Utente:Lorelorelore/Sandbox/La dolce vita/Critica e temi

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Reazioni[modifica | modifica wikitesto]

La prima nazionale del film fu trasmessa al cinema Capitol a Milano il 5 febbraio 1960.[1] Il film fu sia applaudito che criticato e fischiato. Fellini fu fermato da una donna che lo accusò di consegnare il paese in mano ai bolscevichi e nel contempo un uomo gli sputò.[2]; anche Mastroianni fu offeso[1]. Si ipotizzò il sequestro della pellicola per motivi di ordine pubblico.[3] Jean Toschi Marazzani Visconti, cugina di Luchino Visconti, era presente all'anteprima milanese e afferma che "Fischi e insulti di quella sera fecero più notizia degli applausi. Nell’ipotesi del sequestro, già la mattina dopo, al Capitol, c’era la fila alla cassa. Fascino del proibito".[3] Fellini ricevette in un solo giorno a Milano 400 telegrammi che lo accusavano di essere comunista, traditore ed ateo.[2] Su Il Giornale, Maurizio Cabona scrive che il regista fu sputato perché "detrattore" della borghesia e dell'aristocrazia.[3] Dino De Laurentiis definì il film come "incoerente, falso e pessimista", e predisse che si sarebbe rivelato una calamità.[4]

Su L'Osservatore Romano comparirono due articoli dal titolo "La sconcia vita" e "Basta!" che criticavano il film e si dicevano essere stati scritti da Oscar Luigi Scalfaro.[1] La posizione del quotidiano della capitale fu appoggiata da influenti personalità del clero, tra cui il cardinale di Milano Montini, il futuro Paoolo VI.[5] I giornali cattolici furono inondati di lettere da parte di personalità ecclesiastiche che condannavano Fellini.[5] Il regista fu scomunicato dal Vaticano e vi furono incitamenti ai fedeli affinché pregassero per l'anima del regista.[6] Alcune frange cattoliche più conservatrici però si affiancarono addirittura alla critica di sinistra.[7] I gesuiti si affiancarono a L'Espresso nell'apprezzare il film: il gesuita Angelo Arpa, studioso di cinema[8], aveva espresso apprezzamento per la pellicola in una trasmissione radiofonica.[3] A Padova, nella Basilica di Sant'Antonio, campeggiava la scritta "Preghiamo per il peccatore Fellini".[3] Arpa, amico personale di Fellini, convinse il cardinale di Genova Giuseppe Siri, presidente dei vescovi italiani, a visionare il film in proiezione privata per convincerlo a non condannare l'opera.[8] La Democrazia Cristiana attaccò il film.[3] Furono fatte due interrogazioni parlamentari da parte di parlamentari democristiani, una alla Camera ed una al Senato.[9] Alla Camera i tre deputati democristiani Quintieri, Pennacchini e Negroni chiesero al Presidente del Consiglio ed ai ministri dell'Interno e dello Spettacolo se fossero a conoscenza dei fatti della prima di Milano e delle critiche che accusavano il film di "infondere un'ombra calunniosa sulla popolazione romana"; l'interrogazione al Senato fu dello stesso tono. Pier Marco De Santi lo reputa un espediente "sottile e farsaico" per chiedere il ritiro della pellicola.[9] Ad Arenzano il sindaco vietò la riproduzione del film.[1] Davanti a questi attacchi, la sinistra fece blocco schierandosi a favore del film, non senza strumentalizzarlo.[1] I comunisti ne sottolinearono il valore di denuncia, mentre i socialisti lo usarono come tema di alcuni manifesti elettorali in cui erano mostrati degli operai con lo slogan "Loro non fanno la dolce vita".[1] La posizione del PCI e degli intellettuali di partito non era comunque a favore del film di Fellini, ma piuttosto una presa di posizione contro l'ipocrisia di una parte di cattolici intollerante e perbenista.[10]

Fellini cercò di difendersi. Nella sua intervista a L'Europeo, il regista dichiarò seccamente che lui ha esposto il problema nel modo più efficace, ma non è suo il compito di trovare una soluzione; quello non sarebbe stato il compito del ragista quale era, ma dei "pastori di anime" e dei "riformatori della società".[11]

Paradossalmente, le critiche da parte di quotidiani cattolici e gli inviti da parte marxista spinsero il pubblico ad affluire in massa ai botteghini.[12]




Critiche della stampa[modifica | modifica wikitesto]

Carlo Bo, eminente intellettuale cattolico, si schierò a favore del film, in contrasto con gli ambienti cattolici più chiusi. Dichiarò che non ci si doveva scandalizzare perché La dolce vita poteva insegnare qualcosa rappresentando gli "effetti del male".

