Utente:NesoAlessia/Sandbox

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Margherita Zoebeli (Zurigo, 7 giugno 1912Rimini, 25 febbraio 1996) è stata un'educatrice e pedagogista svizzera. Margherita Zoebeli, lavorò in tutta Europa con lo scopo di aiutare le famiglie di operai o le famiglie in fuga dalle guerre. Si trasferì poi in Italia, in particolare a Rimini dove nel 1946 fondò il villaggio del CEIS (Centro educativo italo-svizzero).

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Margherita Zoebeli[1] è nata a Zurigo pochi anni prima dell’inizio della prima guerra mondiale e quindi respirò, durante la sua infanzia, il clima segnato profondamente dalle conseguenze della guerra. Fin da subito, inoltre, la sua vita e le sue idee furono segnate da un forte attaccamento al partito socialista del quale il padre faceva parte. Seguendo quindi le orme del padre si affacciò attorno agli anni 30 alla vita pubblica, dove con grandissimo impegno offrì aiuto alle famiglie operaie tedesche colpite dalla crisi americana del ’29 con campeggi e doposcuola rivolti appunto ai figli degli operai. A partire dal 1933, dopo la nascita del Soccorso operaio svizzero[2], prestò soccorso anche alle famiglie ebree che opponendosi al nazismo trovavano il rifugio più vicino in Svizzera. Ed è a partire da queste esperienze che Margherita approda nel campo della pedagogia.

Una delle imprese più eclatanti della sua vita fu quella nel 1938 quando si diresse in Spagna per dare conforto agli orfani di guerra di una comunità. Dopo poche settimane, visto il precipitare della guerra e i continui bombardamenti alle città decise di portare con se in Francia, proprio al di là dei Pirenei, precisamente in una colonia sulla spiaggia di Setè, questo centinaio di bambini per donare loro un rifugio sicuro dove potersi stabilire. In occasione di questo viaggio in Francia ebbe la fortuna di conoscere Cèlestine Freinet. Negli anni successivi si laureò all'università di Zurigo e seguì dei corsi di approfondimento di pedagogia differenziale curativa, la laurea la abilitò all'insegnamento alla scuola dell'obbligo che intraprese nel 1940 per quattro anni. Il suo impegno nella lotta antifascista si concretizzò con il soccorso ai partigiani italiani colpiti dalla rivolta nazifascista nell' Alta Val d'Ossola.[3] Nell'inverno tra il '44 e il'45 Margherita fu inviata a Saint-Etienne per organizzare aiuti ai cittadini francesi di quella regione mineraria, in questa occasione perfezionò sul campo la sua preparazione come assistente sociale. Dopo questa esperienza in Francia, Margherita Zoebeli si dichiarò disponibile a continuare questo tipo di lavoro anche in Italia ed è proprio in questa veste che dopo essere giunta a Rimini nel dicembre del 1945 a capo di una èquipe del Soccorso operaio svizzero inviò una richiesta al sindaco della città romagnola perché creasse una struttura baraccata capace di ospitare un scuola materna e un centro sociale. Dopo l'organizzazione strutturale e burocratica del Centro Educativo Italo-Svizzero (CEIS), inaugurato simbolicamente il primo maggio 1946, Margherita passò quasi più di trent'anni come direttrice del CEIS finchè intorno agli anni '70 fu quasi costretta ad abbandonare questo progetto per le svariate critiche che la generazione del '68 le rivolse. Sostenuta, però, dai vecchi anarchici e socialisti che la avevano appoggiata fin dall'inizio continuò questa avventura fino circa alla metà degli anni '70 quando si sfiorò la chiusura del CEIS. Per evitare ciò, Margherita cedette con molto dispiacere la direzione del centro a Gianfranco Iacobucci[4] pur rimanendo un punto di riferimento fondamentale del CEIS.

L'abbandono dell'impegno come direttrice assicurò a Margherita Zoebeli molto tempo libero per partecipare a seminari e convegni che favorirono molto la conoscenza del centro educativo al di fuori degli ambienti della pedagogia d'avanguardia. A 64 anni Margherita fu mandata dal Soccorso operaio in Friuli, colpito nel 1976 da un tremendo terremoto, per organizzare una scuola materna e per seguire l'aggiornamento delle insegnanti. Nonostante i settant'anni d'età sentì il bisogno di partire per il Nicaragua insieme a degli amici per lavorare ad un progetto di aggiornamento per gli insegnanti delle scuole speciali di quel paese centroamericano. Dopo essere tornata nella città romagnola, per rimanere vicina al CEIS, ricevette negli ultimi anni della sua vita, meritati riconoscimenti. Margherita Zoebeli si spense il 25 febbraio 1996 nel suo appartamento di Rimini.

