Accusativo di relazione

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L'accusativo di relazione è una costruzione tipica della lingua greca, ma presente anche in altre lingue, come il latino e l'italiano, usata per esprimere un complemento di limitazione mediante il caso accusativo. È così denominato in quanto indica in relazione a che cosa vale l'enunciato: di fatto può essere tradotto con le locuzioni italiane "relativamente a", "riguardo a", "quanto a", "in rapporto a". Spesso è definito anche accusativo alla greca, il quale rappresenta tuttavia una forma particolare di accusativo di relazione.

In generale, il caso accusativo è utilizzato per esprimere, oltre all'idea di movimento, il concetto di estensione: nello spazio, nel tempo, nel grado, nell'ambito, ecc. Per questo motivo l'accusativo poteva essere usato per indicare sotto quale aspetto o entro quale limite debba considerarsi una qualità o un'azione".[1]

Un classico esempio è la clausola omerica πόδας ὠκὺς Ἀχιλλεύς (pódas ōkýs Akhilleús) "il piè veloce Achille", letteralmente: piedi veloce Achille, ossia "Achille, veloce quanto ai piedi" (con piedi in accusativo).

Altri esempi: Σωκράτης ἦν Ἀθηναῖος τὸ γένος (Sokrátes en Athenaîos to ghénos) "Socrate era ateniese per nascita"; Καῖσαρ ἦν τἡν σάρκα λευκός (Kaîsar en ten sárka leukós) "Cesare era bianco di carnagione".

La struttura tipica del costrutto richiede almeno questi elementi: un primo sostantivo che indica la persona o l'elemento di cui si limita qualcosa (Achille); un predicato (veloce), di norma un aggettivo, che esprime la qualità che viene limitata; e un secondo sostantivo (i piedi) che definisce il termine entro cui vale quella qualità.[2] Si tratta quindi di un costrutto nominale, confrontabile con espressioni italiane del tipo sporco in faccia, rossa di capelli o povero di spirito, che hanno analogo valore limitativo.

In latino e in italiano la costruzione è spesso impiegata con riferimento alle parti del corpo. Per esempio, in latino, Venus nuda pedes "Venere con i piedi nudi" (letteralmente: "nuda riguardo ai piedi"). Si notino le differenze grammaticali: in italiano l'aggettivo nudi è concordato con piedi al plurale maschile, in latino invece nuda concorda con il soggetto Venus al nominativo singolare femminile, mentre pedes, al plurale, è l'accusativo di relazione.

Accusativo di relazione in latino[modifica | modifica wikitesto]

L'uso dell'accusativo di relazione in latino è generalmente ritenuto piuttosto raro e grammaticalmente improduttivo. È certamente vero che questo costrutto subisce la forte concorrenza sia del genitivo e dell'ablativo di qualità, sia degli ablativi di limitazione, di argomento, di origine, di causa ecc. In molti casi, tuttavia, non risulta agevole distinguere un complemento oggetto da un accusativo di relazione, come dimostra anche l'incertezza delle grammatiche e dei dizionari. Per questo è opportuno distinguere usi differenti dell'accusativo di relazione, riservando peraltro la definizione di accusativo alla greca solo all'ultima delle tipologie qui di seguito elencate.

  1. Accusativo di relazione con i verba affectuum (i verbi di sentimento come doleo, maereo, queror, rideo, miror, ecc., generalmente intransitivi), per esprimere la cosa o la persona per cui quali si prova il sentimento. Esempi: suum fatum querebantur ("si lamentavano del loro destino", Cesare); rideo istos qui turpe existimant cum servo suo cenare ("rido di costoro che ritengono indegno consumare i pasti con il proprio schiavo", Seneca). Tuttavia, secondo alcuni grammatiche e dizionari, questi verbi intransitivi sarebbero utilizzabili anche come transitivi, e pertanto in questi casi l'accusativo sarebbe in realtà un semplice oggetto diretto.
  2. Accusativo di relazione rappresentato da pronomi o aggettivi neutri come id, hoc, illud, istud, aliud, quod, quid, unum, multa, omnia, cetera, ecc., per definire il campo di validità di un predicato. Esempi: id maesta est ("è triste per questo", Plauto); cetera laetus ("lieto per ogni altra cosa", Orazio); omnia Mercurio similis ("in tutto simile a Mercurio", Virgilio); cetera assentior Crasso ("per tutto il resto concordo con Crasso", Cicerone). In particolare, con i verbi assolutamente impersonali (paenitet, pudet, piget ecc.), quando la cosa di cui ci si vergogna o pente ecc. è espressa da un pronome neutro: nihil te miseret ("non provi compassione per nulla", Plauto); me quid pudeat? ("di che cosa mi dovrei vergognare?", Cicerone).[3]
  3. Accusativo di relazione con i verbi che possono reggere un doppio accusativo (doceo, edoceo, celo, e alcuni verba rogandi: posco, reposco, oro, rogo, interrogo, ecc.). È il tipo doceo aliquem aliquid: il primo accusativo, riferito alla persona, esprime l'oggetto diretto; il secondo, riferito alla cosa che viene insegnata, nascosta, richiesta ecc., rappresenterebbe un accusativo di relazione (parte dei grammatici, tuttavia, interpreta il doppio accusativo come due distinti complementi oggetti).
  4. Infine, gli accusativi alla greca, sui quali si veda il paragrafo seguente.

