Santuario di Santa Maria delle Grazie (Forlì)

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Santuario di Santa Maria delle Grazie
StatoBandiera dell'Italia Italia
RegioneEmilia-Romagna
LocalitàFornò (Forlimpopoli)
Indirizzovia del Santuario 22 ‒ Fornò – Forlì (FC)
Coordinate44°13′35.28″N 12°06′50.18″E / 44.226468°N 12.113939°E44.226468; 12.113939
Religionecattolica di rito latino (originariamente: di rito bizantino)
TitolareSanta Maria
Diocesi Forlì-Bertinoro
FondatorePietro Bianco
Inizio costruzioneXV secolo

Il santuario di Santa Maria delle Grazie di Fornò sorge nella frazione di Fornò, ad est di Forlì, verso la zona industriale e in direzione Forlimpopoli.

Storia e descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Facciata del santuario
Il santuario all'inizio del Novecento e come appare nel dopoguerra. Il campanile è stato distrutto durante la seconda guerra mondiale

La costruzione, che risale alla seconda metà del XV secolo, ebbe come fondatore Pietro Bianco (Pjetër Bardhi) da Durazzo. Sul portale d'ingresso è visibile lʼiscrizione:

«LʼANNO DEL GIUBILEO 1450 MI PIERO BIANCO DA DURAZZO

PRINCIPIAI QUESTA CHIESA DI SANTA MARIA DI MISERICORDIA E DI GRAZIA FACTA CON TUTI I BENI E ORNAMENTI SUOI BELLISSIMI A DIO NOSTRO DILETTISSIMO SIGNORE DEGNISSIMO SALVATORE ETERNO PER SEMPRE IN SECULA.»

Incisi sulla pietra si leggono, con abbondante sicurezza, sia il nome del fondatore, che l'anno d'inizio dell'opera.

«Uno romito de nove abbito vestido biancho arivò a Forlì in l'anno 1450: començò avere fama con molta devoçione. Senpre demostrando el nostro Criatore le sue vie de salute a chue atende e volge a la nostra Donna e madre e spoxa del bon Yhesù, sichomo per esperiença demostra d'uno romito de paexe alieno e forse albanexe, chiamado per nome Piero, solitario de vita apostolicha.

È omo robusto; non tocha dinare; non calça nè scarpe nè calçe, nè porta camixa nè sacha nè frasca; vive segondo che gl'è dado a mangare a la chaxe, e non va çerchando se non quando la fame el tocha: parla pocho.

Avenne che el fè principio dentro da la terra presso apresso la porta di Codogni; edifichò una celletta como fosse uno oratorio, e poxegle nome Santa Maria da le Gratie, e començò ad aver concorso.

E molte fiade lue andava as-Siena, e staxea lì per sie mixe a la volta, può tornava. E senpre la devoçione cresseva maore in tanto che alcuna persona l'adorava.»

Così Giovanni Merlini, detto Giovanni di Mastro Pedrino Depintore (Forlì, 1390 ca. – ivi, 1465), autore di una bella e nota Cronica della sua città, descrive Pietro Bianco da Durazzo, l'uomo da cui tutto comincia.

I tre più noti cronisti forlivesi del tempo (Mastro Pedrino, Cobelli e Bernardi, detto il Novacula) non possono ignorarlo e riferiscono preziose notizie.

«Eodem millesimo [1450], ariuò in Forliuio uno romito uestito bianco de stran paese (credo sia albaneso); lo quale non porta scarpe ni zoccoli ni calzi, ua discalzo e non porta camisa, dormi in terra supra un asse con una barba, non tocca dinari, non cerca per l'amor de Dio, si non como è chiamato d'alcuno homo da bene a manzare; et à principiata apresso al muro de la terra de la porta dei Codugni una chisiola, a modo d'una maistà, de la deuocione de la Nostra Donna: égli dato credito.

