Kore di Antenor

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Kore di Antenor
AutoreAntenore
Data525 a.C. circa
Materialemarmo
Altezza201 cm
UbicazioneMuseo dell'Acropoli (Acr. 681), Atene
Coordinate37°58′08.79″N 23°43′41.87″E / 37.969108°N 23.728297°E37.969108; 23.728297

La Kore di Antenor è una statua attica arcaica in marmo insulare, alta 215 cm e conservata nel Museo dell'acropoli ad Atene (n. 681). La base che le è probabilmente associata reca incisi il nome del committente e dello scultore ateniese Antenor. Fa parte della serie di statue votive femminili che fu in uso dedicare sull'acropoli di Atene all'incirca tra il 570 e il 490 a.C.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Gli artisti che vissero ad Atene sotto la tirannia dei Pisistratidi godettero di un periodo di grandi e frequenti commissioni pubbliche e private; verso il 530-520 a.C. un vasaio di nome Nearchos (difficilmente, per ragioni cronologiche, identificabile con il Nearchos del kantharos al Museo archeologico nazionale di Atene, Acr. 611) poté, se la statua e la base sono pertinenti, commissionare ad un artista ateniese di nome Antenor, la più grande tra le korai dedicate ad Atene sull'acropoli.[1]

La kore fu rinvenuta nella cosiddetta "colmata persiana", un terrapieno in cui erano stati sepolti i resti dei monumenti del VI secolo a.C. distrutti dai Persiani nel 480 a.C. La parte superiore della statua, insieme alla base con dedica, è stata trovata nel febbraio del 1886 a nord-ovest dell'Eretteo; i piedi e il plinto erano stati scavati precedentemente al nuovo rinvenimento e sono stati riuniti alla parte superiore in seguito al rinvenimento delle parti di raccordo nel 1887.[2]

Il rapporto della statua con la base è stato messo in dubbio subito dopo il rinvenimento e la connessione dei frammenti tra loro; alcuni studiosi, tra gli altri Humfry Payne, hanno continuato a non ritenere pertinenti le due parti. Le motivazioni principali sono le seguenti: ad un foro sul fondo della statua non corrisponde alcun altro foro sulla base, il plinto è troppo piccolo rispetto alla cavità della base e una volta inserito rimane rialzato rispetto al livello di questa.[2]

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

La statua è frammentata perché mancano il naso, il braccio destro inferiore, la punta delle dita della mano sinistra, frammenti degli arti inferiori, la parte anteriore dei piedi e l'occhio destro. La posa è quella comune per questo tipo di scultura; si erge su un piccolo plinto destinato all'inserimento nella cavità della base. Quest'ultima misura 60,5 cm x 30 cm; è alta 40 cm ed è decorata con linguette verdi e rosse alternate su tutti e quattro i lati.

Il costume è composto da un chitone ionico e un himation. Un braccialetto verde intagliato decora il braccio sinistro al quale sembra essere collegato il lembo del chitone. Due strisce rosse con un meandro verde decoravano il bordo inferiore dell'himation. I capelli sono lisci nella parte superiore del cranio, mentre sulla fronte sono acconciati in riccioli ordinati su tre linee. Sul diadema restano tracce di decorazione a meandri dipinta. I capelli che recano tracce di rosso scendono divisi in quattro ciocche su ogni spalla nella zona anteriore e cadono posteriormente in una massa semicircolare suddivisa in venti ciocche. Piccole tracce di cristallo di rocca o pasta vitrea viola restano all'interno degli occhi, il castone di metallo si è conservato nell'occhio sinistro.

Gli occhi e la bocca sono orizzontali. Le palpebre inferiori sono dritte, quelle superiori arcuate in stile attico come la forma del viso e delle orecchie. Il mento è solido e quadrato.[2] Le spalle sono larghe e alte mentre la parte inferiore manca di profondità; tutte e due le braccia sono insolitamente staccate dal corpo e il braccio sinistro non è modellato a parte, come solitamente veniva fatto, ma unito al resto della statua.[3]

Stile[modifica | modifica wikitesto]

Il Dickins sottolinea la sostanziale struttura attica della statua, il Payne ne evidenzia l'isolamento stilistico all'interno della sequenza delle korai dell'acropoli. I modi ionici (anche nella foggia delle vesti) sembrano perfettamente compresi e assorbiti, l'insistenza nella resa della stoffa e del panneggio è segno dei tempi. La kore, come si è detto, è la più grande tra quelle rinvenute sull'acropoli, ma non si tratta, come nota il Payne, dell'ingrandimento di una comune kore: la monumentalità che caratterizza quest'opera è dovuta ad una interpretazione dell'artista. Lo scultore insiste sugli elementi verticali del disegno, posti a scansione regolare come le scanalature di una colonna; allo stesso tempo la verticalità è ridimensionata dalla linea dell'himation che diviene quasi orizzontale così come le increspature del chitone sulla spalla sinistra.[3] Questo modo di concepire la figura la avvicina al senso di presenza e stabilità che caratterizza le dee ioniche del tempo di Cheramyes, ma non per un atteggiamento superficialmente ionizzante, piuttosto per una rinnovata attenzione verso elementi antichi e semplici che avvicinano quest'opera allo spirito dello stile severo, come espressione di pacata moralità e dignità e che la rendono allo stesso tempo un riflesso della possibile cifra stilistica che potrebbe essere appartenuta al perduto primo monumento ai tirannicidi[4].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Hurwit 1985, p. 250.
  2. ^ a b c Dickins 1912, pp. 228-232.
  3. ^ a b Payne 1936, pp. 126-129.
  4. ^ Bianchi Bandinelli 1986, scheda 307.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]