Nefele (moglie di Atamante): differenze tra le versioni
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'''Nefele''' ({{lang-grc|Νεφέλη|}}) da {{greco|νέφος}}, ''nephos'', "nuvola"<ref>{{cita|Grimal|p. 438.|Grimal}}</ref>) è una figura della [[mitologia greca]], una [[Ninfe|ninfa]] delle [[nuvola|nubi]]. |
'''Nefele''' ({{lang-grc|Νεφέλη|}}) da {{greco|νέφος}}, ''nephos'', "nuvola"<ref>{{cita|Grimal|p. 438.|Grimal}}</ref>) è una figura della [[mitologia greca]], una [[Ninfe|ninfa]] delle [[nuvola|nubi]]. |
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== Mitologia == |
== Mitologia == |
Versione delle 13:26, 16 giu 2018
Nefele | |
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Nefele, seduta vicino ad Ermes durante la punizione di Issione | |
Nome orig. | Νεφέλη |
Caratteristiche immaginarie | |
Specie | Ninfa delle nubi |
Sesso | Femmina |
Professione | - Regina della Beozia |
Nefele (in greco antico: Νεφέλη?) da νέφος, nephos, "nuvola"[1]) è una figura della mitologia greca, una ninfa delle nubi.
Nefele fu madre di un centauro avuto da Issione[2] ed in seguito sposò Atamante e divenne madre di Frisso e di Elle[3].
Mitologia
Nefele fu creata come nuvola da Zeus che creò ad immagine e somiglianza di Era per mettere alla prova Issione che aveva dimostrato il suo desiderio nei confronti di Era durante una festa in cui era ospite di Zeus. Issione fu così sorpreso e punito e Nefele partorì un centauro[2].
Atamante, che fu suo marito e padre dei due figli l'abbandonò per Ino che per invidia cercò di farli sacrificare agli dei e per salvarli, Nefele mandò loro il Crisomallo (l'ariete dal vello d'oro) perché li portasse via[3].
In seguito i due figli volarono sull'ariete[4] e Frisso giunse in Colchide[5] dove il vello d'oro fu successivamente preso da Giasone e dagli Argonauti[6].
Note
- ^ Grimal, p. 438.
- ^ a b Pseudo-Apollodoro, Biblioteca, Epitome I, 20 su theoi.com (In inglese)
- ^ a b Pseudo-Apollodoro, Biblioteca, libro I. 9. 1 su theoi.com (In inglese).
- ^ Apollonio Rodio, Le Argonautiche, libro I, 247, 261, 763. su theoi.com (In inglese)
- ^ Igino, De Astronomica libro II, 20 RAM su theoi.com (In inglese)
- ^ Apollonio Rodio, Le Argonautiche, libro I, 768. su theoi.com (In inglese)
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