Italo Calvino non intendeva dare molta importanza all'aspetto ideologico del film.[1] A quest'ultimo piacquero moltissimo molte scene del film, ma disprezzò l'episodio dell'omicidio dei figli di Steiner da parte del padre e il suo seguente suicidio, bollandolo come "di astratta faziosità" e commentando:

«Un episodio talmente privo di qualsiasi verità e sensibilità (tale da restare un punto nero per il regista e gli sceneggiatori che ne sono responsabili) ci prova a quali risultati di non-verità può portare una costruzione a freddo di film a ossatura ideologica»

Alberto Moravia non trovò motivi di scandalo[13]; dal punto di vista stilistico del film, che trovò molto interessante, scrisse che Fellini sembra cambiare maniera di rappresentazione a seconda degli argomenti dei vari episodi del film; la gamma di rappresentazioni vanno "dalla caricatura espressiva al più asciutto realismo".[14]

In Francia, dove a Cannes La dolce vita vinse la Palma d'Oro, la stampa mostrò un consenso pressoché generalizzato e parlò del film solo nel merito delle sue caratteristiche e in quanto opera d'arte; anche nella critiche negative non si entrò mai nel merito delle questioni di matrice ideologica e morale come invece successe in Italia.[15] Anche in Spagna il film fu accolto senza scandalizzazioni o critiche ideologiche o religiose, ma si accentuarono gli aspetti religiosi del film.[16] Dagli Stati Uniti giunsero consensi entusiasti.[16]









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Il dizionario Morandini descrive il film come una rappresentazione della Roma di quegli anni, raccontata come una "Babilonia precristiana" ed "una materia da giornale in rotocalco trasfigurata in epica", ed il film è un viaggio nel suo disgusto; il Morandini afferma che La Dolce Vita è uno "spartiacque del cinema italiano" ed "un film cerniera" nella carriera di Fellini.[17]

Fabrizio Borin e Carla Mele insistono su "l'inquietudine dei movimenti curiosi" della "mobilissima" cinepresa: essa si muove "accanto, addosso e dentro il cuore degli avvenimenti", mentre alcune volte si "paralizza", quasi a rappresentare le fotografie istantanee dei paparazzi.[18] Nello stesso libro gli autori vedono il protagonista Marcello come un elemento passivo e indeterminante per lo svolgimento della trama; lo sguardo del protagonista muta frequentemente insieme all'osservazione del regista ed è insofferente sia "all'equilibrio realistico" che alla "distorsione compositiva".[18]

Philip French scrive sul The Observer che al giorno d'oggi il film ormai ha perso la sua capacità di scioccare, ma non quella di affascinare, stimolare e provocare, e rimane un'opera di grande impatto morale e visivo.[2]

Bosley Crowther, nella sua recensione per il New York Times, scrive che il moderno stile di vita rappresentato da Fellini, allucinante e con stile quasi circense, è il primo ad essersi guadagnato l'aggettivo "felliniano"[19].[20]

In un suo intervento del 4 settembre 2008 sul suo giornale on-line, il critico e premio Pulitzer Roger Ebert afferma che alla domanda "Quale sarebbe il tuo film preferito?" egli risponderebbe "La Dolce Vita", ed aggiunge che si tratta di un film che non invecchia mai.[21] Nella sua recensione del 1961 affermò che l'eccellenza tecnica con cui fu fatto il film superava qualsiasi produzione che avesse visto prima, eccetto qualche classico di Ingmar Bergman, e che la fotografia e la colonna sonora hanno la stessa importanza dei dialoghi nel portare l'attacco alla "dolce vita".[22] Questo attacco sarebbe creato anche dal frequente simbolismo, benché esso diventi troppo ovvio per inserirsi nella fluidità della trama; Ebert suppose che proprio il simbolismo molto comprensibile del film ne ha contribuito al successo.[22] In cima alla sua recensione sul sito del Chicago Sun-Times, Ebert fa notare in una nota che adesso considera La dolce vita come uno dei più grandi film che abbia mai visto collocandolo nella sua top ten personale[23], mentre nella sua recensione del 1961, scritta quando frequentava ancora il secondo anno di college, non rispecchia la sua attuale alta considerazione del film.[22]