E nel dicto milesimo questo fra' Piero andando in la uilla de Furnuo, uilla del teren forloueso, inscontrò certi contadini su un pra', li quali minaua una affactorada.

Quilli contadini pregoro frate Piero che fesse preghi a Dio che desse la sanità a quella affactorada.

El dicto fra' Piero si inzonochiò in terra in quello prado: subito quella affactorada fo libera, e disse che ella uedeua una dona in l'aria con uno pucto in bracio.

Disse fra' Piero: — Quanto è alta? — Disse quella affactorata: — Poco —. Disse fra' Piero: — Quanto mo? — Ella disse: — Tolite quella lancia e datimela, io ue 'l mostrarò —. E tolta la lancia, disse l'affatorada: — Io la tocco —.

Àlhora quilli contadini donoro quello prado a la Nostra Donna e a fra' Piero.

El dicto fra' Piero fe' fare un pilastro de quella alteza in quello proprio loco, per modo che si cominciò una deuocione, e tuctauia facendo de gran gracie e miracoli: per modo che ogi dì è facto un bello loco de' frati (in margine, di carattere del secolo XVI, è aggiunto: - De' canonici regulari de l'ordine di sancto Agostino e congregatione di santo Salvatore) et è una bella deuocione con gran perdonanze ongne prima dominica del mese.

E quisto io uidi dal principio che fo edificada e facto lo pilastro: fo del 1450 per el pardon.»

In tal modo lo presenta Leone Cobelli (Forlì, 1425 – ivi, 1500) storico-cronachista e pittore, autore delle Cronache Forlivesi, la cui narrazione copre la storia dalle origini fino al 1498.

«Fra’ Piero biancho da Durazo, romito edificatore dela predita ghiesia intitolata santa madre Maria dale gratie, posta in al contà de Forlì aprese ala vila de Fornoe, e fu al tenpo de Pino Hordelaffo signore de dita cità; el quale fra’ Piero andava vestide de biancho ala foza romitana e fu in soa vitta home molte spirtuvale: per le quale sove spirtuvalità siande lui venute habitare ala dita nostra cità de Forlì, immediate come lui fu arivato, andò ad abitare dentre dala porta di Cudugne dreto al fosse che va verso la montagna. [nel margine si legge “1448”]

E lì comenziò a fare grandenisimo horatione ala inmaculata predita Maria che se volese dignare per sova infenita gratia de volere pregare al so unicho fiole misere Yhesù Cristo nostre redenptore che in quelo logo si voia degnare de prestarie alcuna particela dela soa misericordia.

E lì comenciò a fabricare una bela ghiesia come una altra casa, la quale ghiesia per fine al presento si chiama la celetta.

E lì in qele logo, seconde che a mi fu reporto per homine digno de fede, dite fra’ Piero feva grandenisima penetenzia.

Prima lui portava dita sova vestimenta in suso la carne nuda senza alcuno mantille, come una breta biancha da horechie in capo; e tuta via ai pede discalze andava, così d’enverno come de instade.

Et eciam in dito logo dormiva in suso una tola d’abedo, quando acoperto e quando discoperto e tuta via a l’aqua e vente; mo pure niento di meno non pareva che le predito cose ie fesso alcuno nocimento.».

Così lo descrive, invece, Andrea Bernardi, detto Novacula (Bologna ,1450 – Forlì,1522), anch'egli autore di una Cronica della città di Forlì e testimone assai attendibile, essendo stato il barbiere di Pietro.

Le tre “cronache” quattrocentesche sono concordi nel ritenerlo un monaco, addirittura un eremita («romito»).

Successivamente, nel corso del Seicento, altri importanti storici e cronachisti locali, come il Vecchiazzani e il Bonoli, cominciano a diffondere la fama, non si sa in base a quali fonti, di Pietro Bianco da Durazzo come se si trattasse di un “ex-pirata”, o “corsaro” dell'Adriatico.

