio Salgari ha descritto la battaglia di Famagosta nel suo romanzo Capitan Tempesta.
  • Il collettivo Wu Ming tratta le vicende dell'assedio di Famagosta nel romanzo Altai.
  • L'assedio, romanzo di Maria Grazia Siliato edito da Mondadori
  • Il romanzi Bragadin dello scrittore russo Sergei Tseytlin (Marcianum Press, Venezia 2014) è dedicato alla figura del comandante veneziano e descrive accuratamente le fasi dell'assedio e della resa.

Note

  1. ^ Zorzi, p. 348.
  2. ^ Arrigo Petacco, La Croce e la Mezzaluna. Lepanto 7 ottobre 1571: quando la Cristianità respinse l'Islam, p. 142
  3. ^ Zorzi, p. 350.
  4. ^ Zorzi, pp. 236-237.
  5. ^ Zorzi, p. 351.
  6. ^ Zorzi, pp. 351-352.

Bibliografia

  • Alvise Zorzi, La repubblica del Leone, Bombiani, ISBN 978 88 452 9136 4.
  • Gigi Monello, Accadde a Famagosta, l'assedio turco ad una fortezza veneziana ed il suo sconvolgente finale, Scepsi & Mattana Editori, Cagliari, 2006.
  • Nestore Martinengo, Relazione di tutto il successo di Famagosta, a cura di Gigi Monello, Scepsi & Mattana Editori, Cagliari, 2007.
  • Frate Agostino, La perdita di Famagosta e la gloriosa morte di M.A. Bragadino, a cura di Gigi Monello, Scepsi & Mattana Editori, Cagliari, 2013.
  • Oscar Santilli Marcheggiani, I fantasmi di Famagosta, Polaris, Firenze, 2014
  • Emilio Garro, Il Mediterraneo in fiamme, SEI, Torino, 1944

Voci correlate