Crisi del XVII secolo: differenze tra le versioni

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Stretto tra il [[XVI secolo|secolo del Rinascimento]], dell'[[XVI secolo|unificazione del globo]], ed il [[XVIII secolo|secolo dell'Illuminismo]] e dall'avvio della [[Rivoluzione industriale]]; il [[XVII secolo]] non ha mai goduto di una buona [[stampa]]: già agli osservatori immediatamente successivi, esso appare come un'epoca segnata dalla violenza e dal declino - una sorta di parentesi difficlmente spiegabile nel cammino verso il progresso.
Stretto tra il [[XVI secolo|secolo del Rinascimento]], dell'[[XVI secolo|unificazione del globo]], ed il [[XVIII secolo|secolo dell'Illuminismo]] e dall'avvio della [[Rivoluzione industriale]]; il [[XVII secolo]] non ha mai goduto di una buona [[stampa]]: già agli osservatori immediatamente successivi, esso appare come un'epoca segnata dalla violenza e dal declino - una sorta di parentesi difficlmente spiegabile nel cammino verso il progresso.


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Come tutti i grandi problemi [[storiografia|storiografici]], anche quello della crisi del Seicento rimane una questione aperta.
Come tutti i grandi problemi [[storiografia|storiografici]], anche quello della crisi del Seicento rimane una questione aperta.

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==Bibliografia==
==Bibliografia==

Versione delle 06:51, 23 lug 2009

Stretto tra il secolo del Rinascimento, dell'unificazione del globo, ed il secolo dell'Illuminismo e dall'avvio della Rivoluzione industriale; il XVII secolo non ha mai goduto di una buona stampa: già agli osservatori immediatamente successivi, esso appare come un'epoca segnata dalla violenza e dal declino - una sorta di parentesi difficlmente spiegabile nel cammino verso il progresso.

Questa valutazione venne poi proposta soprattutto dagli storici della Germania, della Spagna e dell'Italia che risentirono maggiormente degli indubbi aspetti negativi del XVII secolo.

La ricerca delle cause

Verso la metà del XX secolo, tuttavia, si cercò per la prima volta di offrire una spiegazione complessiva che rendesse ragione dei fenomeni osservati da chi studiava quel periodo storico, senza limitarsi ad argomentazioni contingenti: la Guerra dei trent'anni, la Fronda, le rivoluzioni inglesi, le epidemie, le crisi agrarie e le difficoltà che colpirono le manifatture di buona parte dell'Europa vennero considerati alcuni aspetti di un più generale malessere della società europea e furono viste come sintomi, anziché come cause.

Il dibattito storiografico sulla crisi del '600

Prese così forma un vero e proprio dibattito storiografico su quella che si cominciò a definire "la crisi del Seicento". Naturalmente, il tentativo di trovare una spiegazione generale produsse interpretazioni diverse e spesso contrastanti.

L'interpretazione degli storici italiani

Riguardo alla crisi del '600 che colpì particolarmente l'Italia non solo nel campo economico ma anche in quello culturale si sono avvicendate diverse interpretazioni.

Amintore Fanfani

Secondo Fanfani il problema della nostra decadenza economica e culturale risale al secolo XVI quando l'Italia comincia a risentire della Rivoluzione dei prezzi.

«É abbastanza noto che le classi dirigenti dell'economia italiana nel corso del Cinquecento passano dall'industria e dal commercio ai prestiti mobiliari e agli investimenti fondiari; in altre parole si trasformano da categorie a reddito mobile a categorie a reddito fisso; da proprietari di merce la cui stima cresce continuamente per effetto del generale aumento dei prezzi a proprietari di capitali mobiliari ed immobiliari (se affittati) che a scadenza fissa daranno un reddito prederminato , il cui potere d'acquisto nel frattempo si riduce» [1] Alcuni storici considerarono le difficoltà dell'Europa secentesca come la conseguenza dell'incapacità dell'agricoltura di fare fronte alla crescita demografica: da qui sarebbero discese le carestie, le tensioni sociali e le guerre.

Eric Hobsbawm

Secondo altri studiosi, tra i quali Eric Hobsbawm, «...la crisi fu dovuta in primo luogo all'incapacità di eliminare alcuni ostacoli di natura generale che impedivano il passaggio ad un sistema capitalistico pienamente sviluppato»: a loro parere, nonostante lo sviluppo verificatosi nel corso del XVI secolo, la società europea sarebbe rimasta essenzialmente una società feudale e ciò avrebbe ostacolato lo sviluppo del mercato e la trasformazione delle tecniche produttive.

Fernand Braudel

Altri storici, come il francese Fernand Braudel, hanno sottolineato come la crisi del Seicento ebbe conseguenze diverse sulle varie regioni europee , favorendo l'insorgere di nuovi rapporti di forza internazionali: in pratica, secondo questa interpretazione, ci sarebbero stati anche dei vincitori, oltre che dei vinti, e dalla crisi sarebbe uscito un sistema economico internazionale più gerarchizzato.

Hugh Trevor-Roper

Vi sono poi studiosi, come l'inglese Hugh Trevor-Roper, i quali hanno prestato attenzione soprattutto alle tante rivolte e rivoluzioni del periodo in questione, individuandone la causa di fondo nella crescita del peso economico e politico delle corti e degli apparati burocratici, espressione e strumento della volontà di centralizzazione del potere dello Stato moderno.

Tutte queste interpretazioni hanno arricchito il quadro delle nostre conoscenze, senza però che si sia giunti ad un consenso generale.

Come tutti i grandi problemi storiografici, anche quello della crisi del Seicento rimane una questione aperta.

Note

  1. ^ A. Fanfani, Storia del lavoro in Italia dalla fine del secolo XV agli inizi del XVIII, ed. Giuffrè, Milano, 1999

Bibliografia

  • Eric Hobsbawm, La crisi generale del XVII secolo in: Crisi in Europa, 1560- 1660, Napoli, Giannini, 1968, pp. 5-81
  • Jan De Vries, Economy of Europe in an age of crisis, 1600-1750
  • Romano Ruggiero, L' Europa tra due crisi. XIV e XVII secolo
  • Fernand Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II, voll. 2. Torino, Einaudi, 1953

Voci correlate


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