Gliommero

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Lo gliòmmero, o gliuòmmero (dal latino glŏmŭs-glomeris = gomitolo), è stato un raffinato genere poetico popolaresco, affine alla frottola da un punto di vista compositivo, diffusosi a metà del Quattrocento negli ambienti letterari della corte aragonese del Regno di Napoli, fiorito fino al Cinquecento[1]. Fu Francesco Torraca il primo a stabilire l'identità tra frottola e gliommero[2].

Nome, forma metrica, contenuti[modifica | modifica wikitesto]

Il suo nome è un vezzeggiativo in napoletano, il cui significato - gomitolo[1] - «rimanda al succedersi caotico di pensieri e sentenze nella forma di endecasillabi con rimalmezzo (endecasillabi frottolati[3], in cui, al pari della frottola, «affastella i più varî argomenti: allusioni a fatti della giornata, ricordi di vecchie storie e leggende, ricette fantastiche, proverbî, ecc.»[4].

Questi contenuti erano espressi con un registro linguistico incostante, in bilico «fra elementi dialettali e stilemi latineggianti»[5].

Caratteristiche[modifica | modifica wikitesto]

I prodotti di questo frequentato genere letterario, nell'ambiente della corte aragonese, erano prologhi a testi cavallereschi destinati alla pubblica lettura.

Gli elementi formali che caratterizzano il genere sono la forma epistolare, la struttura metrica a endecasillabi frottolati (endecasillabi con rimalmezzo), la fluidità tra differenti registri linguistici, con la loro coabitazione e contaminazione espressiva e, infine, la scrittura in forma di monologo.

Esempi[modifica | modifica wikitesto]

Si sa che tra i poeti che si dedicarono alla composizione di gliuommeri vi fu Jacopo Sannazaro[4]. Ed è proprio del Sannazzaro l'unico esemplare conservatoci dalla tradizione, rinvenuto da Francesco Torraca tra le rime volgari dell'umanista napoletano[4][5].

Al genere dello gliommero viene accostato il Processus criminalis del salernitano Vincenzo Braca, autore legato al genere letterario della farsa cavaiola.

Esempio latino in Filippo di Joinville[modifica | modifica wikitesto]

Nel Trecento, Filippo di Joinville scrisse uno gliommero latino raggomitolando assieme vari proverbi. Ecco i versi iniziali[2]:

Decem
sunt porro decem - si novem
sunt porro novem. - Si sentis pluere
Jovem sine pluere. - Qui velit considera.
Dum clara fulgent sydera - tempus est serenum.
Qui vadit ultra Renum - eget sensu.
De parcium consensu - fiunt pacta.
Via bene peracta - est evitanda
nec est habitanda - domus iniqua.
A sede iniqua - tu bene secedis.
Numquam secedis - sine causa.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b Vocabolario Treccani.
  2. ^ a b Benedetto Croce, Uno gliommero di Filippo di Joinville, in Aneddoti di varia letteratura, Napoli, Riccardo Ricciardi, 1942.
  3. ^ Bussolino, p. 92.
  4. ^ a b c Enciclopedia Italiana.
  5. ^ a b Cosentino.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]