Compassione (buddismo): differenze tra le versioni
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Versione delle 14:13, 7 ott 2009
Nel Buddhismo, la compassione è un vissuto del desiderio del bene nei confronti di ogni essere senziente.
Esso viene indicato con i due termini sanscriti di:
- karuṇā nel significato di "pietà", "misericordia", "vissuto di dolorosa empatia" reso in lingua cinese come 悲 bēi, in giapponese hi, in tibetano snying rje;
- maitrī nel significato di "amore", "benevolenza", "carità", reso in lingua cinese come 慈 cí, in giapponese ji, in tibetano byams pa.
Nelle lingue asiatiche correlate al Canone buddhista cinese il termine "compassione buddhista" viene indicato nell'unione dei due precedenti termini:
- cinese: 慈悲 cíbēi;
- giapponese: jihi;
- coreano: 자비 chabi;
- vietnamita từ bi.
Nel Buddhismo Mahāyāna la "compassione" (karuṇā) rappresenta unitamente alla "saggezza" (prajñā) i due pilastri delle proprie dottrine e pratiche religiose.
La dottrina e la pratica mahāyāna della "compassione" si fondano sulla consapevolezza della "Verità della Via mezzo" (sanscrito mādhya-satya) ovvero sulla compresenza della "assolutezza" o vacuità (śūnyatā-satya) e della "singolarità" o "provvisorietà" (saṃvṛti-satyadi) di ogni aspetto della Realtà ultima per cui essendo "Tutto" privo di esistenza intrinseca, indipendente, ogni fenomeno esiste sia nella sua natura soggettiva ("convenzionale") e contemporaneamente nella sua relazione con gli altri ("assoluta") rappresentando la "singolarità" come una delle molteplici manifestazioni di un'unica Realtà ultima, singole facce di un «grande brillante»: le distinzioni che la mente opera di continuo, unicamente dividendo e classificando in categorie le percezioni, sono viste, dunque, come illusorie ed anche l’ego se non compreso anche olisticamente con l'intera Realtà è solo un'illusione poiché non esiste un io separato da tutto il resto.
Nel Buddhismo Mahāyāna il principio della "compassione" è rappresentato dal bodhisattva cosmico Avalokiteśvara.