Pensiero pedagogico[modifica | modifica wikitesto]

Margherita Zoebeli non intraprese da subito la strada della pedagogia ma ci arrivò per vie traverse, in particolare attraverso l'impegno politico; perciò non scrisse mai dei veri e propri manuali di pedagogia in quanto puntò soprattutto alla praticità delle sue idee; si può dire quindi che sia stata una pedagogista poco astratta ma un'educatrice molto concreta. Nonostante le poche fonti scritte, Margherita, una volta abbandonato l'impegno di direttrice del CEIS, parlò ad alcune conferenze e ad alcuni seminari perciò si possono comunque individuare dei punti focali nella sua idea pedagogica.

La formazione di Margherita Zoebeli cominciò a circa vent’anni quando lesse i primi libri di autori socialisti ottocenteschi, come Godwin, Owen e Proudhon, proseguì poi con l’approfondimenti pedagogico, in particolare Piaget e Dewey, ma anche se di molto rilievo questi studi non mutarono la sua impostazione pedagogica già maturata.

“Margherita riteneva che educare fosse un termine molto "delicato" e che ci fosse una netta differenza tra insegnare, per fornire gli strumenti che servono all'autonomia dell'alunno e istruire, per costringere l'individuo in un modello confacente al gruppo”.[5] Al centro della sua idea di educazione c'è la libertà intesa non tanto come possibilità assoluta di fare tutto ciò che si desidera ma, Margherita Zoebeli punta ad una libertà responsabile.Il bambino quindi attraverso scelte e divieti, prove ed errori di collaborazione deve riuscire a trovare le proprie regole di condotta. I bambini non devono essere sorvegliati, giudicati e tanto meno puniti, essi sono liberi nel fare in uno spazio definito di regole condivise. Un' altra caratteristica del suo pensiero educativo è il rifiuto di un insegnamento direttivo e frontale che costringesse gli alunni ad attività uniformi e collettive, all'interno di uno spazio organizzato come "blocco unico"; infatti, seguendo le idee di Alfred Adler, ogni bambino ha il diritto ineliminabile di essere tutelato nel suo bisogno di espressione e di creatività, perciò un insegnamento frontale avrebbe soltanto represso la creatività del bambino. Gli spazi organizzati come nelle scuole pubbliche con una cattedra e i banchi avrebbero impedito agli alunni la collaborazione, il lavoro in piccoli gruppi e la formazione di cerchi per delle discussioni, il suo progetto educativo era quello di trasformare la scuola autoritaria del ventennio fascista in una scuola-comunità e cercava un modo per rispondere ai bisogni dei bambini: la ‘’libertà’’, la ‘’scoperta’’ e la ‘’compagnia’’, ritenendo che l’ambiente architettonico fosse in grado di stimolare la vita comunitaria.

C'è da dire anche però che Margherita esplicitò queste sue idee in un periodo storico non molto favorevole; infatti l'Italia risentiva ancora dell'eredità del fascismo e gli insegnanti erano abituati ad una scuola autoritaria, dove i bambini erano costretti all'uniformità e all'obbedienza. Smorzare, quindi, il ruolo autoritario delle maestre non era così semplice, le insegnanti ed educatrici del centro dovevano trasmettere agli alunni quel senso di protezione che gli era sempre mancato, infatti questi bambini erano state vittime di bombardamenti, alcuni erano orfani perciò quello di cui avevano bisogno era un luogo accogliente, sicuro e confortevole. Anche per questo Margherita Zoebeli aveva a cuore i giardini, i fiori e gli alberi, infatti dava molta importanza all’educazione ambientale. Inoltre riteneva che uno sviluppo armonioso del corpo attraverso la musica e l’esercizio psico-fisico avrebbero permesso al bambino una più facile comunicazione a livello orale e scritto.