L'accusativo alla greca[modifica | modifica wikitesto]

Si definiscono accusativi alla greca gli accusativi di relazione usati in genere per descrivere l'aspetto fisico e riferiti a parti del corpo o del vestiario; gli esempi sono circoscritti all'uso poetico, specie dall'età di Augusto in poi, e sono per lo più derivati da analoghe formule della lingua greca: Gnosis [...] nuda pedem, croceas inreligata comas, / Thesea crudelem surdas clamabat ad undas ("la fanciulla di Cnosso [Arianna], con i piedi nudi e le bionde chiome sciolte, gridava alle sorde onde il nome del crudele Teseo")[4]. Altri esempi: nuda genu ("con il ginocchio scoperto", Virgilio), flava comas ("bionda di capelli"), canos hirsuta capillos ("con i capelli bianchi ispidi", Ovidio), sparsa le trecce (Manzoni).

Meno comunemente in latino, al posto dell'aggettivo può trovarsi un participio passato che regge l'accusativo (indutus "vestito", ictus "colpito", cinctus "cinto", ecc.): lacrimis oculos suffusa nitentis alloquitur Venus ("Venere parla con gli occhi lucenti bagnati di lacrime", letteralmente "bagnata di lacrime negli occhi lucenti")[5]; Notus ... evolat terribilem picea tectus caligine vultum ("Noto vola con il terribile volto coperto di caligine nera", letteralmente "coperto quanto al volto...")[6]; miles fractus membra labore ("un soldato ... con le membra sfiancate dalla fatica")[7]; altri esempi con saucius "ferito".

Accusativo alla greca in italiano[modifica | modifica wikitesto]

In italiano l'uso dell'accusativo di relazione alla greca è raro e solo letterario, impiegato principalmente in poesia da autori che maggiormente si richiamano alla classicità.

Un esempio in Gabriello Chiabrera è "Di’, che le Ninfe [...] sulle piagge erbose / Menino danze, i puri seni ignude"[8] in cui l'aggettivo "ignude" concorda con "Ninfe" e "i puri seni" indica la parte limitatamente a cui si concentra lo sguardo del poeta.

L'esempio più noto è il manzoniano "Sparsa le trecce morbide / sull'affannoso petto", in cui l'aggettivo sparsa è concordato al femminile singolare con la persona che viene descritta (la pia, cioè Ermengarda), mentre il complemento di limitazione è espresso dalle trecce morbide, in funzione di accusativo (senza alcuna preposizione: l'unico modo per segnalare l'accusativo in una lingua priva di declinazione dei casi, come l'italiano). La medesima costruzione è presente nelle espressioni coordinate immediatamente seguenti: lenta le palme ("con le mani rilassate") e rorida di morte il bianco aspetto ("con il pallido volto rorido di morte"). Un esempio è anche nel coro dell'Atto III: "Ansanti li vede, quai trepide fere, / irsuti per tema le fulve criniere" (ossia, i Longobardi in fuga, "con le fulve capigliature irte per la paura").

Negli stessi anni, sempre in contesto poetico, il costrutto ricorre in Leopardi, con tre esempi coordinati: Simonide "di lacrime sparso ambe le guance, / e il petto ansante, e vacillante il piede, / toglieasi in man la lira" (All'Italia, vv. 81-83). Ma è notevole l'esempio del Manzoni nella nuova prosa dei Promessi Sposi: "andava dinanzi una lunga schiera di popolo, donne la più parte, coperte il volto d'ampi zendali" (capitolo XXXII; il tratto stilistico sostenuto è qui coerente con la digressione storica – opus oratorium maxime – sulla peste a Milano, argomento tragico anche in senso retorico).

Ricorre quindi spesso nel linguaggio superbamente classicheggiante delle poesie del Carducci: "i bei giovenchi dal quadrato petto, / erti sul capo le lunate corna" (Alle fonti del Clitumno, vv. 17-18); "Ma su' dischiusi tumuli per quelle / chiese prostesi in grigio sago i padri, / sparsi di turpe cenere le chiome / nere fluenti" (La chiesa di Polenta, vv. 41-44); «O tu azzurro il crine e il dosso / bel cavallo, a me, a me!» (La moglie del Gigante, vv. 13-14).

