Criselefantino: differenze tra le versioni
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Versione delle 16:32, 9 lug 2013
L'aggettivo criselefantino[1][2] o crisoelefantino deriva dal greco χρῡσελεφάντινος chrȳselephántinos[3], che significa "fatto d'oro" (χρυσός, chrysós)[3] "e d'avorio" (ἔλεφας, élephas)[3].
Il termine è generalmente usato al femminile, come attributo dei sostantivi scultura e statua.
Esso si riferisce infatti ad una tecnica adoperata nella Grecia antica, che consisteva nel ricoprire con un sottile strato di avorio una struttura di sostegno che rimaneva invisibile: si utilizzava l'avorio per il volto, le braccia, le gambe di una statua, mentre il panneggio delle vesti e i capelli venivano realizzati con l'oro.
Lo scultore più famoso per la realizzazione di statue criselefantine nell'antichità fu il greco Fidia, di cui si ricordano la statua di Zeus a Olimpia e quella di Atena Parthenos nel Partenone.
Anche lo scultore Policleto realizzò statue con questa tecnica: di lui si sa che fece una statua di Era ad Argo.
Riconducibili a questa tecnica, in età romana, furono le statue colossali con testa e parti nude del corpo in marmo bianco, mentre le vesti erano realizzate in altri materiali retti da strutture di sostegno. Ne è un esempio la statua colossale di Costantino I di cui si conservano la testa, una mano e un piede nel cortile del palazzo dei Conservatori a Roma.
Sempre in età romana non furono rare le statue realizzate in blocchi di marmo colorato per le vesti, la cui testa e gli arti erano scolpiti in marmo bianco.
Note
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