In un suo articolo sulla BBC News, Duncan Kennedy riporta che ne La dolce vita i dialoghi, i personaggi e i soggetti diventano "audaci, impegnativi e avvincenti".[24] Il giornalista scrive che molte scene del film, che definisce "pietra miliare", abbiano cambiato la regia nel cinema; Kennedy scrive che La dolce vita spazzò via il "familiare e stereotipato" modo di fare cinema del periodo post-bellico: furono abbattuti tabù, vecchie idee e metodi.[24]


Nel film si possono trovare riferimenti all'omicidio di Wilma Montesi. Sul The Observer, Philip French scrive che questo caso di cronaca nera ha in parte ispirato il film.[2] Il corpo di Wilma Montesi fu ritrovato su una spiaggia di Roma nel 1953 e nei due anni successivi vennero fuori insabbiamenti politici, cospirazioni criminali e un mondo di droga ed orgie che coinvolgeva celebrità, criminali e politici. La creatura marina ritrovata sulla spiaggia nelle sequenze finali del film sembra evocare proprio l'omicidio della Montesi.[2] Anche secondo la storica statunitense Karen Pinkus la creatura arenata rappresenta in modo simbolico Wilma Montesi.[25] Secondo la Pinkus, l'intero film contiene riferimenti al caso; anche la figura dei paparazzi è stata ispirata da quella dei cronisti che si occuparono dell'omicidio.[25]

Alcuni studiosi di Fellini hanno suggerito invece un'interpretazione religiosa della sequenza della creatura marina paragonandola con Cristo.[2] Nell'arte paleocristiana Gesù era rappresentato con un pesce ed uno dei pescatori che ritrova l'animale afferma che il pesce deve essere morto da tre giorni; questa scena collimerebbe quindi con la sequenza iniziale, anch'essa a tema religioso, che mostra l'elicottero con a bordo Marcello che ne segue un altro che trasporta una statua di Cristo al Vaticano.

La dolce vita servirà nel 1963 come pietra di paragone per comprendere l'ambiente di aristocratici, politici, prostitute e personaggi dello show business che furono coinvolti nello Scandalo Profumo.[2]

Roger Ebert afferma nella sua recensione del 1961 che il simbolismo del film contribuì al suo successo perché "tangibile", cioè più comprensibile agli spettatori comuni dei cinema.[22] Soprattutto nelle due scene finali, ovvero il ritrovo del mostro marino e la giovane ragazza che chiama Marcello il quale non la riconosce, il simbolismo traspare quasi in superficie.[22]

Philip French scrive che La dolce vita è una "satira in grande scala" ed un'efficace metafora visiva il cui bersaglio è una società empia che è divenuta quasi una specie di inferno, ed infatti nel film vi sono riferimenti a Dante Alighieri.[2] Questa società è stata anche comparata - giustamente secondo French - con la moribonda Europa post-bellica della prima guerra mondiale presentata nell'opera di T. S. Eliot La terra desolata.[2] Per estendere la metafora di questa società ad altri paesi, le celebrità viste nel film provengono da varie nazioni straniere.[2]

Nel giornale gesuita Civiltà Cattolica, la ragazza bionda nella scena finale che alla spiaggia chiama Marcello, che non la riconosce e si allontana, venne interpretata come l'immagine della grazia divina.[1]

Simbolismo[modifica | modifica wikitesto]

Sia Pier Paolo Pasolini, nella sua recensione che fu pubblicata da Filmcritica, sia Italo Calvino su Cinema Nuovo, scrissero che La dolce vita è un film ideologico cattolico.[1] Pasolini disse che La dolce vita si trattava de "il più alto e più assoluto prodotto del cattolicesimo" di quegli ultimi anni;

I Gesuiti nella loro rivista Civiltà Cattolica interpretarono il film come Pasolini.[1] Il gesuita Angelo Arpa affermò in radio che La dolce vita era "la più bella predica che avesse ascoltato"; Alain de Benoist apprezzò la definizione di Arpa e disse che "La Dolce vita testimonia con estrema sensibilità non il crollo della religiosità, ma della sua facciata ben pensante. Scandaloso non era il film, era ciò che denunciava".[3]

Censura[modifica | modifica wikitesto]

In Spagna il film fu proibito dalla censura franchista e fu possibile vederlo solo dopo la morte di Francisco Franco nel 1981 (Franco morì nel 1975).[2]

