Utente:Falco-85/Sandbox5

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L’Irredentismo italiano in Istria (in sloveno Italijanski iredentizem v Istri, in croato Talijanski iredentizam u Istri) fu la spinta politica all'inclusione dell'Istria nell'Italia, che si delineò presso le comunità istriane italiane a partire specie dalla metà dell'Ottocento. Tra i nomi degli irredentisti istriani, spiccano in particolare figure come l’albonese Tomaso Luciani, i capodistriani Carlo Combi e Pio Riego Gambini o il piranese Felice Bennati; il più noto di essi – il capodistriano Nazario Sauro (impiccato dagli austriaci a Pola nel 1916) – diventerà il simbolo della “redenzione” dell’Istria durante la prima guerra mondiale.

Inquadramento storico[modifica | modifica wikitesto]

Inserita sin dall’epoca della romanizzazione nella “Decima Regio” dell’Italia romana “Venetia et Histria” - in base alla riorganizzazione della penisola voluta dall’Imperatore Augusto -, l’Istria fu da allora per lungo tempo considerata una delle terre che composero l’idea di Italia. Vari autori dell’Umanesimo, del Rinascimento sino all’Illuminismo la citavano quale "ultima provincia" o "ultima regione" italiana, sul versante nord-est.

Le caratteristiche del suo popolamento a partire dal medioevo ne fecero comunque una regione strettamente di confine, nell’ambito della più generale "faglia" linguistica, etnica e culturale tra neoromanzi e slavi nell’Adriatico orientale. Questo fece sì che l’Istria, oltre che essere vista come l’estrema terra nordorientale italiana, divenne al contempo terra periferica ad occidente dello spazio etnico sloveno e croato (). Per questa ragione, in Istria si svilupparono nel corso del XIX secolo due tipologie di movimenti nazionali, di segno opposto: da una parte le tendenze risorgimentali italiane, dall’altra quelle degli slavi meridionali. 


La Tragedia mineraria dell’Arsa (in croato Rudarska tragedija u Raša) fu causata da un'esplosione scoppiata all’alba del 28 febbraio 1940 in un pozzo minerario nel comune di Arsia, all'epoca territorio italiano facente parte della Provincia dell'Istria. L'incendio che divampò produsse la morte di 185 operai e il ferimento di altri 149. La tragedia è conosciuta come la maggiore tra i disastri minerari della storia d'Italia[1].

Il bacino carbonifero dell’Arsa[modifica | modifica wikitesto]

Primi sfruttamenti[modifica | modifica wikitesto]

Dopo i primi tentativi di sfruttamento del sottosuolo nella zona di Albona avviati già in epoca veneziana a partire dal XVII secolo[2], le prime consistenti estrazioni di carbone iniziarono però solamente nel secondo periodo di dominazione austriaca in Istria (1813-1918). Nella prima metà del XIX secolo fu attiva nelle miniere di Carpano la società Adriatische Steinkohlen-Gewerkschaft in Dalmatien und Istrien guidata dal barone Rotschild, e nella seconda metà del secolo iniziò lo sfruttamento anche la Wolfsegg-Traunthal che nel 1879 inaugurò la miniera di Vines. Le proprietà di tutti i giacimenti minerari dell’Albonese vennero poi rilevate nel 1881 dalla viennese Trifailer Kohlenwerks-Gesellschaft, che intensificò l'attività di estrazione (aprendo anche il pozzo di Stermazio) e rinnovò le strutture attraverso la modernizzazione dei macchinari e avvalendosi inoltre dei primi collegamenti ferroviari al posto delle carrozze. La produzione di carbone salì quindi nel corso degli anni dalle 90.000 tonnellate annue toccate a fine ottocento fino alle 200.000 dei primi anni del nuovo secolo. Dato ciò, nel corso della prima guerra mondiale le miniere dell’Albonese assunsero un ruolo non indifferente per lo sforzo bellico dell’Impero Austro-ungarico, ancor di più considerando il graduale trapasso della Trifail da società esclusivamente a capitale esclusivamente privato a colosso industriale di importanza statale[3].

Il dopoguerra[modifica | modifica wikitesto]

Il termine del conflitto - che vide il passaggio dell'Istria all'Italia - ridisegnò completamente l'assetto societario. La proprietà del complesso passò nel 1919 alla neocostituita Società Anonima Carbonifera Arsa, il cui 60% del pacchetto azionario complessivo fu ceduto dalla Trifail ad una cordata di investitori italiani (tra cui spiccava il presidente della FIAT Giovanni Agnelli). Passati i difficili anni del dopoguerra - segnati soprattutto da disordini come la rivolta della Repubblica di Albona nel 1921 - e terminata anche alla fine degli anni Venti la partecipazione azionaria dei Brunner, a partire dal 1930 si inaugurò una nuova fase di sviluppo con l'ingresso sempre più massiccio del capitale pubblico. Rispetto infatti ai tentennanti e non soddisfacenti risultati degli anni precedenti, dalla metà degli anni Trenta la produzione annua di carbone nell'area crebbe fino alle 700.000 tonnellate complessive, per a toccare il milione nel 1939.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ In Italia è luogo comune ritenere la maggiore tragedia mineraria italiana quella di Marcinelle, in Belgio, avvenuta l'8 agosto 1956. In realtà in quell'occasione perirono 136 minatori italiani, sul totale di 262 vittime complessive di varia nazionalità. Il che fa comunque di Marcinelle la maggiore tragedia di minatori italiani all'estero.
  2. ^ Nel 1626 il Consiglio dei Dieci della Repubblica di Venezia accordò a tale Filippo Veranzi “l’investitura delle Miniere di Alume di Rocca et Pegola che sono nel territorio di Albona et per quattro miglia d’intorno”, mentre analoga concessione veniva rilasciata nel 1659 al notaio albonese Lodovico Dragogna “per la miniera di pegola dura sita nelle costiere di San Zaccaria sotto la strada di Carpano”. E’ a partire però dal 1785 che si conoscono le prime estrazioni di una certa consistenza: con circa cinquanta operai, venivano estratte attorno alle 500 tonnellate di carbone all’anno, quasi tutte destinate alla raffineria degli zuccheri di Fiume. Cfr T. Vorano, Le miniere istriane. Quattro secoli di attività mineraria in Istria in Arsia. 28 febbraio 1940, Circolo di cultura istro-veneta "Istria", Trieste 2007, p. 6.
  3. ^ T. Vorano, Le miniere istriane, cit., pp. 9-10.