Pozzo-deposito

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Un pozzo-deposito in archeologia indica un pozzo originariamente scavato per l'approvvigionamento di acqua potabile e in seguito riutilizzato come nascondiglio di oggetti, di uso quotidiano o anche di maggior pregio, in occasione di eventi bellici.[1][2]

Questa forma particolare di tesaurizzazione ed occultamento di beni all'interno di pozzi, spesso risalenti all'epoca romana[2] e successivamente non più funzionanti, è un fenomeno che risulta particolarmente diffuso all'epoca delle incursioni barbariche del VI-VII secolo d.C., in particolare nell'Emilia centrale, quando il territorio fu conteso tra Longobardi e Bizantini. Ad occultare brocche, cesti, oggetti d'uso, suppellettili, vasi, attrezzi agricoli e talvolta monete erano le comunità rurali e singoli individui che volevano proteggere i loro beni per recuperarli in seguito.[1]

Ad esempio, tra i fiumi Secchia e Samoggia furono trovati alla fine dell'Ottocento vari pozzi di questo tipo, ricchi di reperti archeologici rilevanti per comprendere la storia locale. Durante gli scavi archeologici, i reperti vegetali e animali rinvenuti nei pozzi-deposito diedero a loro volta importanti informazioni sulla fauna e la vegetazione presenti in quel periodo.[1][2]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c 1839. Pozzi-deposito di epoca romana, su Bologna Online, Biblioteca Salaborsa, 20 marzo 2023. URL consultato il 2024-05-6.
  2. ^ a b c Museo Archeologico Bazzano. Sale 2 e 3. Il fenomeno dei pozzi deposito, su frb.valsamoggia.bo.it, Fondazione Rocca dei Bentivoglio. URL consultato il 3 maggio 2024, pubblicato con licenza CC-BY-SA 4.0

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Sauro Gelichi e Nicoletta Giordani (a cura di), Il tesoro nel pozzo: pozzi-deposito e tesaurizzazioni nell'antica Emilia, Modena, F. C. Panini, 1994, ISBN 8876863095.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]