Ne fa uso ancora Giovanni Pascoli, pur nel contesto apparentemente humilis (ma in realtà letteratissimo e allusivamente classicheggiante) delle Myricae: "Solo tra l'arche errava un cappuccino: / […] bianco la barba e gli occhi d'un turchino / vuoto, infinito" (Pervinca, vv. 9-12); "O vecchio bosco..., in te... vive la ninfa, ... bionda tra le interrotte ombre i capelli" (Il bosco, vv. 1,5,7 e 8); "Fiore di carta rigida, dentato / i petali di fini aghi" (Fior d'acanto, vv.1-2). Si noti, nell'esempio precedente e nel prossimo, l'estensione dell'uso a soggetti non animati: "vi riconosco, o memori Cesane / folte di lazzi cornïoli i borri / e d'avellane"; ossia: "vi riconosco, colline Cesane (presso Urbino), con i vostri burroni (borri) folti di cornioli (dai frutti) aspri (lazzi)" (Campane a sera, vv. 30-32). Ancora un esempio nei Nuovi Poemetti (1909; Piètole, vv. 3-4): "E piena d'api i fiori, / la siepe manda un lieve suo sussurro" (ovvero: "la siepe, con i fiori pieni di api, manda ecc.").

Ancora nel Novecento ricorrono esempi in poesia (Guido Gozzano: "Le querule [rane] presaghe della pioggia /.../ stavano tronche il collo", 1914, Storia di cinquecento Vanesse, vv. 15-17) e anche nella narrativa, come nel seguente passo di Riccardo Bacchelli: "un uomo giovane tarchiato [...] giaceva supino nel fondo della stiva, nudo i piedi" (Il mulino del Po, 1938-1940; l'esempio ha tutto il sapore di una memoria scolastica: Venus nuda pedes).

Di fatto, molti casi in cui si potrebbe parlare di accusativo alla greca si confondono con costruzioni subordinate implicite (continuazione dell'ablativo assoluto latino), che in italiano sono piuttosto frequenti: ad esempio, per restare al Manzoni, "vòlti i guardi al varcato Ticino" (in Marzo 1821) potrebbe essere un caso di accusativo alla greca ("rivolti con lo sguardo...") ma potrebbe anche essere inteso come "con gli sguardi rivolti...", con una costruzione quindi analoga a "vista la mala parata, se ne sono andati", e simili. Oppure, nella prosa molto sorvegliata di una traduzione del Fedro di Platone: "l'auriga alla vista del volto amoroso, tutto infiammato l'animo di quella sensazione, è invaso dalla smania e dal pungolo della passione"[9]. Analoghi i seguenti esempi tratti da Il nome della rosa di Umberto Eco (1980): "corpi e membra abitati dallo Spirito, illuminati dalla rivelazione, sconvolti i volti dallo stupore, esaltati gli sguardi dall'entusiasmo, [...] eccoli tutti cantare con l'espressione dei visi" ("con i volti sconvolti...", "con gli sguardi esaltati", ecc.). In tutti questi esempi, peraltro, si osservi che in luogo dell'aggettivo viene sempre utilizzato un participio (vòlti, vista, infiammato, sconvolti, esaltati) e un complemento di causa efficiente, ciò che induce a intenderli piuttosto come costrutti verbali.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Il caso accusativo può utilizzarsi "per indicare a quali termini si estende un'azione, o per precisare entro quali limiti vale un giudizio" (Maurizio Bettini, Renata Fabbri, Luigi Salvioni, La grammatica latina, Firenze, la Nuova Italia, 2004, p. 358).
  2. ^ Talora la qualità può essere espressa non attraverso un aggettivo, ma un'espressione sostantivale: il muro era di venti piedi di larghezza, cento di altezza (Senofonte) (di venti piedi sostituisce l'aggettivo; larghezza e altezza sono in accusativo).
  3. ^ Secondo altri studiosi, in questi casi saremmo invece di fronte a nominativi, quindi a soggetti di verbi eccezionalmente costruiti in modo personale. Inoltre, secondo taluni, sarebbero accusativi di relazione anche le persone (pronomi o sostantivi) rette da un verbo relativamente impersonale: te decet "ti conviene", eum fallit "gli sfugge", non omnes iuvat "non a tutti piace".
  4. ^ Ovidio, Ars amatoria, I, vv. 525 e seguenti
  5. ^ Virgilio, Eneide, I, vv. 228-229
  6. ^ Ovidio, Metamorfosi, I, vv. 264-265
  7. ^ Orazio, Satire, I, v. 5
  8. ^ Sonetto in lode di Carlo Emmanuele per la presa di Saluzzo, vv. 9-11.
  9. ^ Platone, Fedro, traduzione del 1966 di Piero Pucci, Laterza, Roma-Bari 2019, p. 63
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