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Renato Begnoni (Villafranca di Verona, 12 febbraio 1956) è un fotografo e artista italiano conosciuto grazie al suo lavoro di ricerca artistica in campo fotografico, alle numerose pubblicazioni editoriali in ambito artistico e commerciale ma soprattutto grazie alle numerose mostre collettive e personali nazionali e internazionali a cui ha partecipato a partire dalla metà degli anni ‘90 [1]

La formazione

Renato Begnoni si forma all’ Accademia Cignaroli di Verona dove studia pittura e, ancora prima di terminare gli studi, inizia a lavorare come assistente fotografo a Verona. Nel 1985 vince la borsa di studio della Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia e nel 2002 vince il Premio Friuli Venezia Giulia Fotografia. Dal 1986 inizia la sua carriera professionale nel campo della fotografia di architettura, di still-life, di reportage e di ritratto [2].

La tecnica

Per produrre le sue opere l’artista usa una tecnica mista [3]. che sta tra fotografia e pittura in quanto egli colora alcune zone delle sue stampe fotografiche solo con tecniche analogiche e mai digitali [4]. Già nei primi anni dopo l’invenzione della fotografia i fotografi colorano le stampe fotografiche ma l’artista personalizza questa antica usanza con una metodologia personale in quanto usa i pigmenti dei colori a tempera oppure le matite colorate polverizzandone i pigmenti direttamente sulle stampe “fissando [i pigmenti sulla] superficie colorata a piccole zone” [5] facendo diventare ogni stampa fotografica un’opera unica [6]. Negli anni ‘90 e inizi 2000 [7] il fotografo inizia a stampare le sue fotografie su supporti Cibachrome di grande formato [8] e a partire dagli anni ‘10 del 2000 [9] il supporto che sceglie è la carta cotone [10].

La ricerca artistica e il linguaggio fotografico

La sua ricerca fotografica inizia negli anni ‘80 con la rappresentazione di oggetti della quotidianità per poi concentrarsi progressivamente, verso la fine degli anni ‘80, su particolari architettonici e circuiti stampati anticipando l’interesse del MoMa di New York che dedica ai microchip una mostra nel 1990[11]. Gli interventi compiuti direttamente sulle stampe si integrano talmente bene alla fotografia a colori che nella maggior parte dei casi non si notano facilmente ma creano un effetto che non è solo estetico ma che fa calamitare l’attenzione verso alcuni particolari che il semplice scatto fotografico non elaborato non sarebbe in grado di far emergere[12]. A partire dal 2000 l’attenzione si sposta definitivamente verso la figura umana “vero centro della ricerca, con il suo corpo, la sua sofferenza e la sua spiritualità” [13] integrando in alcuni casi anche le immagini di radiografie dei soggetti fotografati. Lo storico della fotografia Italo Zannier definisce surreale l’opera dell’artista[14], la critica di fotografia Giuliana Scimè dice che “con l’aggiunta di particolari inesistenti, crea un’immagine come è dentro di lui e non esiste nella realtà”, “immagini che non esistono se non nell’esperienza di una visione interiore”[15] e Ferruccio Giromini afferma che le sue “opere partono dal figurativo per raggiungere effetti di astrazione, anche visiva oltre che concettuale. Partono dall’esteriore per significare un interiore”[16].

La genesi delle opere

Le opere fotografiche dell’artista nascono molto prima dello scatto da una ricerca per poi arrivare alla ripresa fotografica che avviene in un singolo scatto oppure con una doppia esposizione[17]. Una volta che la fotografia è stampata il fotografo la mette da parte e dopo un lungo periodo di riflessione inizia il lavoro di post-produzione che consiste nel lavorare sulla stampa fotografica depositando solo in alcune zone la polvere delle matite colorate o il pigmento della tempera direttamente sulla stampa per poi fissarle sulla superficie.

Note

  1. ^ Zannier 1999,  p. 51.
  2. ^ Giromini 2006,  p. 21.
  3. ^ Del Vescovo 2017,  p. 10
  4. ^ Giromini 2006,  p. 21
  5. ^ Zannier 1999,  p. 51
  6. ^ Zannier 1999,  p. 51
  7. ^ Meneguzzo 2014
  8. ^ Scimè 2003,  p. 99
  9. ^ Meneguzzo 2014
  10. ^ “Dal 2008, quando ho avuto la possibilità di conoscere New Lab di Brescia, le mie opere di ricerca le stampo su carta Hahnemuhle .Matt fine art 306 Rag, 100% Cotton white. Una carta ideale per il mio tipo di intervento pittorico sulla superficie fotografica.” "Renato Begnoni", su newlabphoto.it.
  11. ^ Scimè 1992,  p. 89
  12. ^ Scimè 2003,  p. 99
  13. ^ Lombardo 2016,  p. 55
  14. ^ “La fotografia di Begnoni diventa tanto più vera quanto più ci appare surreale” Lombardo 2016,  p. 55
  15. ^ Scimè 2003,  p. 99
  16. ^ Giromini 2006,  p. 20
  17. ^ Maria Vittoria Adami, Begnoni protagonista sul sito nazionale Nikon, su larena.it, 28 gennaio 2017.

Bibliografia

  • Italo Zannier, “Renato Begnoni. Il mio archivio”, in Fotostorica, n. 3/4, Treviso, Canova, aprile 1999, pp. 50-51.
  • Ferruccio Giromini, "Con i miei occhi", in FOTO-Graphia, n. 120, Milano, Stampa Arti Grafiche Salea, anno XIII aprile 2006, pp. 21.
  • Dino del Vescovo, Speciale Nikon Photography, n. 8, Cernusco sul Naviglio, Sprea, aprile 2017, pp. 10-11.
  • Giuliana Scimè, Il fotografo, mestiere d’arte, Milano, Il Saggiatore, febbraio 2003, pp. 98-99.
  • Vera Meneguzzo, Begnoni tende una mano vera al dolore Natura in sospeso tra ispirazione e palco, su larena.it, L’Arena di Verona, 5 giugno 2014. URL consultato il 02/04/2021.
  • newlabphoto.it, https://www.newlabphoto.it/interviste/renato-begnoni/. URL consultato il 02/04/2021.
  • Giuliana Scimè, "Renato Begnoni", in Zoom, n. 118, Milano, Ed. Progresso, luglio/agosto 1992, pp. 88-92.
  • Irene Lombardo, “Renato Begnoni. Storie diverse nel tentativo di indagare l’essere umano e la sua unicità”, in Il Fotografo, n. 286, Cernusco sul Naviglio, ed. Sprea, ottobre 2016, pp. 54-55.
  • Ferruccio Giromini, "Con i miei occhi", in FOTO-Graphia, n. 120, Milano, ed. Stampa Arti Grafiche Salea, anno XIII aprile 2006, pp. 20-21.

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