Tito Romilio Roco Vaticano

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Tito Romilio Roco Vaticano
Console della Repubblica romana
Nascita490 a.C. circa
Mortedopo il 451 a.C.
GensGens Romilia
Vigintivirato451 a.C.
Consolato455 a.C.

Tito Romilio Roco Vaticano (in latino: Titus Romilius Rocus Vaticanus; 490 a.C. circa – dopo il 451 a.C.) fu un politico della Repubblica romana.

Apparteneva alla patrizia gens Romilia, e sia suo padre che suo nonno si chiamavano Tito, secondo quanto riportato dai Fasti consolari.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Fu eletto console assieme a Gaio Veturio Cicurino nel 455 a.C.[1].

Il consolato iniziò con il forte dissenso tra i Consoli e i Tribuni della plebe, sulla necessità di procedere alla leva militare, sostenendo i tribuni, che si trattasse dell'usuale manovra per non portare a votazione la distribuzione delle terre pubbliche. Alla fine sembrò che i plebei riuscissero a portare la legge a votazione, ma i Patrizi vi si opposero, anche fisicamente, impedendo che si formassero le tribù per le votazioni, od ostacolando l'attività di quanti erano addetti alle votazioni. Si arrivò anche alla citazione in giudizio dei più facinorosi tra gli oppositori dei patrizi, che però, condannati a pene pecuniarie, furono rifusi dagli altri componenti della propria classe. Il tentativo di portare la legge in votazione, fu però definitivamente stroncato dalla notizia delle razzie portarta dagli Equi a danno dalla città alleata di Tusculum[2].

I Tuscolani chiesero l'aiuto dei Romani contro le incursioni degli Equi, che i due consoli affrontarono e sconfissero in battaglia nei pressi del monte Algido. Romilio e Cicurino decisero di vendere il bottino per rimpinguare le vuote casse dell'erario, ma così facendo si inimicarono i plebei, che costituivano la gran parte dell'esercito, e che avevano sperato di spartirsi quel bottino[3].

L'anno dopo, nel 454 a.C., convocato in giudizio dal tribuno della plebe Gaio Calvo Cicerone, con l'accusa di aver illecitamente impedito che il bottino fosse diviso tra i soldati, e riconosciuto colpevole, venne condannato a pagare una pesante multa di 10.000 assi di bronzo[3].

Nel 451 a.C. fece parte del primo decemvirato, che elaborò le Leggi delle X tavole, completate dal successivo decemvirato, che emise le Leggi delle XII tavole[4].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Dionigi, Antichità romane, Libro X, 33.
  2. ^ Dionigi, Antichità romane, Libro X, 33-43.
  3. ^ a b Tito Livio, Ab Urbe Condita Libri, Libro III, 2, 31.
  4. ^ Tito Livio, Ab Urbe Condita Libri, III, 31-33.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Predecessore Fasti consulares Successore
Marco Valerio Massimo Lettuca
e
Spurio Verginio Tricosto Celiomontano
(455 a.C.)
con Gaio Veturio Cicurino
Spurio Tarpeio Montano Capitolino
e
Aulo Aternio Varo
I
Appio Claudio Crasso Inregillense Sabino
e
Tito Genucio Augurino
(451 a.C.)
con Primo decemvirato
Secondo decemvirato (450 – 449 a.C.) II