Il film fu trasmesso in RAI nel 1976, un evento considerato eccezionale per l'epoca, con alcuni brevi tagli, per esempio l'implicita nudità della spogliarellista.[senza fonte]


MAH?[modifica | modifica wikitesto]

Dal canto suo, Fellini non affermò mai che La dolce vita fosse un documentario dell'epoca e di una classe sociale, anche se ammise che il film fu in parte ispirato da fatti reali.[6]

Nonostante Fellini avesse già vinto due Oscar, con La dolce vita Fellini viene conosciuto anche da un pubblico lontano dall'ambiente artistico.[2]

Il mondo cattolico si divise.[3]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e f g h i j Alberto Papuzzi, La dolce vita? Un film cattolico, su lastampa.it, La Stampa, 30 dicembre 2009. URL consultato il 10 aprile 2010.
  2. ^ a b c d e f g h i j k l (EN) Philip French, Italian cinema's sweet success, su guardian.co.uk, The Observer, 17 febbraio 2008. URL consultato l'8 aprile 2010.
  3. ^ a b c d e f g h Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore ilgiornale
  4. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore empire
  5. ^ a b Per Marco De Santi, pag.91
  6. ^ a b Natalia Aspesi, La Dolce Vita ha 50 anni ma sembra scritta oggi- Dopo mezzo secolo ' La Dolce Vita ' fa ancora scandalo, su ricerca.repubblica.it, La Repubblica, 7 febbraio 2010. URL consultato il 12 aprile 2010.
  7. ^ Pier Marco De Santi, pag.75
  8. ^ a b Club Ai gesuiti piace la Dolce Vita il San Fedele riscopre Fellini, su ricerca.repubblica.it, La Repubblica, 3 ottobre 2009. URL consultato il 12 aprile 2010.
  9. ^ a b Pier Marco De Santi, pag.35
  10. ^ Pier Marco De Santi, pag.42
  11. ^ Intervista a Fellini, "L'Espresso", n. 8, 1960. Citato in: Per Marco De Santi, pag.91
  12. ^ Pier Marco De Santi, pagg.74-75
  13. ^ "Paese Sera", 13 febbraio 1960. Citato in: Pier Marco De Santi, pag.22
  14. ^ L'Espresso, 14 febbraio 1960. Citato in Pier Marco De Santi, pag.22
  15. ^ Pier Marco De Santi, pagg.96-97
  16. ^ a b Pier Marco De Santi, pag.99
  17. ^ La dolce vita (1960), su mymovies.it, MyMovies. URL consultato l'8 aprile 2010.
  18. ^ a b Fabrizio Borin; Carla Mele, Federico Fellini, 4ª ed., Gremese Editore, 1999, ISBN 88-7742-385-4.
  19. ^ L'enciclopedia Treccani definisce così l'aggettivo "felliniano": "Relativo al regista cinematografico Federico Fellini (1920-1993) e alla sua opera, soprattutto con riferimento alle particolari atmosfere, situazioni, personaggi dei suoi film, caratterizzati da un forte autobiografismo, dalla rievocazione della vita di provincia con toni grotteschi e caricaturali, da visioni oniriche di grande suggestione". Definizione di "felliniano" (XML), su treccani.it, Treccani. URL consultato il 9 aprile 2010.
  20. ^ (EN) Bosley Crowther, La Dolce Vita (1960), su movies.nytimes.com, The New York Times. URL consultato il 9 aprile 2010.
  21. ^ (EN) Roger Ebert, "What's your favorite movie?", su blogs.suntimes.com, Roger Ebert's Journal, 4 settembre 2008. URL consultato il 9 aprile 2010.
  22. ^ a b c d e (EN) Roger Ebert, La Dolce Vita, su rogerebert.suntimes.com, Chicago Sun-Times, 4 febbraio 1961. URL consultato il 9 aprile 2010.
  23. ^ (EN) Top Ten Polls 2002 - How the directors and critics voted - Roger Ebert, su bfi.org.uk, Sight & Sound. URL consultato il 10 aprile 2010.
  24. ^ a b Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore BBC
  25. ^ a b (EN) Karen Pinkus, The Montesi Scandal: The Death of Wilma Montesi and the Birth of the Paparazzi in Fellini's Rome, Chicago, University of Chicago Press, 2003, ISBN 0-226-66848-7.