CEIS[modifica | modifica wikitesto]

Margherita Zoebeli, dopo l’esperienza di Saint-Etienne nel 1945, si trasferì a Rimini il 7 dicembre 1945 e vedendo le disastrose condizioni in cui versava la città, fortemente colpita dai peggiori bombardamenti della seconda guerra mondiale, prese contatti con il sindaco Arturo Clari e gli propose di costruire una struttura da adibire a scuola materna e orfanotrofio per i bambini riminesi facendo affidamento alla solidarietà nazionale. Fortunatamente il vice sindaco riminese Gomberto Bordoni, di orientamento socialista, aveva contatti con il sindaco della città di Milano Antonio Greppi, anch'egli socialista, che durante la guerra si era rifugiato in Svizzera ed aveva fatto conoscenza con gli ambienti del Soccorso operaio. Si creò quindi un passaggio Rimini-Milano-Svizzera sotto la bandiera socialista che contribuì molto alla realizzazione del villaggio, infatti nel gennaio del 1946 giunse a Rimini un convoglio ferroviario con il legno necessario alla costruzione del Villaggio.

Per quanto concerne la costruzione si optò per una struttura baraccata, simile ai campi di concentramento, in quanto la situazione a Rimini era molto grave e l’intervento doveva essere rapido, ma quando si entrava nel Villaggio si aveva tutt'altra impressione. Infatti, il primo maggio, giorno dell'innaugurazione uffuciale[6], se si entrava al villaggio si percepiva che il Centro educativo italo-svizzero non era nato dal caso, dal semplice fatto che si avesse a disposizione soltanto delle baracche di legno; ma che era il frutto di uno studio, di una progettazione consapevole e che aveva come coordinate determinati valori culturali. La preoccupazione principale di Margherita Zoebeli era, quindi, quella di creare una struttura più discostante possibile dalla visione militaristica delle baracche. Tanto che decontestualizzando la funzione delle baracche riuscì a farle sopravvivere per molto tempo, infatti ancora oggi il CEIS è quasi interamente in legno e delle tredici baracche iniziali ancora tre sono funzionanti. Il progetto iniziale fu elaborato a Zurigo ancora nel novembre 1945; Margherita Zoebeli collaborò con Felix Schwarz, un architetto svizzero, e insieme diedero vita ad una casa pronta ad ospitare venti orfani, tra i 3 e i 6 anni; che versavano in condizioni fisiche e psichiche gravemente compromesse dai problemi che la guerra portava; in un'intervista la stessa Margherita dichiarò "Casina è il nome che hanno dato i bambini alla casa dove li abbiamo accolti, [...] tutti vittime della guerra, orfani" [7] a sottolineare l'affetto e il conforto che questi bambini provavano all'interno del Centro educativo. Oltre alla casa per gli orfani, pensarono anche ad una scuola materna, capace di ospitare 150 bambini che presentavano pressappoco le stesse condizioni, perciò era necessario far sentire a casa i bambini; ci si orientò, quindi, verso un ambiente protettivo, quasi somigliante ad un nido, capace di ristabilire i bisogni primari sul piano affettivo ed emotivo anche se tutto questo era esplicitamente contro le logiche autoritarie.

Le tredici baracche erano disposte in modo tale da permettere l'inserimento di viali che collegavano i padiglioni, di grandi spazi verdi e per impedire che lo sguardo dei bambini raggiungesse l'esterno del Villaggio dove il paesaggio era ancora spettrale. Margherita Zoebeli riteneva che l'ambiente fosse molto importante ai fini di una corretta educazione, inoltre i giardini, i molti alberi e fiori permettevano l'approfondimento dell'educazione ambientale, inizialmente Margherita voleva tenere anche degli animali, ma le è stato proibito dal sospetto di infezioni, anche se questo sospetto svolgeva un ruolo puramente burocratico. Le aule del nuovo Centro educativo italo-svizzero si distaccavano totalmente dal tipo di aule caratterizzanti la scuola del regime fascista; nientre cattedra a simboleggiare l'autorità dell'insegnante, solo gruppi di banchi per favorire il lavoro di gruppo, ma anche spazi ampi per consentire ad ogni bambino di scegliere se stare in gruppo oppure appartarsi per qualche tempo. Inoltre, le lavagne erano mobili, così la stanza poteva diventare in un attimo un ambiente più intimo. La grande novità riconosciuta a Margherita Zoebeli sono gli sgabelli trasformabili in giganteschi cubi da costruzione. Le aule erano contrassegnate con in colore (giallo,verde,rosso) e per entrare i bambini percorrevano una scalinata con una dolce pendenza ed erano immediatamente invitati al gioco perché incontravano attrezzi e giocattoli di ogni tipo; inoltre l'aula che era molto spaziosa offriva mille angoli diversi: l'angolo della pittura, l'angolo delle bambole, l'angolo delle costruzioni, ecc..

