Discussione:Walter Benjamin

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Riporto qua del testo che ho rimosso dalla voce, perchè mi sembra una ricerca originale.. --Jaqen il Telepate 12:47, 23 feb 2007 (CET)[rispondi]


L'opera d'arte, prima dell'avvento dell'epoca della sua riproducibilità tecnica, grosso modo fine 800 primi 900, godeva dello statuto di autenticità ed unicità. Un'opera, ad esempio un quadro, era un pezzo unico e originale (non prodotto in serie) ed autentico, ossia irripetibile e destinato ad un godimento estetico esclusivo nel luogo in cui si trova. Questo hic et nunc dell'opera, questa sua originalità, unità, autenticità, irripetibilità, esclusività di godimento estetico viene da Benjamin chiamata "aura". Diversamente l'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica è sottoposta ad un processo di "decadenza dell'aura". Tanto è unico un quadro quanto labile e ripetibile la foto. Ma veniamo al nodo. Infatti se il godimento dell'aura di un'opera d'arte è tutto sommato una prerogativa aristocratico-umanistica, ossia un'esperienza estetica privilegiata di una ristretta cerchia di happy few, l'opera d'arte riprodotta è invece nata avendo come destinazione le masse: molteplici, ingorde, mutevoli per definizione. La contraddizione del testo di Benjamin nasce proprio qui. Poiché egli, nella Premessa teorica di questo testo e nella conclusione, si propone di formulare dei concetti nuovi nel campo della teoria dell'arte accordabili alle «esigenze rivoluzionarie» del materialismo storico, non si vede come possa tale finalità accordarsi invece con un processo definito di "decadenza" dell'esperienza estetica - sempre più priva di "aura"-, con le esigenze comunque sempre più pressanti delle masse di poter adire l'estetico. Insomma, se il materialismo storico si pone come liberazione politica degli oppressi, una estetica marxista dovrebbe fornire a costoro anche una liberazione estetica, e plaudire alla morte dell'aura come forma aristocratico-umanistica del godimento estetico.

Secondo Benjamin, si possono distinguere due tipi di valore dell'opera d'arte: quello cultuale e quello espositivo. Il primo, anche cronologicamente, è il valore dell'opera d'arte in quanto questa è al servizio del culto e deriva dal fatto che l'opera d'arte non è accessibile a tutti in ogni momento e in ogni luogo.

"La riproduzione artistica comincia con figurazioni che sono al servizio del culto. Di queste figurazioni si può ammettere che il fatto che esistano è più importante del fatto che vengano viste. Il valore cultuale come tale induce a mantenere l'opera d'arte nascosta: certe statue degli dei sono accessibili solo al sacerdote nella sua cella. Certe immagini della Madonna rimangono invisibili tutto l'anno"

Il valore espositivo è, all'opposto, il valore dell'opera d'arte in quanto questa è accessibile a tutti in ogni momento e in ogni luogo; è il valore che l'opera assume nella modernità (l'epoca del trionfo della scienza e della tecnica sulla magia e dunque sul culto) grazie all'avvento degli strumenti di riproduzione meccanica:

"Con l'emancipazione di determinati esercizi artistici dall'ambito del rituale, le occasioni di esposizione aumentano. L'esponibilità di un ritratto a mezzo busto, che può essere inviato in qualunque luogo, è maggiore di quella di una statua di un Dio che ha la sua sede permanente all'interno di un tempio"

“La qualità si ribaltata in quantità: le masse sempre più vaste dei partecipanti hanno determinato un modo diverso di partecipazione e di valore”


Al declino dell’aura si costruisce il culto del divo, si cerca cioè di conservare la magia della crezione in una magia di marchio che è propria della merce.

- I Mass media sono strumenti formidabili nelle mani del capitalismo per farne oggetti merce.