«Pietro da Durazzo Corsaro famosissimo nel Mare Adriatico, tiranneggiando di continuo con ladronecci i circonuicini paesi, da non sò quale improuisa tempesta, il di lui Legno fù risospinto al lido. Nò conobbe il paese; e per sua buona fortuna inoltratosi nella foresta di Forno villa di Forlì, la Prouidenza Diuina lo richiamò a penitenza; ritrouò sopra à un'tronco di quercia l'Imagine di Maria sempre Vergine dipinta alla Greca, gli pagò in continente i douiti tributi delle sue lagrime nel presente anno 1450.»

Questo storico è Matteo Vecchiazzani (1568– 1674), che svolse carriera militare, fu segretario comunale di Forlimpopoli e amministratore delle maggiori comunità religiose cittadine. La sua opera più importante è la Historia di Forlimpopoli con varie revolutioni dell'altre città di Romagna, pubblicata nel 1647.

«Avvenne in questo mentre [1450], che un certo Pietro da Durazzo, città nell'Albania, famosissimo corsaro, trovandosi nel mare Adriatico alle solite rapine venne a grave rischio dalla tempesta risospinto al lido, avendo infranto il legno ed affogati i suoi compagni.

Sì malconcio si pose in cammino, ed innoltravasi in paese a lui incognito, sinchè pervenne alla villa di Fornovo, volgarmente detta di Fornò, nel territorio forlivese.

Quivi d'innanzi ad una effige di nostra Signora, che v'era appesa ad un tronco, diè varco (chè soavemente a ciò il mosse superno impulso) al più amaro pianto delle commese delinquenze: indi vestitosi a bianco e cinto di cilicio diedesi per quelle foreste vita eremitica a menare , avuto poi da tutti in modello di santità; e quella Immagine, principio a tanto ravvedimento, regalarono li vicini pastori d'una corona d'argento, e devote persone altri voti v'aggiunsero a testimonio di grazie conseguite. Non andò guari per altro, che da mano sacrilega essa corona venne involata, ma insieme non valse il colpevole a darsi alla fuga; chè ivi dovè suo malgrado immobile rimanersi; sinchè fu visto in suo furto da' vicini abitanti, alcuni de' quali solevano al mattino recarsi ad adorare la Vergine in quella effigie.»

A scrivere così è Paolo Bonoli (Forlì, 1630– ivi, 1670), principale narratore delle vicende della città di Forlì durante il suo tempo. La sua opera più importante è La storia di Forlì dalle origini al 1661.

Uno dei primi, annosi, se non secolari, “misteri” di Fornò direi che è risolvibile con buona certezza: Pietro Bianco da Durazzo non era e non poteva essere un “pirata” o un “corsaro”. Al di là delle fonti, mi sembra condivisibile quanto asserito da Riccardo Lanzoni, amato maestro: «Ogni particolare, nel Santuario, rivela una volontà determinatissima, e una profondissima cultura teologica estranea alla cultura del tempo in Italia. [...]Ma questa è la spiegazione della forma del santuario per un pirata? per un semplice pellegrino? per un navigante che ha fatto naufragio? Ci troviamo di fronte ad una personalità che ha una conoscenza teologica molto elevata, che ha le idee molto chiare su questioni religiose e teologiche, molto profonde; un albanese, che viene da Durazzo, di nome Pietro, chiamato “Bianco”. Perché “Bianco”? Perché aveva la veste bianca e quindi era un monaco. Vedremo poi che questo monaco bizantino, arrivato qua, qualcosa come 10 anni prima, ebbe modo di incontrare un movimento monastico che sentì molto vicino alla sua spiritualità, che era il movimento monastico francescano dell’Osservanza, promosso da Bernardino da Siena. Questi, negli anni precedenti, aveva predicato in tutta l’Italia, compresa Forlì (era passato dal monastero di san Biagio), e aveva diffuso il simbolo della gloria di Cristo che per l’appunto è un cerchio con dentro le lettere IHS (Iesus Hominum Salvator) che si trova un po’ ovunque. Il cerchio, simbolo dell’infinito, simbolo della divinità, era familiare a questo monaco; e ci teneva molto, e questo “sole” si può trovare ovunque nel santuario oltre alla “M” con la corona simboleggiante la Madonna Regina.» (R. Lanzoni,.......)Edificato in città un piccolo oratorio intitolato a santa Maria delle Grazie, noto come la Madonna del Pianto o, per evidenti motivi, la Celletta dello Zoppo, Pietro si spostò nella zona di Fornò, allora boscosa, dove, avendo trovato un'immagine di Maria, decise di costruire il santuario.

