Operazione Dragon King

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Operazione Dragon King
parte del conflitto rohingya
Data6 febbraio - 31 luglio 1978
CausaCrisi umanitaria ai confini del Bangladesh
Schieramenti
Bandiera della Birmania Birmania
Tatmadaw
Ufficiali dell'Ufficio immigrazione
Fronte Patriottico Rohingya
Comandanti
Ne WinMuhammad Jafar Habib
Muhammad Yunus
Nurul Islam
Effettivi
1.000+70+
200.000-250.000 rohingya fuggirono dal Myanmar
Voci di guerre presenti su Wikipedia

L'Operazione Dragon King, conosciuta ufficialmente come Operazione Nagamin, è stata un'operazione militare condotta dal Tatmadaw e dagli ufficiali dell'immigrazione nell'Arakan settentrionale, a Burma (attuale stato di Rakhine, Birmania), durante il governo socialista di Ne Win.[1]

Precedenti[modifica | modifica wikitesto]

Il popolo Rohingya sono una minoranza etnica dell'Arakan del nord, perseguitati storicamente dal governo birmano e dalla maggioranza buddista.[2][3][4] Dopo che il Generale Ne Win, con il suo Partito del Programma Socialista della Birmania (BSPP), ottenne il potere con il colpo di Stato del 1962, le organizzazioni politiche e sociali dei Rohungya vennero sistematicamente disciolte dal governo. La fine della guerra di liberazione nel confinante Bangladesh rafforzò la paura del governo birmano di un'infiltrazione di "invasori stranieri" nel Paese, così nel 1977 iniziò i preparativi per l'Operazione Dragon King, che partì con l'anno nuovo.

Eventi[modifica | modifica wikitesto]

Lo scopo ufficiale dell'operazione era di registrare i cittadini dell'Arakan settentrionale e l'espulsione dei cosiddetti "stranieri" dalla zona, prima di un censimento nazionale.[5] Gli ufficiali dell'immigrazione e il personale militare condussero l'operazione insieme, i secondi venendo accusati dai rifugiati Rohingya di aver sfrattato gli abitanti dei villaggi con la forza, tramite intimidazioni, stupri e omicidi.[6]

L'operazione iniziò il 6 febbraio 1978 nel villaggio di Sakkipara, nel distretto di Sittwe, dove vi era un gran numero di civili; nell'arco di oltre tre mesi, circa 200.000-250.000 rifugiati, soprattutto Rohingya musulmani, fuggirono nel Bangladesh. Il governo birmano stimò che 150.000 persone fuggirono dal Paese nel corso dell'operazione, e dichiarò che l'esodo fosse segno di come i Rohingya erano in effetti "migranti irregolari", clandestini. Il Comitato Internazionale della Croce Rossa (ICRC) e il governo del Bangladesh fornirono aiuti di emergenza ai rifugiati, ma furono sopraffatti dall'estensione della crisi umanitaria; il Bangladesh richiese l'assistenza delle Nazioni Unite, che inviarono una missione dell'UNHCR nella regione.

Il 31 luglio 1978 il governo birmano e quello del Bangladesh raggiunsero un accordo sul rimpatrio dei rifugiati Rohingya, a seguito del quale 180.000 persone tornarono in Birmania.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (EN) Greg Constantine, Bangladesh: The Plight of the Rohingya, in Pulitzer Center, 18 settembre 2012. URL consultato il 22 marzo 2018.
  2. ^ Kevin Ponniah, Who will help Myanmar's Rohingya?, su bbc.com, BBC News, 5 dicembre 2016. URL consultato il 19 febbraio 2023.
  3. ^ Matt Broomfield, UN calls on Burma's Aung San Suu Kyi to halt 'ethnic cleansing' of Rohingya Muslims, in The Independent, 10 dicembre 2016. URL consultato il 12 dicembre 2016.
  4. ^ New wave of destruction sees 1,250 houses destroyed in Myanmar's Rohingya villages, in International Business Times, 21 novembre 2016.
  5. ^ K. Maudood Elahi, "The Rohingya Refugees in Bangladesh: Historical Perspectives and Consequences," In John Rogge (ed.), Refugees: A Third World Dilemma, (New Jersey: Rowman and Littlefield), 1987, p. 231.
  6. ^ Martin Smith, Burma: Insurgency and the politics of ethnicity, 2. impr., London, Zed Books, 1991, p. 241, ISBN 0-86232-868-3.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]