- Nell’ epoca fascista « Fiat ars - pereat mundus », “dice il fascismo, e, come ammette Marinetti, si aspetta dalla guerra il soddisfaci mento artistico della percezione sensoriale modificata dal¬la tecnica. È questo, evidentemente, il compimento del¬l'arte per l'arte. L'umanità, che in Omero era uno spet¬tacolo per gli dèi dell'Olimpo, ora lo è diventata per sé stessa. La sua autoestraniazione ha raggiunto un grado che le permette di vivere il proprio annientamento come un godimento estetico di prim' ordine. Questo è il senso dell'estetizzazione della politica che il fascismo persegue”

- Nei paesi comunisti: basta vedere l’uso della televisione nella Cuba di Castro. “II comunismo gli risponde con la politicizzazione dell'arte”

- La massa distratta fa sprofondare nel proprio grembo l’opera d’arte


E’ innegabile che l’opera d’arte nel momento e nel luogo ( hic et nunc) in cui nasce porta in sé un valore che va al di là del suo essere: è un quid particolare che si identifica con l’energia spesa per la sua creazione. È anche vero però che l’opera è un dono fatto da uomini ad altri uomini. Quanto più essa è vista, studiata, analizzata, giudicata, tanto maggiore è il suo valore sociale. Il suo valore intrinseco quindi si accresce col tempo. Oggi ogni opera d’arte non è fine a se stessa ma appartiene a una rete di espressioni comunicative che si amplificano a vicenda. Milioni di persone visitano l’ultima cena, il libro di Dan Brown (Il codice Da Vinci) ne ha amplificato la conoscenza. Molti vengono a vederla per sentirne palpitare lo spirito e per percepire il quid energetico che anche a centinaia di anni il quadro ancora emana: questo è mettersi in sintonia con l’opera, sentirla viva come parte di te e chiudendo gli occhi mettersi in relazione.

Se devi fare un lavoro di critica basta un approccio scientifico di analisi accurata: in questo caso una foto o la scansione su internet è forse meglio: questa scelta è solo dettata dall’interesse personale.


Nel panorama culturale americano recentemente si è assistito ad un ritorno di interesse per l'opera di Walter Benjamin del 1936 attraverso una sostanziale linea di pensiero reinterpretativo che aderisce ai principi decostruzionisti che sono alla base delle riflessioni sul post-moderno. Da ciò è evidente l'analogia che si è creata quasi meccanicamente con il processo di navigazione sulla rete informatica composta di frammenti messi in correlazione tra loro in maniera tendenzialmente casuale, negando, in tal modo, una metodologia progettuale che ne giustifichi l'esistenza. Non è un caso che esistano alcuni siti Internet che hanno eletto Benjamin come padre putativo della moderna tecnologia informatizzata. Oggi, tale riflessione è tanto più giustificata quanto più si pensa alle possibilità intrinseche alle nuove tecnologie, che permettono che chiunque possa intervenire su un prodotto artistico impedendo l'acquisizione di requisiti che si rifanno all'unicità. E questa unicità non riguarda soltanto l'artista, ma anche più propriamente la fruizione dell'opera, se si pensa alla possibilità esponenziale di accesso alle informazioni di Internet. E, infatti, oggi si parla di 'globalizzazione' della cultura, verso quello che uno dei maggiori teorici della realtà virtuale, Pierre Levy, chiama lo sviluppo di una intelligenza collettiva; un traguardo che, secondo le sue linee di pensiero, conduce verso una maggiore democraticizzazione della cultura e dell'informazione.


Il mistero della valigia nera[modifica wikitesto]

Nel programma radiofonico di Radio 3 Passioni del 4 maggio 2014, Bruno Arpaia afferma testualmente che subito dopo la morte di Benjamin: "Le autorità spagnole equivocano sul suo nome: pensano che Walter Benjamin - siccome Benjamin in spagnolo è un nome comune - pensano che Benjamin sia il nome e Walter il cognome, seppelliscono il corpo in una fossa comune, ma tutti i documenti sono archiviati con il cognome "Walter"; negli anni '70 a qualcuno viene in mente che ci può essere questa questione dei nomi: il tribunale di Figueres effettivamente sotto il cognome Walter è conservata la sua borsa. Nella borsa ci sono i suoi occhiali, la sua stilografica, sei radiografie, lettere di raccomandazione. Non è rimasto nessun soldo di quelli che gli avevano mandato, e il manoscritto non c'è". http://www.radio3.rai.it/dl/portaleRadio/media/ContentItem-e894dfee-55da-4615-ad53-4891b28dbf4d.html# (dal minuto 18' 44")

Una pagina Biografica in italiano con i titoli delle opere unicamente in lingua è seriamente antienciclopedica, oltre ad essere di uno snobismo piuttosto fastidioso-

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