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

L'interno

È stato definito da Mariacristina Gori "il monumento più singolare del territorio forlivese, anzitutto perché a date assai precoci adotta, in modo totalmente inconsueto per un edificio dedicato alla Vergine, una pianta centrale. L'ampiezza della fabbrica, inoltre, appare sicuramente eccezionale"[1]: la pianta circolare risulta, infatti, di 34 metri di diametro.

Il santuario va annoverato fra le più significative chiese circolari d'Italia. Riccardo Lanzoni lo definisce "un'opera d'arte, pressoché unica in Italia, se non nell'Europa occidentale"[2].

Per la chiesa di Santa Maria delle Grazie di Fornò, Agostino di Duccio eseguì due interessanti lavori:

  • nel 1454-1455, una Madonna col Bambino, pregevole statua ad altezza naturale (cm 174), ora conservata nel Vescovado (già Palazzo Marchesi) di Forlì; una copia della medesima è stata ricollocata nel marzo 2016 nella stessa nicchia, in alto sul portale d'ingresso, dove c'era la precedente;
  • probabilmente nello stesso periodo La Santissima Trinità adorata da Pietro Bianco, bassorilievo in marmo con un impianto simile a quello della Trinità di Masaccio. Secondo il critico Vittorio Sgarbi, "è un capolavoro, un'opera unica al mondo dello scultore del Tempio Malatestiano di Rimini. Anche la chiesa è meravigliosa"[3].

Attribuito a Leone Cobelli è invece l'affresco con la Deposizione dalla Croce ed un ritratto dell'eremita Pietro Bianco.

Galleria d'immagini[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Gori 2005.
  2. ^ La Storia di Fornò, su santuariodiforno.it (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016).
  3. ^ Sgarbi piomba in una chiesa forlivese: "Qui c'è un'opera che è un capolavoro"

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Gori Mariacristina, Il Santuario di S. Maria delle Grazie a Fornò e i dipinti dei suoi altari (PDF), in Forlimpopoli, XVI, 2005, pp. 115–138.
  • Pasini Piergiorgio Una Madonna di Agostino di Duccio a Fornò, in Culture figurative e materiali tra Emilia e Marche. Studi in memoria di Mario Zuffa, a cura di Paola Delbianco, Rimini 1984, pp. 533–542.
  • Evangelisti Gino Il santuario di S. Maria delle Grazie di Fornò: singolarità architettoniche e iconografiche, in Il carrobbio. Tradizioni, problemi, immagini dell'Emilia-Romagna, XIII (1987), pp. 145–152.
  • Pagano Barbara La chiesa a pianta centrale nella Romagna del Rinascimento, in Studi romagnoli, LVII (2006), pp. 465–489.
  • Rasi Renzo, Dalle memorie di G. B. Mambelli: il santuario di Fornò e il restauro del 1853-1857 (PDF), in Forlimpopoli, XVII, 2006, pp. 165–186.
  • PasiniAdamo, Quinto centenario del santuario di Forno, Forli, Società tipografica forlivese, 1950, p. 10, OCLC 963521202. Ospitato su vdocuments.mx.
  • Vallicelli Marco: Santuario Santa Maria di Misericordia e di Grazie in Fornò; Nuova Tipografia Forlimpopoli, Aprile 2016. Primo ed unico libro completo su storia e arte del Santuario, nonché "guida" del Medesimo

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