Avendo Margherita Zoebeli uno spirito anticonformista,proponendo una pedagogia antiautoritaria, estranea da ortodossie e dogmatismi e ispirata al principio di comunità autoeducante provocò un clima di grande sospetto da parte dei poteri forti. Fin dalle elezioni del '48 il CEIS fu colpito da numerose critiche, ma fu con la contestazione studentesca del '68 che la struttura del Centro italo-svizzero fu duramente messa alla prova. Infatti, quando la città di Rimini capì che il progetto del Villaggio non era un elemento transitorio, ma un costitutivo della realtà riminese, margherita Zoebeli fu oggetto di numerose diffidenze. Con il cambio generazionale, cambiò anche la visione del lavoro: al Centro educativo si lavorava da mattina a sera e se era necessario anche la domenica ma lo stipendio delle educatrici era dimezzato rispetto a quello delle insegnanti della scuola pubblica. La frattura più concreta era allora di ordine puramente sindacale anche se ci furono discordie anche sul piano educativo, in quanto Margherita proponeva la libertà del bambino ma venne mal interpretata: la crisi ideologica di libertà portava a perdere di vista il giusto rapporto tra autocontrollo e libero sfogo e che portava a preferire la permissività all' autorità dell'insegnante[8]. A malincuore, nel 1976, abbandonò la direzione del CEIS, che però continuò la sua strada con un nuovo direttore, Gianfranco Iacobucci, che fu capace di intraprendere i mutamenti socio-culturali di quel tempo e trovare un compromesso per fa si che il Centro educativo italo-svizzero sopravvivesse.

Il centro è aperto tutt'oggi, ospita bambini dall'età del nido d'infanzia fino alla scuola materna e la struttura ricorda quella progettata da Margherita Zoebeli e Felix Schwarz nella metà degli anni quaranta.

Riconoscimenti[modifica | modifica wikitesto]

  • 1963 le fu riconosciuta la cittadinanza onoraria di Rimini, per il lavoro svolto al Centro educativo a favore della città.
  • 1989 insieme a Mario Lodi e Paulo Freire fu premiata con la laurea ad honorem in pedagogia, assegnato dall'Università di Bologna.
  • 1993 ricevette la Medaglia d'oro con diploma di Benemerenza di Prima Classe della Repubblica Italiana.
  • 1995 la Fondazione Dr. JE Brandenberger la premiò con un riconoscimento per la loro missione disinteressata in aiuti post-guerra e per la promozione di metodi moderni di istruzione.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ in un tesserino di riconoscimento del Soccorso operaio svizzero si trova il nome Magrit Zöebeli con successiva dichiarazione della qualifica di assistente sociale e dell'incarico di direttrice del centro sociale di Rimini.
  2. ^ Il Soccorso operaio svizzero nacque nel 1932 come istituzione di solidarietà per far fronte alla grande crisi economica e alle ripercussioni di essa nelle industrie locali. In seguito, a questo obbiettivo si aggiunse anche l'assistenza ai perseguitati dal nazismo.
  3. ^ Tra il 10 settembre e il 23 ottobre 1944 la Val d'Ossola fu per breve periodo una Repubblica partigiana dopo di che le truppe nazifasciste contrattaccarono.
  4. ^ Gianfranco Iacobucci muore prematuramente intorno al 1985 anche se gli viene riconosciuta unanimemente una grande capacità di mediazione e di interpretazione dei mutamenti socio-culturali di quegli anni
  5. ^ Cfr. Carlo De Maria, aprile 2005, L’insegnamento di Margherita Zoebeli.
  6. ^ il centro era già attivo dalla metà di aprile
  7. ^ Cfr. Intervento sociale e azione educativa, Carlo De Maria, 2012
  8. ^ Cfr. Intervista a Carlo De Maria, Quelle tredici baracche http://www.unacitta.it/newsite/intervista_stampa.asp?rifpag=homealtratradizione&id=2223&anno=2013

Riferimenti[modifica | modifica wikitesto]